Il rischio dell’Italia sul deficit

 L’Italia sta correndo un grande rischio in relazione al suo deficit ed è già stato dato l’allarme in Europa visto che in questo momento, se l’economia del Belpaese continua con questa andatura, non ci sono speranze si uscire dalla procedura UE.

Strategie per uscire dalla crisi

Le indiscrezioni, stavolta, sono attribuite niente di meno che al commissario degli Affari Economici dell’Unione Europea, Olli Rehn che si è appellato al fatto che per il 2013 il deficit del nostro paese sarà fisso al 2,9 per cento e questo non consentirà di chiudere la procedura d’infrazione contro il nostro paese. Una chiusura che in realtà è auspicata da più parti.

L’accordo europeo sui bilanci degli stati membri

A rispondere per le rime alle accuse di Rehn ci ha pensato Mario Monti, oggi Senatore della Repubblica che parla di un decreto imminente e dell’uscita entro aprile 2013 dalla procedura UE. Nello stesso decreto saranno inseriti i 40 miliardi per le imprese.

Non è certo una soluzione definitiva per la crisi che interessa il nostro paese e infatti sia Confindustria che Confcommercio hanno accolto questa proposta con molta freddezza. Il problema, comunque, resta, perché il deficit pari al 2,9 per cento del PIL non è adeguato al rilancio dell’economia, non consente di mettere al sicuro i conti della pubblica amministrazione e via dicendo.

Altre due proposte per Dell

 L’azienda Dell non se la passa bene e per questo sta cercando nuovi acquirenti che salvino le finanze dell’azienda e consentano al colosso informatico di proseguire sulla sua strada. Circa un mese fa è stata messa a punto la prima offerta, quella presentata dal fondatore dell’azienda Michael Dell che si è appoggiato al fondo di private equitiy Silver Lake Partners e a Microsoft.

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Un’offerta, tra l’altro anche molto interessante, visto che l’operazione, in totale costa 24,4 miliardi di dollari, il che vuol dire che agli azionisti, saranno consegnati 13,65 dollari per ogni azione, a fronte degli 11 euro che potrebbe dare loro la borsa. L’acquisizione, in questo piano, dovrebbe concludersi entro il secondo trimestre fiscale del 2014.

Windows cambia leader

Adesso sul piatto della bilancia ci sono altre due offerte alternative: una presentata da Carl Icahn, un investitore molto noto a Wall Street, e la seconda presentata da un fondo gestito da Balckstone group. Entrambe queste offerte dovranno però essere passate al vaglio del consiglio di amministrazione dell’azienda.

In termini economici sembra che Icahn abbia offerta 15 dollari per ogni azione, mentre ha giocato al rialzo ma si è mantenuto più basso il Blackstone management associates che ha offerto invece 14,25 dollari per azione.

Per l’Europa la ripresa sarà davvero nel 2014?

 Visto che dal Vecchio Continente, da diversi mesi, non arrivano notizie positive, ci si chiede se davvero si possa pensare che la ripresa arriverà nel 2014. Il governatore della Bce che aveva aperto il 2013 con una serie d’incoraggianti report, adesso si trova nelle condizioni di posticipare tutto.

Il punto del FT sulla crisi europea

Non entro la fine di questo anno ma già dal 2014 si può parlare di ripresa: parola della BCE. Ma è davvero così che stanno le cose? Le condizioni dell’Europa non sono certo rosee, basta osservare i maggiori indici. Il commercio, per esempio, ha subito una grossa contrazione e per questo è venuta a mancare una delle basi della rinascita.

La crescita dell’Europa è ancora lontana

In più c’è da prendere atto della crisi del settore bancario dove la ripresa è sempre più lenta visto che le banche sono costrette a chiedere garanzie maggiori ad un paese che in questo momento non ha una solidità adatta a sopportare il nuovo credit crunch. Se poi si pensa al recupero crediti, allora la situazione si complica visto che i tempi del recupero si allungano in modo non prevedibile.

I paesi che si stanno impegnando nella ristrutturazione dei conti e dell’economia interna danno segnali positivi ma quello che allarma sono i danni sul lungo periodo che questo prolungarsi della crisi può portare.

A Cipro sono davvero tutti felici e contenti?

 Le borse hanno reagito benissimo al salvataggio di Cipro ma questo non vuol dire che l’intesa trovata tra il governo dell’isola e le istituzioni europee sia davvero idilliaca. Basta pensare al fatto che non si tratta del primo paese che affronta il salvataggio e negli altri casi qualche perplessità c’è sempre stata.

Cipro e le reazioni dei listini italiani

Cipro, nel dettaglio, è il quinto paese ad essere salvato dal 2009, da quando cioè è iniziata la forte crisi del debito. Il salvataggio dell’isola, all’inizio rifiutato, è stato negoziato dal presidente cipriota Anastasiades che ha cercato di fare due cose: mettere al sicuro i piccoli risparmiatori dal prelievo fiscale forzato sui conti deposito, evitare la fuga di capitali che potrebbe mettere a rischio l’intero sistema bancario dell’isola.

