La Merkel accusa la Grecia

 La Germania è in pieno clima di campagna elettorale e per questo le dichiarazioni dei leader politici in corsa per la poltrona di Cancelliere appaiono più perentorie che mai. E’ vero che a livello finanziario e sociale la Germania ha ottenuto delle gratificazioni non indifferenti: per esempio le è stata confermata la tripla A dalle maggiori agenzie di rating che la considerano, ormai, l’unico pilastro dell’Unione Europea.

PIL in frenata e poco lavoro per la Grecia

La Germania è un punto di riferimento anche finanziario visto che lo spread che tanto ossessiona gli investitori e i cittadini, è stabilito sulla base del confronto tra i titoli decennali di un certo paese e i Bund tedeschi. Insomma, se parla la Germania, tutti pendono dalle sue labbra. Eppure l’ultima dichiarazione di Angela Merkel appare quanto meno forte.

Cresce ancora la disoccupazione in Grecia

La Cancelliera, infatti, ha accusato Gerhard Shroeder che l’ha preceduta di non aver lottato abbastanza per evitare che la Grecia entrasse nello spazio dell’euro. Si offre così della moneta unica un carattere esclusivo piuttosto che inclusivo. Secondo Angela Merkel, la Grecia non aveva rispettato tutte le regole previste dall’Europa per l’ingresso nell’euro.

La Grecia resta così il tema dominante della campagna elettorale tedesca dopoché anche il ministro delle finanze Schaeuble ha ribadito che ad Atene servono ancora 11 miliardi di euro secondo il piano di salvataggio escogitato dalla Troika.

In consumatori tornano a credere nell’Italia

 La ripresa tocca costruirla giorno per giorno con l’impegno della politica, della finanza, dei singoli lavoratori e delle istituzioni, ma nella ripresa tocca anche crederci e gli italiani sembrano essere tornati di buon umore. A certificare questo incremento dell’indice di fiducia è l’ISTAT che ha già dato una buona notizia al paese: a luglio retribuzioni in aumento più dell’inflazione.

Ad agosto il clima di fiducia espresso dai consumatori è cresciuto dal 97,4 al 98,3. Una crescita registrata soltanto nell’arco di un mese. In questo genere d’indagini si chiede alla popolazione se ha avuto un miglioramento del quadro economico e del quadro personale. La stessa ricerca è poi svolta tra le imprese e si chiede loro che sono maggiormente fiduciose nel futuro del paese.

Italiani dediti al risparmio

A luglio la situazione è molto buona visto che la fiducia nel miglioramento del quadro personale è spassata dal 98,7 al 98,9, ma tutti sono fermamente convinti che sia migliorato e migliorerà ancora il quadro economico. In questo caso specifico l’indice è passato dal 94,8 al 97,6. Per quanto riguarda le imprese diremo sinteticamente che la loro fiducia è arrivata al livello massimo mai registrato da agosto del 2012.

A livello territoriale permangono tuttavia delle differenze visto che la fiducia migliora molto al Nord Ovest, al Nord Est e al Centro ma non si crede più nella ripresa nel Mezzogiorno d’Italia.

A luglio retribuzioni in aumento

 Il potere d’acquisto delle famiglie italiane è eroso dalla crisi? Niente paura, c’è una soluzione ad ogni problema. L’italiano medio, come abbiamo avuto modo di constatare leggendo gli ultimi report di Bankitalia, di fronte alla crisi, esercita la sua capacità di risparmio e i conti in banca aumentano del 5 per cento. Peccato che si torni a parlare di IMU e adesso anche di tassa sui servizi.

Aumentano gli stipendi a luglio 2013

E’ inevitabile pagare queste imposte, visto che è stata estesa la platea dei paganti anche a chi una casa non la possiede. Eppure una notizia buona, in questo periodo, c’è e arriva direttamente dall’Istituto nazionale di statistica che a luglio 2013 ha rilevato un aumento delle retribuzioni nel nostro paese. Chi aveva stretto la cinghia, quindi, può allentare la presa e tornare a consumare? Vediamo cosa dice più nello specifico il documento dell’ISTAT.

Le misure approvate dal governo per il pubblico impiego

Il succo è che le retribuzioni aumentano più dell’inflazione. Nella pratica i salari fissati da contratto aumentano dell’1,5 per cento rispetto allo stesso mese del 2012 e dello 0,1 per cento rispetto al mese di giugno 2013. Intanto, con riferimento a luglio, si prende atto che è cresciuto l’indice dei prezzi al consumo e la variazione è stata dell’1,2 per cento su base annuale.

