Zanonato prova a ridurre il caro benzina

 Siamo alla vigilia del grande esodo per le vacanze estive e come al solito si ripropone sui giornali il problema del caro benzina. Da un anno a questa parte sono state fatte le pulci alle accise a dimostrazione del fatto che a parità di prezzo da un anno all’altro, quello che rende i carburanti più costosi oggi che in passato, è il peso delle imposte.

Ancora aumenti record per la benzina

Purtroppo, nel fine settimana appena archiviato, si è assistito ad un nuovo aumento del prezzo della benzina e del diesel. La situazione è stata osservata da vicino anche dal Ministro dello Sviluppo Economico che non ha esitato a richiamare all’ordine i petrolieri. Il ministro ha fatto presente che la situazione economica del nostro paese non consente di accettare e sopportare nuovi rincari.

La polemica, dunque, imperversa su tutto il paese ed è arrivata fino a Palazzo Chigi dove si ascoltano anche le parole del Garante per gli scioperi che, in vista della serrata di martedì sera, mette tutti in guardia e convoca le compagnie petrolifere per risolvere la situazione.

Il golpe egiziano manda nel panico le borse

La situazione è allarmante perché siamo alle porte delle vacanze e con i rincari previsti si va abbondantemente sopra la soglia dei prezzi medi validi in Europa. Nel nostro paese i carburanti costano già tanto, si andrebbe davvero a pagare troppo. Un ulteriore peso sulla crisi?

Previsioni e borse legate alla Cina

 Il rallentamento dell’economia cinese era già stato vaticinato dagli speculatori e dagli investitori finanziari, ma non si conosceva ancora l’entità di questo rallentamento. La Cina, adesso si sa, nel secondo trimestre dell’anno è cresciuta soltanto del 7,5 per cento, una crescita molto lenta e anche inferiore alle attese, soprattutto dal punto di vista percentuale.

PIL cinese in ribasso dopo il secondo trimestre

Fortunatamente la borsa di Tokyo era chiusa per ferie e quindi non ci sono stati contraccolpi traumatici nella gestione dei report legati alla Cina. Tutto si è svolto nel Vecchio Continente dove gli acquisti nelle principali piazze sono stati modesti. Nello specifico, per quello che riguarda l’Italia, sembra sia ancora troppo alta la tensione e le aspettative riguardo la soluzione del debito pubblico.

La Cina, tutto sommato, è riuscita a sostenere gli scambi nei listini asiatici, nonostante la crescita al di sotto delle aspettative. I listini europei, invece, hanno subito di più il contraccolpo e infatti la partenza positiva della settimana è stata immediatamente contraddetta da un indebolimento degli scambi.

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A Wall Street, intanto, il Dow Jones è avanzato soltanto dello 0,1 per cento, un incremento lieve che sembra aver fatto dimenticare all’improvviso i record segnati alla fine della settimana scorsa. Il Nasdaq, invece, è rimasto lo stesso, nonostante i report legati alle vendite al dettaglio negli States, diano queste in salita dello 0,4 per cento nonostante l’aumento previsto dello 0,8 per cento.

L’Australia pensa ad un nuovo taglio dei tassi

 L’Australia, fino a pochi mesi fa, aveva resistito alla crisi e anche la banca centrale del paese, diversamente rispetto alle altre banche centrali, non aveva dovuto studiare dei metodi per stimolare lo sviluppo dell’economia. Invece adesso, dall’altra parte del mondo, sembra che stia cambiando qualcosa.

Valute e materie prime legate verso il ribasso

Non è un mistero che globalmente la situazione finanziaria è compromessa con il PIL della Cina in forte rallentamento, anche peggio del previsto e con le vendite al dettaglio americane che non riescono a soddisfare le aspettative degli analisti. Finora, l’unico continente che resta sotto la lente d’ingrandimento è l’Europa dove molti investitori stanno spostando i loro capitali.

La valuta debole del mese è l’Aussie

Per quanto riguarda l’Australia, le cose sembrano mettersi male, soprattutto se si considera l’aspetto monetario della situazione. Il dollaro australiano, infatti, conosciuto anche come Aussie, è in caduta libera, è diventato il protagonista, in negativo del mercato Forex.

Tutto dipende, dicono, dal fatto che ci si aspettava una mossa incisiva da parte della Reserve Bank of Australia, il classico taglio dei tassi d’interesse. In più a compromettere le sorti della moneta australiana c’è stato anche il rischio di un hard landing della Cina, paese al quale l’Australia è molto legata dal punto di vista commerciale. Il trend negativo dell’Aussie è confermato anche per il mese di luglio.

PIL cinese in ribasso dopo il secondo trimestre

 Che l’economia cinese fosse in una fase di rallentamento era chiaro ma adesso, con i dati relativi al PIL del secondo semestre, tutto è palese. Sembra infatti che il prodotto interno lordo di questo paese sia cresciuto meno del previsto.

Si pensava di andare incontro ad una crescita del PIL del 7,7 per cento mentre tutto l’incremento si è fermato al 7,5 per cento. Non sono stati quindi rispettati nemmeno i parametri del primo trimestre dell’anno. Tutto è nelle corde, ovvero ci si aspettava una cosa simile.

