Ambani nei guai col crollo della rupia

  La rupia torna ai minimi storici e questa notizia non interessa soltanto coloro che si dedicano al Forex. Ad essere preoccupati del crollo della moneta indiana rispetto al dollaro, sono soprattutto i Paperoni del Subcontinente, tra cui, ad esempio, figura Ambani. E’ lui l’uomo più ricco dell’India e in questi giorni ha visto polverizzarsi circa 5,6 miliardi di dollari. Adesso, per spadroneggiare tra i magnati connazionali, ha a disposizione soltanto 17,5 miliardi di dollari.

La moneta indiana, tanto per riepilogare la situazione, viaggia intorno ai valori minimi storici da diverse settimane. Gli investitori, per evitare perdite consistenti, stanno spostando i loro capitali dalle società quotate in India, verso altri lidi più remunerativi e in questo modo stanno affossando la borsa di Mumbai e le società in essa quotate.

OCSE preoccupata per le economie BRIC

L’indiano più ricco del paese, Ambani, che deve la sua fortuna alla raffinazione del petrolio, ha dovuto rinunciare già a 5,6 miliardi di dollari e potrebbe perdere ancora terreno erodendo il suo tesoretto ormai formato soltanto da 17,5 miliardi di dollari. La svalutazione della rupia è stata determinante in questa flessione.

La rupia ha accusato le decisioni prese della Fed che vuole ridurre gli stimoli all’economia americana interrompendo progressivamente l’acquisto di bond. Come la rupia sono in flessione tutte le monete dei paesi emergenti. Il dollaro, parallelamente si rafforza e il rendimento dei titoli a stelle e strisce continua.

Puntare al ribasso non conviene

 Il mercato ha iniziato a punire in modo esemplare tutti gli investitori che speculano sulle puntate al ribasso. I finanzieri che finora si sono arricchiti sulla crisi degli altri, dovranno pagare per la loro audacia. E a punirli è il mercato stesso.

Il riferimento è ai cento titoli che sono stati colpiti maggiormente dalla pratica di short selling nell’ultimo periodo e che sono inseriti nel listino Russell 2000. Il loro ritorno ha superato quello medio degli altri titoli dell’indice. Adesso i titoli cosiddetti shorted figurano in rialzo e l’incremento, in termini percentuali, è parti al 33,8 per cento. Gli altri titolo crescono molto più lentamente e il loro balzo in avanti si sostanzia in un +18,3 per cento.

Rizzani de Eccher fa affari in Algeria

Insomma, scommettere contro un titolo, scommettere sul fatto che una certa azione sarà presto in caduta libera, dà vantaggi nell’immediato se il trend negativo è confermato ma può lasciare delle belle cicatrici nel portafoglio degli investitori. Questi, in un periodo di forte crisi, hanno dimostrato di prediligere le vendite allo scoperto causando le perdite peggiori mai registrate in dieci anni, per moltissimi titoli.

Adesso conviene puntare su Facebook

L’analisi della situazione è stata fatta dal Wall Street Journal. In particolare si fa notare che sono in crescita nonostante le vendite allo scoperto, titoli importanti come Tesla Motors, Zillow e Green Mountain che in parte è nelle mani del gruppo italiano Lavazza.

Il PIL tricolore scende ma non tantissimo

 L’usura torna di moda soprattutto a Sud e l’indebitamento delle famiglie con gli strozzini preoccupa anche la politica. Sull’argomento interviene anche il premier spiegando che se la ripresa del PIL, della fiducia e dei consumi è in atto nel nostro Paese, ci sono territori in cui la ripresa stessa sarà molto più difficile.

Ma se non è uniforme questa ripresa, si può lo stesso parlare di miglioramento della situazione finanziaria italiana? La risposta è affermativa e trova un fondamento anche nel report stilato dall’OCSE che sottolinea come il calo del PIL italiano ci sia ancora, ma il rallentamento è minore del previsto.

Piazza Affari crede nella ripresa economica

Il periodo di riferimento è il secondo trimestre del 2013. Il rallentamento del Prodotto Interno Lordo italiano è stato dello 0,2 per cento, migliorando il -0,6% del primo trimestre. Nel complesso, migliora la situazione in tutta l’area OCSE dove il PIL aumenta dello 0,5 per cento e risulta in accelerazione rispetto al +0,3 per cento registrato all’inizio dell’anno.

L’Italia, adesso, sembra molto più vicina alla fine della recessione. L’OCSE dice che il rallentamento è ancora importante nel nostro paese ma la caduta del PIL è stata attutita. Non è certo un incoraggiamento senza capo né coda visto che i dati sono suffragati dall’andamento dell’indice PMI diffuso in questi giorni.

L’usura torna di moda soprattutto a Sud

 L’usura è un problema molto sentito nel nostro paese, basta pensare al fatto che per colpa dell’usura è cresciuto l’indebitamento degli italiani e sono crollati anche i consumi. L’usura, però, è un problema che riguarda soprattutto il Meridione e l’ultimo rapporto stilato dalla CGIA di Mestre, mette in evidenza questa situazione critica.