Crescono soprattutto i salari legati al settore privato mentre restano inchiodate al palo le retribuzioni della Pubblica Amministrazione.

La rupia crolla ancora

  Le valute maggiormente in crisi sono quelle dei paesi emergenti. Ci sono delle realtà che soffrono più di altre. L’est europeo, per esempio, sembra quasi graziato dall’andamento altalenante dell’economia europea, ma non si può dire altrettanto di Turchia, Brasile e India. La lira turca continua a subire la pressione dei disordini siriani e pur col sostegno della banca centrale non riesce a guadagnare terreno nei confronti del dollaro e dell’euro. Il real brasiliano ha un andamento simile: si svaluta nei confronti del dollaro ma la crescita costante e le ottime riserve valutarie, fanno pensare ad una crisi passeggera.

Più grave quello che sta succedendo in India dove la valuta crolla così come tutta la borsa di Mumbai. La rupia indiana, nella giornata di oggi, è riuscita a segnare un nuovo record negativo: ha raggiunto i livelli minori che non si registravano da 18 anni a questa parte. Il cambio tra dollaro e rupia è arrivato quasi oltre la soglia psicologica delle 70 rupie.

L’India è nei guai

La Reserve Bank of India ha pensato di lanciare la stretta monetaria per correre ai ripari visto che dal lancio del tapering il crollo è stato troppo veloce. Poi però, il timore della stagflazione ha fatto capolino e si è tornati indietro. Le previsioni più attendibili sull’India, fornite dal BNP Paribas parlano di una crescita annua del 3,7 per cento.

Le valute maggiormente in crisi

 La crisi economica dei paesi emergenti sembra legata in modo indissolubile all’avvio del tapering deciso dalla Federal Reserve. Ma la crisi economica si traduce inevitabilmente in una crisi valutaria che ha mandato in crisi soprattutto alcune valute, come la lira turca, il real brasiliano e la rupia indiana. Ci sono poi delle valute che in una condizione di crisi hanno saputo trovare un grimaldello per fare fortuna. Si tratta ad esempio dello zloty polacco, della corona ceca e del lev bulgaro.

La resistenza delle valute dell’Est Europa

I paesi emergenti sono chiamati tali perché le loro economie sono in fase crescente e stanno tentando di sbarcare il lunario. In questi ultimi mesi, però, abbiamo assistito ad un importante passo indietro che ha gettato i BRICS e non solo nella peggior crisi mai registrata da 10 anni a questa parte.

Tutto parte dalla decisione della FED di ridurre gli stimoli monetari che si traducono in un minore afflusso di denaro nei paesi emergenti che adesso rischiano di veder aumentare l’inflazione e ridursi il ritmo della crescita. A parte la rupia indiana che è scesa ai minimi storici mai registrati negli ultimi 18 anni, in crisi ci sono soprattutto il real brasiliano e la lira turca.

Da settembre via al tapering

Il real brasiliano ha perso il 20% del suo valore rispetto al dollaro ma non cede al pensiero della crisi considerando le riserve valutarie e la crescita ancora costante del paese. La lira turca, continua a perdere terreno dal dollaro e dall’euro ma ha il sostegno della banca centrale che vuole evitare di subire troppo le tensioni della vicinissima Siria.

Nel Regno Unito la ripresa è reale

 Ogni volta che si è analizzata in questi mesi la situazione europea si è buttato l’occhio anche sul Regno Unito sottolineando che la situazione non era affatto rosea come la descriveva il management. L’incubo delle Olimpiadi che hanno messo nei guai diversi paesi, si pensi soltanto che tutto in Grecia è cominciato dalla manifestazione sportiva più importante del mondo, si è fatto sempre più importante. Per fortuna le sorprese non sono mancate, basta guardare alle speranze, prima di tutto economiche, riposta nel Royal Baby.

PIL del Regno Unito e sterlina

Detto ciò da diversi mesi si sente parlare di un ritorno di fiamma per la City dove stanno riprendendo di gran carriera le assunzioni, a testimonianza di un mercato del lavoro ancora molto dinamico e in controtendenza con l’ascesa della disoccupazione nel resto del Vecchio Continente. Insomma, la ripresa, nel Regno Unito è reale e gli analisti sono “pronti a scommetterci”.

L’oro da Londra alla Svizzera

L’ottimismo è tale che c’è stata anche una revisione dello 0,1% sul PIL del secondo semestre. Se si avverasse la previsione il ritmo di crescita del Regno Unito sarebbe paragonabile a quello della Germania. In generale, però, bisogna rimanere con i piedi per terra, considerando che la crescita del PIL dello 0,7% non è sufficiente a scongiurare la recessione del Paese.

