Francia nel mirino del NYT

 Molte riviste americane considerano ancora preoccupante la situazione del Vecchio Continente e ritengono che la vera bomba ad orologeria dell’Europa sia la Francia che con il suo declino ha lasciato spazio all’affermazione indiscussa della Germania. Le agenzie di rating hanno poi messo il carico sulla situazione, assottigliando l’insieme dei paesi che possono vantarsi della tripla A.

In che situazione è la zona euro

Il New York Times, di recente, è tornato sulla questione francese per capire se realmente il paese di Hollande abbia le carte giuste per evitare di finire nel circolo dei paesi di serie B. Sicuramente devono essere approvate le riforme fiscali e strutturali, del mondo del lavoro. L’analisi della situazione francese è stata affidata dal New York Times alla penna di Steven Erlanger che però non ha saputo rispondere in modo lineare alle domande più angoscianti, le stesse che da tempo si pongono gli opzionaristi.

In Francia aumenta la disoccupazione

La ripresa economica, per tutta l’Europa, dovrebbe iniziare alla fine di quest’anno e perpetuarsi per tutto l’anno prossimo, ma poi, da paese a paese, la situazione cambia. La questione francese è talmente complessa che un’inversione del ciclo economico, per quanto auspicata, appare ancora troppo lontana.

Hollande, infatti, dovrebbe approvare delle leggi anche impopolari che minerebbero alla radice la sua stabilità all’Eliseo. La politica è pronta a correre questo rischio?

Ridotta la spesa sulle tavole degli italiani

 I dati diffusi di recente della Coldiretti raccontano di una nuova Italia, quella in cui i cittadini hanno smetto si spendere soldi per i generi alimentari e i consumi sono tornati ai livelli, un po’ imbarazzanti, degli anni Settanta. Una regressione che non depone a favore della ripresa economico-finanziaria del tricolore.

Consumi in calo e arretra Nestlè

In generale la Coldiretti dice che dall’inizio dell’anno, nel primo semestre 2013, si è registrata una flessione del consumo di pesce pari al 13 per cento. Sono poi in calo del 10 per cento le spese per l’olio extravergine e per la pasta. 7 italiani su 10 hanno smesso anche di comprare il latte. In aumento, per quanto riguarda sempre i generi alimentari, ci sono soltanto le uova e il pollo.

Che altre conferme aspettano gli investitori? L’italiano medio che almeno a tavola non aveva mai rinunciato alla qualità, adesso ha un potere d’acquisto talmente ridotto che compra prodotti di scarsa qualità, oppure non compra affatto. Il taglio, la spending review famigliare, di cui abbiamo già parlato, riguarda anche i beni di prima necessità.

Consumi TLC in calo nel nostro paese

L’ortofrutta, che non abbiamo menzionato, ha visto ridursi gli acquisti del 3 per cento e anche l’acquisto di carne è diminuito del2 per cento. In generale c’è stata una riduzione della spesa alimentare del 4 per cento circa.

Com’è cresciuta la spesa pubblica

 Spendere molto, per una pubblica amministrazione, non è sempre negativo se questa spesa equivale all’erogazione di un maggior numero di servizi. A guardare la spesa pubblica italiana, però, si resta di stucco visto che in 15 anni l’aumento dei costi a carico dello stato è aumentato quasi del 70 per cento.

Spread e borsa italiana da record

Il riferimento è al periodo che va dal 1997 ad oggi. Le uscite dello stato sono contabilizzate in 300 miliardi di euro. Fortuna che le entrate fiscali sono aumentate un po’, sono in crescita precisamente del 52,7 per cento e per questo il gettito fiscale è salito di 240 miliardi di euro.  Se poi si vanno a considerare soltanto le imposte locali allora s’inizia a parlare di aumenti vertiginosi del 204 per cento.

In generale a pubblica amministrazione italiana spende tantissimo ed è molto difficile che di questo passo si approdi al famoso federalismo fiscale. L’Italia, in generale, ha due grandissimi problemi che si chiamano: debito e conti pubblici. Il nostro paese, in questi 15 anni, non è stato in grado di ridurre la spesa e tanto meno di ridurre il debito pubblico.

Il debito pubblico italiano sale a 2.075 miliardi

Secondo un’analisi recente fornita dalla CGIA, la spesa pubblica è cresciuta del 68,7 per cento che in euro equivalgono a ben 296 miliardi. Alla fine di quest’anno la situazione potrebbe essere ancora più grave con la spesa pubblica che crescerà fino a 726,6 miliardi di euro.

L’India è nei guai

 Il crollo della rupia che ha contribuito all’erosione del capitale dei magnati indiani, è soltanto un indice che testimonia il cambiamento in atto nei paesi BRICS. Le cosiddette economie emergenti, infatti, non sono più una calamita per gli investitori che preferiscono spostare il loro business in America dove la ripresa è iniziata e il mercato appare più stabile.