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I dati che arrivano dalla Cina, tra l’altro, puntano tutti nella stessa direzione. Per esempio le vendite al dettaglio, soltanto a giugno 2013 sono cresciute del 13,3 per cento su base annua. Una crescita anche superiore alle attese visto che si pensava ad un rialzo del 12,9 per cento.

Cala ancora la borsa di Tokyo

Il dato che non convince, o meglio preoccupa, gli investitori, è quello relativo alla produzione industriale che nel mese di giugno è aumentata dell’8,9% su base annua mentre nella rilevazione precedente il rialzo era stato più consistente, del 9,2 per cento.

La Cina, intanto, fa i conti anche con un altro problema finanziario: la cosiddetta fuga di capitali. Dal 2008 ad oggi, infatti, molti investitori hanno abbandonato il paese per andare a fare business altrove. In queste ultime settimane, il moto verso l’esterno è stato notevolmente accelerato.

Aumentano i rialzisti tra gli hedge funds

 Il crollo delle quotazioni dell’oro, soprattutto all’inizio dell’anno, ha colto di sorpresa numerosi investitori che si aspettavano di vedere il metallo in questione scambiato anche a 1900 dollari l’oncia. Adesso, invece, si fanno i conti con il crollo delle quotazioni che sono scese alla fine di giugno fino a 1180 dollari l’oncia. Si tratta del livello minimo registrato da 3 anni a questa parte.

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Cosa potrebbe cambiare nel breve periodo? Tutto dipende dagli investitori internazionali e dalle loro sensazioni. I cosiddetti hedge funds, infatti, non sono convinti che il crollo delle quotazioni dell’oro sia da considerarsi un trend di lungo periodo. Anzi.

In questo primo tratto di luglio, per l’appunto, l’oro ha recuperato il 10 per cento del suo valore e le quotazioni hanno raggiunto anche la soglia dei 1300 dollari l’oncia. Questa inversione di tendenza sembra legata alla diminuzione del numero di venditori. Per questo è lecito aspettarsi un recupero dei prezzi nella seconda parte del 2013, nel secondo trimestre dell’anno.

La bolla oro ai minimi

Le posizioni rialziste sono state analizzate anche dalla Commodity Futures Trading Commission che proprio la settimana scorsa ha valuto un incremento del 4,1 per cento del numero degli investitori che credono nel recupero del dollaro. Secondo Standard Chartered, addirittura, si arriverà presto ai 1400 dollari l’oncia.

Italia recupera terreno ma i fondi UE sono a rischio

 L’Europa è diventata un terreno d’investimento per tutti coloro che sono a caccia di opportunità economiche e finanziarie. L’Europa, d’altro canto, con una serie di fondi tende a stimolare l’economia di tutti gli stati membri del Vecchio Continente. Peccato che non tutti sappiano usufruire di questi fondi.

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L’Italia, all’indomani del meeting di Bruxelles in cui sono stati definiti gli obiettivi di bilancio e in cui si è deciso di destinare parecchi soldi alla lotta contro la disoccupazione giovanile, era molto felice del risultato ottenuto. Lo stesso premier ha precisato di aver ottenuto più del previsto.

Trovato l’accordo sul bilancio UE

Purtroppo le ultime ricerche non sono altrettanto ottimiste visto che dopo la fine del periodo di programmazione 2007-2013, i soldi europei usati dall’Italia sono stati pochissimi. Il resoconto parla chiaro: il nostro paese ha usato soltanto il 38 per cento delle risorse del Fers, il Fondo per lo sviluppo regionale, ed ha usato meno risorse del previsto del Fse, il Fondo sociale europeo.

Peggio del nostro paese è riuscita a fare soltanto la Romania. In fondo, anche l’uso più corposo del Fse è da a attribuirsi all’escamotage trovato dal ministro Barca che ha usato quei soldi messi a disposizione dall’Europa per finanziare gli ammortizzatori sociali.

Sports Direct in Inghilterra cresce ancora

 Ci sono delle aziende che in questo periodo di crisi riescono ancora a far sorridere i loro dipendenti, senza minacciarli di nuovi tagli del personale o dei compensi, quanto piuttosto aumentando loro lo stipendio. E’ successo ai dipendenti di Sports Directs in Inghilterra che con il superbonus ha fatto quadruplicare i salari dei commessi.

Banche inglesi sotto la pressione della BoE

Nel dettaglio sembrano siano stati distribuiti ben 135 milioni di sterline di bonus ai dipendenti visto che proprio grazie al loro lavoro, l’azienda è riuscita a crescere del 40 per cento raggiungendo una valutazione di 200 milioni di sterline. Tutti i commessi saranno premiati e per capire quanto gradito sia il risultato è sufficiente specificare che i commessi che saranno pagati meno, riceveranno ben 70 mila sterline.

