Un’impresa su tre chiude i battenti

 Se si dovesse giudicare la situazione dell’Italia a partire dalla condizione delle imprese potremmo dire di non navigare in buone acque visto che come sottolinea la CGIA di Mestre, oggi, un’impresa su tre abbassa le serrande per i debiti accumulati negli anni con la Pubblica Amministrazione.

La crisi di oltre 23 mila imprese italiane

I crediti che le aziende hanno maturato nei confronti dello Stato sono di circa 120 miliardi di euro. Al capitale finora accumulato si aggiunge il ritardo endemico nei pagamenti. Il bilancio di questo pessimo atteggiamento è così fatto: dal 2008 al 2012 più di 15.000 aziende sono state portate al fallimento.

Pagare entro il 2013 tutti i debiti della PA

Ad aggravare la situazione ci ha poi pensato la crisi che dura ormai da troppo tempo. A marzo la Banca d’Italia aveva effettuato un’audizione per tirare le somme sui debiti accumulati dalle PA. Allora il debito della Pubblica Amministrazione era di 91 miliardi di euro ma adesso sembra plausibile che sia cresciuto fino a 120 miliardi.

Nella prima fotografia scattata dai ricercatori di via Nazionale, tra l’altro, erano stati esclusi tutti gli imprenditori a capo di aziende con meno di 20 impiegati, vale a dire il 98 per cento del tessuto “industriale” italiano. Considerando tutti i tipi di imprese e considerando i debiti complessivi delle PA, non si può evitare di lanciare l’allarme.

Il declassamento dell’Italia

 L’Italia non attraversa un momento economicamente e finanziariamente florido tanto da essere stata declassata nuovamente dalle agenzie di rating. Adesso però la situazione si fa davvero preoccupante perché siamo sull’orlo del fallimento, ad un passo dalla considerazione dei nostri titoli come titoli spazzatura.

Confermata la tripla A per la Germania

Ad operare l’ultimo downgrade ci ha pensato l’agenzia di rating americana Standard&Poor’s proprio mentre l’America e l’Europa stanno per intraprendere le trattative sul codice che regolamenta le transazioni commerciali tra il Vecchio e il Nuovo Mondo. Insomma un downgrade che arriva in un momento a dir poco strategico.

Standard&Poor’s ha spiegato che è in atto una revisione del rating di tutti i paesi dell’area euro. Alla Germania è stata confermata la tripla A e il ruolo di prima della classe in Europa. Adesso non resta che capire quello che è successo all’Italia.

L’accordo commerciale tra USA e UE

Il rating del nostro paese è stato tagliato dal livello BBB+ al livello BBB ed è stato confermato l’outlook negativo. Questa nuova considerazione dell’Italia potrebbe aprire la strada ad un buon numero di speculazioni borsistiche. Una prospettiva nemmeno troppo lontana dalla realtà visto che è già successo in passato.

Milano ha dunque aperto in ribasso le contrattazioni e il premier Letta ha spiegato che il governo s’impegnerà di nuovo e in modo più efficiente sulla riforma dell’IMU e sulla ricerca di fondi per evitare l’incremento dell’IVA.

Olli Rehn tiene duro sulla questione deficit

 C’è un volto inflessibile dell’Europa finanziaria ed è rappresentato in questo momento da Olli Rehn che nonostante le dichiarazioni ottimistiche di Enrico Letta alla fine dell’ultimo meeting di Bruxelles, ribadisce che il limite del 3 per cento sul deficit è da considerare inderogabile.

L’Italia esce dalla procedura di deficit

L’Italia, stando a quanto detto dal nostro premier, è tornata a casa da Bruxelles avendo ottenuto più del previsto. In primo luogo, infatti, siamo usciti dalla procedura per deficit eccessivo e poi, altra novità ancora più importante, sono state approvate le misure per il rilancio dell’occupazione giovanile: i fondi messi a disposizione dal bilancio europeo finiranno anche e soprattutto nelle casse dello stato italiano che figura tra quelli maggiormente in difficoltà sul fronte lavoro.

La BCE punta il dito sull’Italia

Eppure non è tutto oro quel che luccica a sentire Olli Rehn, il commissario agli Affari economici che ha inviato una lettere ai ministri dell’Economia dell’Unione Europea e anche senza citare in modo particolare l’Italia, ha inviato un messaggio importante al governo di Roma.