Mercati emergenti non più appetibili

Ma cosa sta succedendo in India? Il Subcontinente, per tantissimo tempo, è stato considerato il fulcro dell’economia mondiale a causa della gioventù della popolazione e del potenziale economico del paese. In realtà la situazione economica indiana è in una fase calante da un anno a questa parte.

La popolazione è certamente giovane e i lavoratori indiani costano anche pochissimo ma è ridotto anche il numero degli imprenditori stranieri che vogliono scommettere su questo paese e portano in India le loro società. Gli imprenditori, ormai, hanno capito di dover lottare contro una burocrazia, quella indiana, molto corrotta e spesso incapace di rispondere alle esigenze dei “capitalisti”. In più mancano le infrastrutture per far decollare alcuni particolari business.

La rupia torna ai minimi storici

Il governo indiano, preso atto del contesto, ha smesso di credere nella crescita del paese, ha rinunciato alle aspettative ce parlavano di una crescita del paese superiore al 10 per cento già nel 2012. Anche per il 2013 sono state tagliate le stime di crescita.

Crolla il turismo in Egitto

 L’Egitto è in pieno fermento, ma stavolta non si parla affatto di primavera araba, quanto piuttosto di scossoni politici, di cambio al vertice, di guerra civile. Il paese nordafricano, quindi, sebbene ricco di mete turistiche, non è più sicuro per i vacanzieri che hanno pensato giustamente di cambiare rotta.

Il golpe egiziano manda nel panico le borse

La crisi egiziana, partita come una crisi di stampo politico, ha avuto delle ripercussioni sociali ed economiche. Nell’ultimo periodo il giro d’affari legato al mercato turistico, ha perso circa 80 milioni di euro. A rendicontare la situazione ci hanno pensato i tour operator, attivi anche nel nostro paese.

L’economia egiziana e la primavera nera

Per quanto riguarda l’Italia, poi, è stata anche la Farnesina a sconsigliare i viaggia in Egitto, almeno fino alla metà di settembre. In prospettiva, però, ci potrebbe essere un blocco dei viaggi ancora più importante, valido per tutti fino alla fine dell’anno. Questo vuol dire che l’Egitto potrebbe subire una seconda “guerra” di stampo finanziario.

In realtà a subire ci sarebbe anche l’economia italiana, che considera le mete egiziane insostituibili e che nell’ultimo periodo ha dovuto fare i conti con la crisi economica e il calo delle prenotazioni. L’Egitto, almeno per il nostro paese, rappresenta la prima meta di vacanza quanto a numero di viaggiatori che la prediligono. Il giro d’affari legato a questo paese nordafricano, tanto per avere un’idea, è di 280 milioni di euro.

Il FMI sull’abbandono del QE

 Il piano di Quantitative Easing è stato d’aiuto alla ripresa dell’economia americana ma adesso bisogna anche rispettare i tempi della ripresa. A parlare è Christine Lagarde che è intervenuta al simposio annuale della Federal Reserve, che si è tenuto a Kansas City. Il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale ha detto che gli aiuti finora dati all’economia americana sono stati importanti ma è fondamentale rispettare il ritmo della ripresa.

Attesa per l’ultima riunione della FED

La FED, in questo periodo, sembra concentrata molto sulla scelta del successore di Ben Bernanke, ma gli osservatori esterni non possono non essere preoccupati per la situazione degli States. In effetti negli USA la ripresa è iniziata e il mercato è molto stabile, tanto che moltissimi investitori hanno spostato i loro capitali dai paesi emergenti alla FED.

Crescono i mercati europei grazie alla FED

La Lagarde, però, è convinta che non bisogna rinunciare subito e velocemente agli stimoli monetari che hanno fatto delle banche centrali i veri eroi dell’economia internazionale contemporanea. E’ importante, adesso, che si definisca un piano di collaborazione che coinvolga gli attori della finanza e quelli della politica.

Il monetarismo non è la soluzione a tutto, è invece fondamentale mettere in campo le riforme strutturali, gli unici strumenti in grado di garantire una crescita sostenibile di lungo periodo.

Mercati emergenti non più appetibili

 Gli investitori hanno ormai smesso di credere nella redenzione dei mercati emergenti, quelli su cui avevano puntato per lungo tempo. Ma è davvero finito l’effluvio di denaro verso le economie ancora in fase di sviluppo? La domanda sorge spontanea dopo aver considerato quello che è successo all’India dove la rupia è calata in modo vertiginoso ed ha eroso il business dei magnati del paese.

La rupia torna ai minimi storici

In questo momento, comunque, gli investitori sono attratti dall’America. Negli Stati Uniti è iniziata infatti la ripresa e questo dà fiducia a chi deve far fruttare il proprio capitale. In sostanza si preferisce investire in azioni americane, piuttosto che puntare ai mercati emergenti. A dirlo è una ricerca di Bloomberg.

Pronta una banca mondiale per gestire l’ascesa

Il riferimento cronologico è al 2013, anno in ci i fondi d’investimento USA sono stati in grado di capitalizzare circa 95 miliardi di dollari a fronte di una vendita pari a 8,4 miliardi di dollari. Lo stesso indice S&P ha dimostrato di saper accelerare la corsa sui mercati guadagnando il 70% in più di quello che sono in grado di guadagnare gli indici dei mercati emergenti Msci.