L’idea della Bad Bank lanciata dal salvataggio di Cipro

Cipro, quindi, ha pensato di tenere fuori dall’opera di salvataggio i depositi inferiori ai 100 mila euro ed ha pensato anche di congelare i depositi che eccedono questo limite, usandoli per il pagamento dei debiti. A farne le spese sembrano essere soprattutto le società russe che a Cipro avevano depositati ben 31 miliardi di euro. Un investimento non di poco conto.

Tuttavia Cipro non aveva scelta o meglio aveva soltanto una scelta difficile da compiere che comporterà in ogni caso perdite di miliardi di euro.

L’idea della Bad Bank lanciata dal salvataggio di Cipro

 L’Eurozona ha raggiunto un accordo sul salvataggio di Cipro. Prima di prendere seriamente in esame cosa succederebbe se Cipro uscisse dall’euro, però, si è pensato di trovare uno stratagemma ad hoc per salvare capra e cavoli: la creazione di una bad bank.

L’idea ha fatto sì che Cipro portasse in alto i listini europei ma di cosa si parla di preciso? Una bad bank è una banca in cui lo stato decide di mettere tutti gli asset che sono considerati tossici per il sistema bancario. In pratica, uno stesso istituto di credito si divide in due: la good bank che si occupa di tutto quello che resta attivo sul fronte del credito e la bad bank che va ad acquisire gli asset pericolosi. In questo modo, almeno una delle due banche create,ha la speranza di sopravvivere funzionando regolarmente.

Cipro e le reazioni dei listini italiani

Una soluzione simile è stata sperimentata già in America dove ci si è chiesti se lo Stato avesse potuto acquistare gli asset tossici. È stato il presidente Obama a dare quindi il via alla bad bank per evitare d’indebitare lo stato.

I titoli della bad bank cipriota, adesso, saranno venduti sul mercato delle azioni ordinarie e quando la differenza tra il valore di mercato e quello nominale sarà minimo, allora la bad bank potrà liquidare i titoli in suo possesso.

Cosa succede se Cipro esce dall’euro

 Salvare Cipro come salvare un altro qualsiasi degli stati dell’Europa contemporanea è un imperativo che sembra assecondare l’idea che se una pedina viene tolta dallo scacchiere del Vecchio Continente, tutto il sistema va in frantumi.

In realtà Cipro, come tutti gli altri paesi che fanno parte dell’Eurozona, possono uscire dall’euro, l’importante è calcolare bene le conseguenze dell’atto in questione. L’importante, insomma, è chiedersi se con l’uscita dall’euro di un paese, vada in frantumi tutta l’Europa.

Cipro e le reazioni dei listini italiani

Nel caso di Cipro sicuramente il dramma più importante sarebbe quello dell’isola che in questi giorni, a prescindere dall’accordo sul salvataggio, ha dovuto subire una grande fuga di capitali visto che negli ultimi anni l’isola si era configurata come un ottimo paradiso fiscale. La fuga di capitali, nel caso dell’uscita dall’euro, sarebbe ancora più ingente e sarebbe necessario istituire dei controlli speciali per evitare fughe improvvise, sempre nell’attesa di avere un’altra moneta, quella locale.

Cipro porta in alto i listini europei

Detta in questi termini, quindi, la perdita sarebbe tutta sulla spalle di Cipro che vedrebbe crollare il sistema bancario, tamponare la corsa agli sportelli e fare i conti con l’aumento del costo del denaro. In realtà a perdere sarebbe l’intera Europa visto che persa una pedina, se ne perderebbero senz’altro molte altre, per l’effetto a catena tante volte chiamato in causa in questi due anni di crisi.

 

Cipro e le reazioni dei listini italiani

 Il salvataggio di Cipro è stato molto importante, anche se ha comportato la revisione dell’accordo originale, il fatto che si sia giunti ad un compromesso tra l’isola stato e l’Europa, è stato provvidenziale per le borse dell’Eurozona.

Cipro porta in alto i listini europei, lo abbiamo raccontato, ma cosa è successo nello specifico in Italia? Il nostro paese ha visto crescere il valore degli scambi di un modesto 0,6 per cento che è ben al di sotto di quello che ci si aspettava. Però è anche vero che lo spread è tornato dai 314 punti di venerdì fino a quota 308 punti base.

I nostri scambi, però, più dell’accordo con Cipro, hanno subito gli effetti della notizia dell’incontro tra Bersani e le parti sociali. Un incontro reso necessario dalle dure parole del numero uno di Viale dell’Astronomia. Squinzi infatti ha spiegato che non c’è più tempo per le imprese che stanno soffocando, è necessario un governo e un rimedio plausibile a questa situazione.