La flessibilità dimostrata da Bruxelles in queste ultime settimane non deve far pensare che adesso, in Europa, tutto sia possibile, anzi. Il muro dei 3% di deficit non deve essere abbattuto e non esistono deroghe per nessuno al rispetto di tale parametro. E’ scritto nel fiscal compact e va gestito come già detto da tempo.

Alitalia ancora in crisi cerca 300 milioni di euro

 Alitalia è la nostra compagnia di bandiera ma si sa che nonostante gli sforzi del governo e della famosa cordata di investitori, i suoi bilanci sono sempre sotto pressione. Stavolta il presidente di Alitalia, Roberto Colaninno, non usa mezzi termini per descrivere la situazione dell’azienda che inizia a temere anche per la stabilità del titolo in borsa.

Alitalia in subbuglio per le Mille Miglia

Roberto Colaninno spiega ad azionisti e investitori di Alitalia che quest’anno, quindi nel 2013, ci sarà sicuramente una perdita e sarà per questo necessario approdare ad un nuovo piano d’investimenti, un piano molto pragmatico e finanziariamente semplice che consenta di riportare l’equilibrio nei bilanci.

Easyjet sfida Alitalia sulla tratta Milano-Roma

Se questa riorganizzazione dovesse essere immediatamente quantificata, diremmo che servono alla compagnia aerea tricolore circa 300 milioni di euro entro la fine dell’anno. Questa ricerca forsennata di finanziamenti nasce dall’idea che per il momento Alitalia non è in vendita e non c’è nessuna intenzione di mettere i velivoli tricolore sul mercato. In futuro, però, quando le finanze saranno risanate, non si esclude che Alitalia sia rimessa sul mercato.

Per il momento bisogna fare i conti con una situazione economica drammatica. Anche nel 2013, infatti, l’azienda perderà denaro. C’è bisogno di dare una svolta ed è tutta nelle mente di Colaninno che resta con i piedi per terra e dichiara che prima del 2016 non si giungerà ad un risanamento definitivo.

Il golpe egiziano manda nel panico le borse

 Sulle borse di tutto il mondo è calato il gelo dopo la notizia del golpe militare il Egitto. Il Medio Oriente, da sempre un territorio ad elevata instabilità politica, sta per trasformarsi anche in un detonatore finanziario. Il petrolio, infatti, legato al business anche egiziano, accusa il colpo e vola in alto.

La guerra portoghese contro l’austerity

Le tensioni politiche, anche in Medio Oriente, in Egitto nello specifico, si trasformano in tensione finanziaria e così il golpe dei militari contro il presidente Morsi, impensieriscono gli investitori come anche quella benzina gettata sul fuoco della crisi da Atene e da Lisbona.

L’economista greco Varoufakis sulla crisi

Insomma le borse tremano per via dell’incremento del prezzo del petrolio che vola verso quota 100 dollari al barile. Una cifra praticamente mai raggiunta da settembre dell’anno scorso. La primavera araba sembra già un’eco lontano. E non basta.

L’Europa, dal punto di vista finanziario, è stata messa a ferro e fuoco. In Portogallo, per esempio, il governo ha deciso di procedere con il rimpasto dopo che una buona parte dell’esecutivo in carica, ha fatto un passo indietro sull’austerity. Le richieste che arrivano da Bruxelles, adesso, non sono più così ben accolte.

Un discorso analogo va fatto per Atene messa alle strette sempre dall’Europa. Le borse, intanto, perdono terreno e Piazza Affari, solo per citare il mercato più vicino, chiude le contrattazioni con il -0,50%.

Mediaset cresce e pensa alla paytv

 Lo scandalo Ruby che ha coinvolto soltanto Silvio Berlusconi sembra aver impensierito pochissimo coloro che hanno investito denaro nell’azienda di famiglia. Insomma, Mediaset non è in pericolo per via di quello che succede nelle varie aule di tribunale all’ex premier.

Anche Mediaset corre in borsa

Il vice presidente della società, Pier Silvio Berlusconi, infatti, durante la presentazione dei palinsesti, spiega che adesso è sempre più difficile per chi si occupa di televisione, chiudere i bilanci in positivo, però Mediaset è stata graziata dalla crisi.