La contrazione del credito aumenta nel Sud Italia

Secondo il sindacato degli artigiani, infatti, in regioni come la Calabria, la Basilicata, la Sicilia e il Molise, sono diminuiti molto i finanziamenti elargiti alle famiglie, probabilmente a causa della stretta sul credito e delle poche garanzie che le famiglie riescono a offrire agli enti erogatori.

D’altronde il denaro contante serve e le famiglie sperimentano strade alternative, affidandosi agli strozzini. La situazione è molto grave in una regione del Sud Italia che non abbiamo ancora menzionato: la Campania. Qui il rischio di mettersi nelle mani degli usurai è del 70% superiore che nel resto del Paese.

Lo sguardo sul debito proposto da Bankitalia

La flessione dei consumi al Sud preoccupa non poco la politica tanto che sull’argomento è intervenuto anche il premier Enrico Letta dicendo che il PIL, la produzione industriale e la fiducia dei cittadini, stanno ricominciando a crescere ma ci sono delle zone in cui la ripresa è molto più difficile del previsto perché manca il lavoro e perché le banche non sono di supporto all’attività delle imprese e alle difficoltà delle famiglie.

Mediaset di nuovo brillante in borsa

 Il gruppo televisivo legato al nome di Silvio Berlusconi, dopo due giorni di vuoto e di mancanza di richieste sul titolo, torna a crescere. Riprendono gli acquisti sul biscione e sembra che ormai l’obiettivo dell’azienda sia quello di raggiungere nel 2013, un anno considerato ancora di crisi, il livello massimo quanto a valore delle azioni. Si punta cioè a far lievitare il titolo Mediaset fino a portarlo a 3,5 euro.

Una meta praticamente a portata di mano visto che dall’inizio dell’anno il titolo Mediaset è cresciuto addirittura del 120 per cento. E la corsa non è ancora finita visto che tra pochissimo tempo si dovrà definire anche la questione dei diritti sul calcio. Insomma, l’allontanamento dal Biscione è durato pochissimo, appena due giorni.

Del Vecchio tra gli uomini più ricchi d’Italia

Nella giornata di oggi, invece, il titolo Mediaset, detenuto al 41,29 per cento da Silvio Berlusconi, ha guadagnato il 3% così che le azioni valgono circa 3,4 euro. Il record annuo è praticamente bissato visto che si era fermato a 3,48 euro il 6 agosto. Per avere una performance uguale si deve andare indietro nel tempo fino al 2011, al mese di giugno.

Piazza Affari ha dimenticato il Cavaliere

In quel periodo il titolo Mediaset è cresciuto molto prima che la BCE decidesse di gestire il crollo del potere politico e finanziario di Silvio Berlusconi.

Multe salate per le banche inglesi

 In questi giorni si assiste ad un movimento molto strano dell’oro da Londra alla Svizzera. Gli investitori che finora si erano affidati all’oro di carta, hanno iniziato a comprare lingotti veri e a metterli nei forzieri svizzeri. La capitale inglese, quindi, sta soffrendo un’emorragia del metallo prezioso.

Ma la notizia più importante che riguarda il Regno Unito è senz’altro quella relativa al suo sistema creditizio. Le grandi banche inglesi, infatti, sono state scoperte nel mettere in campo una truffa bella e buona. Gli istituti di credito incriminati hanno venduto dei prodotti assicurativi con i quali ambivano a tutelare il furto d’identità sulle carte di credito. La polizza aggiuntiva, però, era legata ad un reato per il quale i clienti erano già coperti.

PIL del Regno Unito e sterlina

Nella City si sono così accumulati circa quindici miliardi di sterline di rimborsi. La City però non è soltanto cresciuta dal punto di vista finanziario ma ha anche alimentato lo scontro tra le autorità finanziarie e quelle che nella City fanno il bello e il cattivo tempo. Così adesso, ci sono ben 13 banche tra le maggiori del Regno Unito che per via di queste “false” assicurazioni, dovranno pagare una multa da 1,3 miliardi di sterline che in euro sono ben 1,5 miliardi.

Parliamo anche di Barclays, Lloyds, Hsbc e Royal Bank of Scotland.

Deludono i ricavi dell’HP

 L’utile trimestrale di Dell testimonia il crollo dell’azienda americana e non va meglio per un altro colosso dei computer, la società HP. I tablet, ormai, insieme agli smartphone, hanno colonizzato il mercato e chi produce computer desktop e accessori ad essi collegati, non ha vita facile.

L’HP, in realtà, soffre anche per tutti i competitor che ha trovato nel mercato server. E’ così che nel terzo trimestre fiscale si chiude con ricavi che non rispettano le attese degli analisti e del mercato. Certo è che si torna a parlare di utili, ma non basta per tenere a galla il titolo che alla fine subisce un crollo importante in borsa.