La versione di Saxo Bank su Cipro

Piazza Affari nel frattempo vede crescere i listini delle banche che, dopo i ripetuti scossoni delle scorse settimane, adesso di trovano a guadagnare terreno. Prima tra tutte è sicuramente la Banca Popolare dell’Emilia Romagna che cresce del 3,25 per cento. Mediobanca va altrettanto bene con un rialzo dell’1,85%. In flessione, sembra ci sia soltanto Ubibanca che perde l’1,04 per cento dopo che Mediobanca ha subito il downgrade che non si aspettava.

Secondo l’OCSE cresce il costo del lavoro

 Il costo del lavoro continua a crescere, a dirlo è l’OCSE che da quanto è iniziata la crisi non fa altro che tenere sotto controllo il settore in cui dovrebbe rinascere l’economia. Il fatto che cresca questo parametro, però, fa pensare che la crescita sarà ancora più lenta.

La ricognizione dell’OCSE è tutta dedicata alla zona euro dove il costo del lavoro è aumentato andando sopra la media. L’Italia, in tal senso, si aggiudica la medaglia d’argento visto che il lavoro costa ancora di più in Germania rispetto al nostro paese. Nel paese della Merkel, infatti nell’ultimo trimestre del 2012 il costo del lavoro è cresciuto dell’1,3 per cento mentre in Italia è cresciuto soltanto dell’1 per cento.

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In generale, l’aumento del costo del lavoro ha dimostrato un rapporto inversamente proporzionale alle retribuzioni, quindi se da un lato sono aumentati i costi legati all’attività professionale, dall’altra sono aumentate meno del previsto le retribuzioni. Un fattore che poi è stato bilanciato da un complessivo rallentamento della produttività dell’Europa.

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Il Vecchio Continente, in questo movimento, non è solo, perché rallentamento della crescita dei salari e calo della produttività hanno fatto aumentare anche il costo del lavoro negli Stati Uniti dove si parla del +1 per cento e in Canada dove l’aumento è stato più contenuto ed è dello 0,4 per cento.

 

 

La FED lascia i tassi invariati

 Lavorare sul costo del denaro, in questi ultimi due anni, è stato lo stratagemma delle banche centrali per sostenere l’economia interna. Hanno iniziato la BCE e la FED per poi essere seguire a ruota anche dalla BoJ e dalle altre banche centrali.

Poi però, la situazione sembrava essere sfuggita di mano a tutti, tanto che si è iniziato a parlare di guerra di valute, fino a che è intervenuto Mario Draghi a placare gli animi spiegando che le banche centrali stanno facendo semplicemente il loro lavoro, senza avere nelle intenzioni la distruzione delle economie altrui.

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Il mercato valutario, però, non si è per nulla fermato e in queste ore è stato segnato dalla comunicazione della Fed che ha deciso di lasciare i tassi invariati. La banca centrale americana ha deciso di lasciare immutato il costo del denaro ma allo stesso tempo ha deciso di rivedere al ribasso le previsioni sull’economia del paese.

Reazioni del dollaro alla stanchezza della FED

La crescita economica non è quella preventivata ma qualcosa di positivo in tutta questa storia c’è nel senso che la disoccupazione è minore rispetto alle previsioni. La scelta della FED era attesa e prevista. I tassi, tanto per essere precisi, resteranno compresi tra lo 0 e lo 0,25 per cento. Un livello minimo che è un record. Non si avevano tassi così bassi dal dicembre del 2008. Il tasso di disoccupazione resta leggermente a di sopra del 6,5 per cento e il tasso d’inflazione, invece, è fisso sotto la soglia del 2,5 per cento.

Rich Ricci di Barclays si mette in tasca 18 milioni

 La Gran Bretagna, che tutti considerano ancora la gallina dalle uova d’oro per gli europei in crisi alla ricerca di lavoro, in realtà sta affrontando un forte periodo di crisi. È stata costretta a ricalcare una serie di misure di austerità, già conosciute nel resto del Vecchio Continente, al fine di tenere tutti i conti del paese sotto controllo.

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In un momento del genere, un super bonus per un banchiere, dato da una banca nazionale, farebbe infuriare chiunque. E così è stato, visto che Rich Ricci, ex collaboratore di Diamond, il CEO di Barclays che si è dimesso dopo lo scandalo Libor, ha portato nel suo portafoglio un bel gruzzoletto, un bonus da 18 milioni di sterline che vanno a sommarsi al suo già cospicuo patrimonio che sale a 57 milioni di sterline.

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Il banchiere in questione ha soltanto 49 anni e una passione per le banche e per l’ippica che, condita da una buona dose di fortuna, l’ha reso uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra. L’incremento del suo gruzzoletto però, avviene nello stesso periodo in cui il ministro del Tesoro inglese presenta i conti al Parlamento: l’economia del paese è debole, crescerà meno del previsto nel 2013 e sarebbe addirittura opportuno dimezzare le prospettive di crescita.