In realtà sulle finanze dell’azienda milanese sembra aver influito moltissimo il governo di larghe intese. Il mercato della pubblicità, infatti, si è ripreso ed ha visto investitori pubblicitari più tranquilli e disposti all’effluvio di denaro. Mediaset è così cresciuta e per la prima volta da due anni a questa parte, a luglio torna in terreno positivo la raccolta pubblicitaria.

Cosa ha deciso l’UE per il nostro paese

Anzi, si avrà anche una raccolta superiore alle attese del 3 per cento. Fino alla fine dell’anno, però, non si può certo dire che sarà facile. Chiudere in rosso è quasi automatico. Le condizioni dell’azienda e del comparto pubblicitario, possono sicuramente migliorare, visto l’impegno profuso da chi lavora nel settore. L’unico neo è il mercato dell’advertising in generale che attraversa un momento molto critico.

L’aumento della raccolta pubblicitaria di luglio ha convinto i Berlusconi che l’azienda è pronta per nuove avventure. La prima potrebbe essere una sfida della paytv.

I nuovi costi della telefonia in Europa

 Se c’è crisi e soprattutto se la crisi dura a lungo, il primo pensiero dei cittadini è risparmiare il più possibile su ogni spesa della vita quotidiana. Moltissime ricerche sui consumi dimostrano che gli italiani sono disposti a scendere a patti sugli acquisti alimentari, sono disposti a rinunciare all’abbigliamento all’ultima moda ma vogliono restare sempre in contatto con i loro amici.

Il roaming non sarà più a pagamento

Per questo, a livello informativo ed economico, è interessante sapere che il costo delle chiamate tramite cellulare, anche all’estero, è diminuito sensibilmente per via dell’entrata in vigore della nuova normativa sul roaming. Dall’inizio di luglio, per chiamare in Europa si spenderà meno che in passato e poi ci saranno ulteriori tassi delle tariffe negli anni a venire.

Nokia fa affari con Siemens

Navigare e telefonare con il cellulare all’estero e nella maggior parte del territorio europeo, costa meno grazie ad un accordo dei gestori delle reti di telefonia che hanno deciso di aiutarsi vicendevolmente consentendo l’appoggio degli operatori stranieri sulla rete locale.

A livello europeo sono stati stabiliti i limiti massimi del costo di una chiamata fatta all’estero che non deve superare i 24 centesimi di euro al minuto. Il limite precedente era a 29 centesimi. Tra un anno si arriverà alla soglia dei 19 centesimi.

Per gli sms, invece, il costo sarà di 8 centesimi al massimo.

In crisi tutta l’industria degli elettrodomestici

 Il mondo industriale è in crisi su scala planetaria e in questo momento si sente parlare con sempre maggiore urgenza della crisi delle industrie di elettrodomestici. In fondo, per avere un caso emblematico di fronte agli occhi, non dobbiamo nemmeno andare troppo lontano.

Possiamo infatti parlare di Indesit che ultimamente ha deciso di rinnovare l’azienda e per farlo ha pensato di usare una strategia molto comune a chi è sempre in cerca di risparmio: delocalizzare la produzione. Le aziende che attraversano un momento difficile, infatti, cercano delle nuove location per la produzione, magari all’estero laddove la manodopera ha un costo minore che in Italia.

A parlarne in modo approfondito ci ha pensato Dario Di Vico del Corriere della Sera che piuttosto che parlare della Indesit affronta il problema della crisi del settore degli elettrodomestici in tutta Europa. Sembra infatti che molti stiano migrando verso la Polonia, dove la manodopera si sta specializzando nella realizzazione di frigoriferi e lavatrici.

Il colpo proibito all’ottimismo tricolore

L’unica via d’uscita in una situazione del genere è inventare qualcosa di nuovo. In questi casi il punto di riferimento è sempre Adriano Olivetti che subodorando la crisi del settore delle macchine da scrivere, riconvertì la produzione scegliendo la via fortunata dei computer.

Chi investe nelle opzioni binarie, per avere ragione, deve individuare l’azienda in grado di lasciare la via vecchia per la nuova.