Quello che però colpisce dell’America di Barack Obama è la stabilità. Il mercato americano, adesso, è più calmo di quello cinese, di quello brasiliano, di quello indiano e di quello russo.

Arrivano i soldi europei per l’Italia

 L’Italia, uno degli stati europei maggiormente colpiti dalla crisi, non può pensare di sopravvivere da sola in questa situazione. E’ necessario al contrario trovare una via d’uscita con l’aiuto dell’Unione Europea. Tempo fa era stato fatto notare come i fondi che l’UE mette a disposizione siano stati sfruttati poco e male dal Belpaese. In pratica con qualche forzatura sono stati usati per finanziare la CIG.

L’Italia deve emanciparsi dei fondi

L’Europa, in questo momento, non vuole più assecondare la crisi ma fornire un aiuto all’Italia, anche di natura economica, ragionato e studiato sulla base delle esigenze del nostro paese. La notizia che sembra dar respiro agli investitori, quindi, è quella dei 30 miliardi di euro che sono stati sbloccati e saranno inviati allo Stivale. Quanto a fondi ricevuti dall’Europa, siamo secondi soltanto alla Polonia. Dei soldi che arriveranno in Italia, poi, 20 miliardi saranno usati per lo sviluppo del Meridione. In pratica al Sud Italia arriveranno complessivamente più fondi di quanti ne arrivino alla Germania intera.

Italia recupera terreno ma i fondi UE sono a rischio

I fondi di cui stiamo parlando fanno parte del budget definito dall’UE per il periodo che va dal 2014 al 2020 per le politiche di coesione. IN tutto si tratta di 72,87 miliardi di euro, di cui 29,24 miliardi vanno soltanto all’Italia. Nelle Regioni meno sviluppate, quelle meridionali, confluiranno circa 20,262 miliardi di euro.

Il PIL tricolore scende ma non tantissimo

 L’usura torna di moda soprattutto a Sud e l’indebitamento delle famiglie con gli strozzini preoccupa anche la politica. Sull’argomento interviene anche il premier spiegando che se la ripresa del PIL, della fiducia e dei consumi è in atto nel nostro Paese, ci sono territori in cui la ripresa stessa sarà molto più difficile.

Ma se non è uniforme questa ripresa, si può lo stesso parlare di miglioramento della situazione finanziaria italiana? La risposta è affermativa e trova un fondamento anche nel report stilato dall’OCSE che sottolinea come il calo del PIL italiano ci sia ancora, ma il rallentamento è minore del previsto.

Piazza Affari crede nella ripresa economica

Il periodo di riferimento è il secondo trimestre del 2013. Il rallentamento del Prodotto Interno Lordo italiano è stato dello 0,2 per cento, migliorando il -0,6% del primo trimestre. Nel complesso, migliora la situazione in tutta l’area OCSE dove il PIL aumenta dello 0,5 per cento e risulta in accelerazione rispetto al +0,3 per cento registrato all’inizio dell’anno.

L’Italia, adesso, sembra molto più vicina alla fine della recessione. L’OCSE dice che il rallentamento è ancora importante nel nostro paese ma la caduta del PIL è stata attutita. Non è certo un incoraggiamento senza capo né coda visto che i dati sono suffragati dall’andamento dell’indice PMI diffuso in questi giorni.

L’usura torna di moda soprattutto a Sud

 L’usura è un problema molto sentito nel nostro paese, basta pensare al fatto che per colpa dell’usura è cresciuto l’indebitamento degli italiani e sono crollati anche i consumi. L’usura, però, è un problema che riguarda soprattutto il Meridione e l’ultimo rapporto stilato dalla CGIA di Mestre, mette in evidenza questa situazione critica.

La contrazione del credito aumenta nel Sud Italia

Secondo il sindacato degli artigiani, infatti, in regioni come la Calabria, la Basilicata, la Sicilia e il Molise, sono diminuiti molto i finanziamenti elargiti alle famiglie, probabilmente a causa della stretta sul credito e delle poche garanzie che le famiglie riescono a offrire agli enti erogatori.

D’altronde il denaro contante serve e le famiglie sperimentano strade alternative, affidandosi agli strozzini. La situazione è molto grave in una regione del Sud Italia che non abbiamo ancora menzionato: la Campania. Qui il rischio di mettersi nelle mani degli usurai è del 70% superiore che nel resto del Paese.

Lo sguardo sul debito proposto da Bankitalia

La flessione dei consumi al Sud preoccupa non poco la politica tanto che sull’argomento è intervenuto anche il premier Enrico Letta dicendo che il PIL, la produzione industriale e la fiducia dei cittadini, stanno ricominciando a crescere ma ci sono delle zone in cui la ripresa è molto più difficile del previsto perché manca il lavoro e perché le banche non sono di supporto all’attività delle imprese e alle difficoltà delle famiglie.