HP cerca giovani laureati

I computer tradizionali non tirano più il mercato e così dopo il crollo di Dell, gli investitori iniziano a percepire il crollo dell’HP. Nel terzo trimestre fiscale, come già accennato, si torna a parlare di utili ma i ricavi sono ancora in calo, anzi si assiste all’ottava flessione consecutiva. La ripercussione in borsa è immediata e si assiste ad una perdita del 7 per cento del valore del titolo.

Il management non si giustifica e non cerca scappatoie per rassicurare gli investitori, anzi, con molta franchezza, l’amministratore delegato dell’HP dice in una conference call che la ripresa del fatturato non ci sarà prima del 2014.

Confcommercio contro le FS privatizzate

 Privatizzare le Ferrovie dello Stato per rendere il trasporto su rotaia più efficiente e, perché no, meno costoso. E’ sicuramente questo quello che pensano i comuni investitori davanti all’ipotesi che le Ferrovie dello Stato non siano più dello Stato. In realtà una trasformazione della struttura di questa società non è considerata universalmente “la cosa giusta”.

I bond delle FS piacciono agli investitori

L’ultimo parere negativo, a riguardo, è stato fornito da Confcommercio. Il vicepresidente dell’Associazione ha spiegato che l’ingresso di un attore privato nel settore dei trasporti ferroviari, potrebbe tradursi in una colonizzazione di un settore strategico, con la progressiva riduzione della coesione socio economica e della competitività dei territori italiani.

Italia recupera terreno ma i fondi UE sono a rischio

Portare in campo la coesione socio-economica del paese per spiegare quello che succede alle Ferrovie dello Stato è senz’altro ad effetto ma Confcommercio ci tiene a precisare che la rinuncia alla statalità dell’azienda sarebbe un autogol. Confcommercio, si mette così contro lo stesso Mario Moretti, Amministratore Delegato di Ferrovie dello Stato che, invece, dichiara la sua società pronta al cambiamento di stato.

La paura, tra l’altro fondata, di Confcommercio, è che passando nelle mani di un privato, il trasporto su rotaia si concentri sulle tratte più trafficate e remunerative, trascurando quelle meno gettonate, con una riduzione del servizio e delle possibilità di sviluppo dei flussi commerciali.

L’oro da Londra alla Svizzera

 Chi sta facendo il pieno d’oro? Una domanda fondamentale per conoscere la domanda e l’offerta del bene rifugio d’eccellenza, al fine di scommettere in modo sicuro e remunerativo per il futuro. Una risposta interessante è stata data dagli analisti che hanno osservato un movimento dal Regno Unito alla Confederazione Elvetica.

La strana performance positiva dell’oro

Il dato riportato è il seguente: nel primo semestre del 2013, da Londra sono passate in svizzera circa 800 tonnellate d’oro. Per il valore del metallo in questione si tratta di un’operazione valutata in 2,6 miliardi di euro. Dalla Svizzera, però, fanno capire che non è colpa dei loro connazionali se c’è stato questo movimento, visto che un acquirente d’oro su due è italiano.

Aumentano i rialzisti tra gli hedge funds

Per capire l’importanza di questo spostamento è bene fare un paragone con l’anno scorso. Nel 2012 sono stati spostati da Londra alla Svizzera, circa 80 tonnellate d’oro in sei mesi. Questo vuol dire che il momento in atto è dieci volte superiore a quello registrato l’anno scorso.  Molto interessante il controvalore acquistato dall’oro in questo passaggio. Dal Regno Unito alla Confederazione Elvetica, il controvalore del metallo prezioso è di 2 miliardi e 600 milioni di euro.

Tutta l’operazione sembra dovuta al fatto che molti risparmiatori hanno detto addio all’oro di carta per comprare dei veri lingotti da conservare nei caveaux elvetici.

La birra tedesca è un cartello

 Quanto aumenterà ancora il prezzo della birra? La risposta a questa domanda non è facile visto il movimento dei mastri birrai tedeschi che hanno deciso di fare cartello attorno ad una delle produzioni locali più caratteristiche del paese.

Tutti i principali produttori di birre bionde hanno deciso da circa vent’anni di conservare elevato il prezzo della bevanda in questione. I piccoli birrifici non hanno saputo opporsi e sono stati costretti a fare altrettanto. Adesso, però, è arrivato il momento di cambiare tendenza e sembra che siano pronte delle sanzioni economiche, anche abbastanza elevate per uso di pratica commerciale scorretta.

Cos’è la spending review delle famiglie

La storia che stiamo raccontando è stata illustrata in modo esemplare da Focus online e poi rilanciata da diversi quotidiani italiani e tedeschi. Sotto la lente d’ingrandimento ci sono i diritti dei consumatori che amano bere birra. Consumatori tedeschi, è inteso. In Germania, il grande pubblico degli amanti della bionda e gli intenditori, non vogliono accordi dannosi sui prezzi della loro bevanda preferita.

Lavorare all’estero con Heineken

Le autorità tedesche, quindi, hanno deciso in questo momento di combattere il cartello dei produttori di birra a suon di multe. Si parla anche di centinaia di milioni di euro che dovranno essere scuciti dai grandi produttori, tra cui spiccano i nomi di Veltins e Bitburger.