Se il Regno Unito avesse adottato l’euro

Premi di questo tipo sono molto frequenti tra cui svolge lavori nel campo dello sport o della finanza. Insomma per banchieri e calciatori il premio di Sports Direct per i commessi sono soltanto bruscolini. Invece, considerando lo stipendio di un commesso che annualmente è di circa 20 mila sterline lorde, si capisce bene che quegli 85 mila euro, vale a dire 70 mila sterline, sono davvero tanti.

In totale i dipendenti a tempo indeterminato di Sports Direct sono due mila e non sembra che nella storia inglese ci sia stata prima d’ora un’azienda capace di fare altrettanto bene.

Google delude ma continua a crescere

 Google, da troppo tempo coinvolto nei processi per elusione fiscale, è comunque un’azienda che continua a crescere. Peccato che la crescita in termini economici e finanziari non sia accompagnata da un incremento della reputazione sul mercato.

In questo particolare terreno d’azione, infatti, il mercato, Google delude ancora. In particolare gli investitori additano quel che è fatto per lo sviluppo della pubblicità sul mobile, oltre che il calo delle vendite. La flessione degli introiti è dovuta soprattutto alla perdita di appeal degli smartphone e dei tablet.

L’OCSE contro l’elusione fiscale

In generale, però, il fatturato continua a crescere e registra un ottimo +19 per cento, giungendo a quota 14,11 miliardi di dollari. Una crescita importante anche se posizionata sotto la soglia attesa dagli analisti che avrebbero voluto gioire al raggiungimento dei 14,46 miliardi di dollari.

In rialzo, intanto, ci sono anche gli utili che registrano un buon +16 per cento raggiungendo quota 3,23 miliardi di dollari. Nel secondo trimestre del 2012, usato per fare le necessarie comparazioni, gli utili si erano cristallizzati intorno ai 2,79 miliardi di dollari.

Google leader dell’adv mobile

Adesso, quindi, a Google non resta che convincere gli inserzionisti pubblicitari che tutto va a gonfie vele. Peccato che ci sia poco studio e poca applicazione riguardo le campagne pensate per i dispositivi mobili. Il fatto è che se la maggior parte delle ricerche è fatta tramite smartphone o tablet, è importante trascurare per un attimo i pc per concentrarsi di più sul mobile.

Generali è too big to fail

 Ci sono della aziende in giro per il mondo, considerate da tutti troppo grandi per fallire. Quando si entra a far parte di questo club esclusivo, in genere, si ottiene una visibilità mediatica che invoglia gli investitori. Questi ultimi, tra l’altro, possono stare sicuri che il fallimento sarà evitato a tutti i costi perché sconveniente per l’azienda e per la società civile ed economica di riferimento.

Gli effetti della liberalizzazione

In questo speciale insieme di aziende, negli ultimi giorni, è entrato anche il gruppo assicurativo Generali che ha riscosso il plauso dalla comunità finanziaria europea ed italiana. Generali è stato indicato come “troppo grande per fallire” dal Financial Stability Board.

DETTOFATTO di Generali

Essere troppo grande per fallire, comporta che l’azienda s’impegni a mantenere alto il livello di riserve, più alto del normale. In più devono essere stilati dei piani organizzativi per limitare i danni economici e i fallimenti nel momento in cui la crisi durerà troppo o ci sarà una nuova ricaduta nel baratro della recessione.

La lista dei “too-big-to-fail” è composta da alcune importanti aziende assicurative europee. Oltre a Generali troviamo anche Axa, Allianz, Prudential e Aviva. In più ci sono le tre aziende statunitensi Aig, Metlife e Prudential financial e un gruppo assicurativo cinese: Ping an.

Cresce il fatturato industriale a maggio

 Il fatturato dell’industria italiana è in leggera ripresa. Si tratta di una buona notizia nonostante la debolezza dell’incremento dell’indice. In fondo gli investitori vanno proprio alla ricerca di segnali di questo tipo per tornare ad avere fiducia nel nostro paese.

La ripresa del fatturato dell’industria italiana è molto importante anche se si tratta di un salto piccolissimo dello 0,1 per cento registrato a maggio rispetto al mese precedente. Poi, in termini generali, quindi su base annua, il calo del fatturato è ancora preponderante.

La BCE chiede attenzione per le PMI

L’Istituto nazionale di statistica, però, ci tiene a dare qualche numero e non c’è molto da star tranquilli ad osservare la reportistica, infatti, tra il maggio del 2012 e il maggio di quest’anno, si sono registrati ben 17 cali consecutivi e l’ultimo è stato pesante: -5,1 per cento.

L’Istat mostra il calo dell’industria nel 2012

Quasi tutti i prodotti hanno perso un buon numero di ordini, tranne che per quel che riguarda i prodotti farmaceutici che continuano a crescere, sia per quanto riguarda il fatturato, sia per quanto riguarda gli ordinativi.

Riassumendo: a maggio si è registrato un leggero rimbalzo dell’industria italiana che sembra tornare timidamente alla ribalta. A fronte di un calo degli ordinativi esteri, tiene bene il fronte interno. A livello annuo però il calo del fatturato è pesante soprattutto per gli ordini che arrivano dall’Italia (-8,3%).