La Siria fa crescere il prezzo del petrolio

 Gli Stati Uniti hanno deciso di risolvere al più presto la questione siriana e sono pronti ad attaccare il paese in questione alla ricerca di Assad. La tensione che finora era rimasta confinata all’Egitto, sta sfociando in una crisi più ampia che coinvolge il Medioriente. La notizia non piace certo ai mercati che hanno dimostrato fin dalle prime ore seguenti all’annuncio del Segretario americano, di non gradire questi movimenti “militari”.

La produzione del petrolio favorisce la Cina

Non sono soltanto gli indici borsistici in subbuglio, però, perché sta per essere messo a soqquadro anche il settore delle materie prime. Si sa infatti che questi paesi, come la Siria e l’Egitto, instabili sotto il profilo politico, sono ricchi di petrolio. Qualora salisse ancora il livello della tensione in Siria, l’oro nero potrebbe arrivare a quotazioni record. In fondo sta già succedendo anche se il costo dei carburanti, almeno in Italia, non ha subito drastiche oscillazioni.

Il petrolio cresce per colpa dell’Egitto

La crisi in Siria non è ancora sfociata in un intervento militare ma si teme che una volta invasa la Siria, da parte degli Stati Uniti, si scateni il peggio anche in Iran e in Israele, paesi che insieme a tutto il Medioriente producono più del 30% del greggio venuto nel mondo.

Così il prezzo del petrolio al barile è schizzato sui 112 dollari, un prezzo record che non si registrava da due anni a questa parte.

La resistenza delle valute dell’Est Europa

 Il mercato valutario è un ottimo terreno d’allenamento per chi investe in borsa o per chi vuole fare trading con le opzioni binarie. In questo periodo, poi, visti i movimenti politici di molti stati, le acque si stanno muovendo in modo da ottenere ottimi rendimenti. Abbiamo parlato non molto tempo fa del crollo della rupia rispetto al dollaro che ha gettato un po’ di ombra sull’evoluzione economica degli stati emergenti.

Mercati emergenti non più appetibili

In realtà non tutti i paesi periferici se la passano così male e a testimoniare questa affermazione ci sono i paesi dell’est europeo. A livello valutario ricordiamo che esistono realtà come quella polacca in cui c’è una forte resistenza della politica e della popolazione per l’adozione dell’euro e realtà più dinamiche come quella lettone che non rinuncerebbero mai al sentiero ormai intrapreso verso l’integrazione monetaria. La Lettonia entrerà nell’euro da gennaio 2014.

La Finlandia vuole uscire dall’euro

I dati che arrivano dagli indicatori economici dell’area euro sono chiari: le borse dell’Europa centro-orientale sono in fase crescente. L’indice Msci Eastern Europe è aumentato dell’1,2 per cento e sorprende soprattutto l’andamento di alcune valute che stanno guadagnando terreno nei confronti del dollaro. Si tratta dello zloty polacco, della corona ceca e del lev bulgaro.

Insomma la ripresa c’è ed interessa soprattutto i paesi dell’est che possono giovare di questo percorso tutto in discesa.

JP Morgan multata a Wall Street

 JP Morgan è un punto di riferimento del sistema creditizio statunitense ma questo non vuol dire che la banca d’affari abbia sempre giocato in modo trasparente. Adesso, però, le autorità americane sono intervenute per chiedere di saldare i conti, quelli legati agli “errori” del passato, ai mutui subprime per esempio o al trading londinese.

JP Morgan, quindi, da un momento all’altro potrebbe vedersi recapitare una multa da 6 miliardi di dollari. Un risarcimento che andrebbe a coprire le spese sostenute per gli avvocati e per i ricorsi. I mutui subprime sono stati considerati il punto di partenza del tracollo finanziario degli States. Il reato connesso all’attività della banca americana è quello di frode sui titoli garantiti da mutui subprime.

I rischi delle valute dei paesi emergenti

L’inchiesta che ha coinvolto JP Morgan, in realtà, va avanti da parecchio, dal 2011, anno in cui la banca d’affari è stata sottoposto alle indagini della magistratura americana insieme ad altre sei banche che avevano venduto dei titoli rischiosi alle aziende come Fannie Mae e Freddie Mac che si occupavano del rifinanziamento immobiliare.

Quali sono le banche più potenti al mondo?

Le aziende in questione poi, sono fallite e sono state salvate dallo stato americano. La multa che adesso è stata indirizzata a JP Morgan supera di molto la somma di tutti i profitti registrati nel 2013 dalle banche incriminate nel loro insieme.