Il credit crunch cinese non piace all’Europa

 La Cina ha rallentato la crescita e questo particolare preoccupa soprattutto l’Europa che nel colosso asiatico esporta numerosi materiali. Le preoccupazioni maggiori, in tal senso, attanagliano la Germania che considera la Cina il maggiore recipiente dell’export del settore manifatturiero. Tecnicamente, per la Cina, si potrebbe parlare di default, ma la People’s Bank of China smentisce questa analisi.

La Cina e l’immobiliare tricolore

Si sa che quando un mercato è preso nella morsa della paura, i movimenti e i trend sono di difficile interpretazione e in più si rischia l’immobilità delle contrattazioni. Ecco per quale motivo se la Cina rallenta e la paura assale gli investitori europei c’è da preoccuparsi non poco.

La Cina influisce sui mercati europei

Il problema principale secondo gli operatori del Vecchio Continente, è nel credit crunch che ormai interessa la Repubblica Popolare cinese. L’economia reale potrebbe subirne le conseguenze. La situazione delle banche cinesi, tra l’altro, non sembra prossima alla soluzione.

Alcuni blogger hanno aggirato la censura della rete dicendo che il paese è finito in un default momentaneo visto che per una mezz’ora circa è sprofondato nell’assenza di liquidità. Le banche, in più, si dimostrano poco flessibili concedendo un numero inferiore di prestiti rispetto al passato e a tassi addirittura proibitivi. Risolvere il problema delle banche è dunque il primo passo da compiere.

In Francia aumenta la disoccupazione

 La Francia, per molti analisti, è da considerare la bomba ad orologeria del Vecchio Continente perché pur essendo stata per molti anni l’unica alternativa allo strapotere tedesco, adesso subisce in modo anche pesante gli effetti della crisi, o meglio della recessione del Vecchio Continente.

La Francia vuole un governo dell’Eurozona

François Hollande, da quando è diventato presidente della Francia, ha cercato di risolvere i problemi strutturali del paese occupandosi della fiscalità e del mercato del lavoro, tanto che dopo il lancio del suo programma furono immediate le analogie con l’Italia e la sfida che i politici tricolore avrebbero dovuto affrontare.

Purtroppo a distanza di diversi mesi Hollande deve ripresentarsi davanti alla popolazione per un giudizio niente affatto positivo. Il presidente francese, infatti, aveva detto che presto ci sarebbe stato un calo del numero dei disoccupati e invece il tasso di disoccupazione è cresciuto arrivando a segnare un record storico. Il paese, in questo momento, considera sempre più faticosa e in salita la strada per allontanarsi dalla crisi.

La Francia ci prova con la supertassa per i calciatori

E’ stato così posticipato l’ingresso in un periodo migliore: del calo della disoccupazione, infatti, s’inizierà a parlare soltanto alla fine dell’anno. Più che una previsione, però, questa sembra un’altra illusione e a testimoniare che a pensar male non si fa peccato, come si direbbe nella tradizione popolare, arriva anche l’Istituto nazionale francese di statistica: il record nel tasso di disoccupazione sarà scritto proprio a dicembre.

 

Perché Huawei vuole la Nokia

 La compagnia finlandese di telefonia Nokia, per una serie di vicende societarie, è arrivata alla crisi ed ora sembra che l’unico modo per venirne fuori sia la vendita della società. In realtà, una volta sul mercato, la Nokia sarebbe da interpretare come un’opportunità piuttosto che come un’azienda in crisi.

L’hitech fa crescere l’Asia

In effetti il know how della Nokia è tale che se combinato in modo opportuno con altre aziende operanti nel comparto tecnologico, potrebbe arrivare alla sfida ad armi pari con altri colossi come Apple e Samsung. La vede proprio così il gruppo cinese Huawei che vorrebbe acquistare la società finlandese.

E questa non è soltanto un’indiscrezione visto che a parlare dell’argomento è il presidente della divisione business consumer di Huawei ai microfoni del Financial Times. Una fusione tecnologica, piuttosto che soltanto finanziaria e amministrativa, potrebbe portare la società cinese acquirente in posizione di leadership nel mercato degli smartphone.

Samsung promette di fare scintille

Sarebbe una notizia incredibile soprattutto se si considera che Apple sta per lanciare il nuovo iPhone e che Samsung sta cercando un accordo con Facebook per la fornitura di servizi ad hoc. La dichiarazione ufficiale, però, non lascia intravedere altro, nel senso che non ci sono ancora offerte economiche ufficiali già pronte sulle scrivanie della dirigenza finlandese.

 

Dole in vendita ed ecco l’offerta

 David Murdock ha 90 anni ed è uno degli imprenditori più importanti del mondo. In questo momento detiene il 40 per cento delle azioni della Dole Food Company ed è un riferimento per tutti coloro che vogliono lanciarsi nel business della produzione di frutta e verdura.

Grazie alla Pasqua la ripresa dei consumi

L’amministratore delegato della Dole Food Company, di recente, ha deciso di fare un’offerta per acquistare il 60 per cento delle azioni della società e raggiungere così il possesso pieno di questa realtà produttiva. Questa offerta d’acquisto è stata valutata dal New York Stock Exchange di New York in ben 1,5 miliardi dollari.

Bernanke parla della ripresa dell’America

Per Wall Street, questa è la notizia della settimana. La Dole, infatti, è un’azienda molto antica. La sua nascita risale al 1851 quando ci fu una collaborazione proficua tra la Castle&Cooke e la Hawaiian Pinapple Company che all’epoca apparteneva a James Sole.

Una volta creata, l’azienda, in pochissimo tempo, è diventata una delle più importanti produttrici di ananas anche se il suo settore d’intervento non era soltanto l’alimentare, poiché lavorava anche nei trasporti, nella produzione e nell’imballaggio, in particolare nella produzione di zucchero e nell’imballaggio dei frutti i mare.

Con le agevolazioni doganali sulla vendita dei prodotti agricoli, l’azienda ha iniziato a fare fortuna. Nel 2012, il fatturato di quella che poi è diventata la Dole Food Company, è stato di 4,2 miliardi di dollari.

Le strategie giuste per evitare i rischi

 Chi investe in opzioni binarie sa che con tali strumenti di trading è possibile avere un rendimento molto alto ma è anche facile che si corrano dei rischi “eccessivi”. Per tamponare l’emorragia di risparmi è sufficiente adottare delle strategie d’investimento e di copertura.

Il Decreto Sviluppo per gli opzionaristi tricolore

E’ facile immaginare come tutto dipenda dalla distribuzione degli investimenti, delle puntate, su più commodities. Per esempio, per evitare di correre troppi rischi si può sempre inserire uno stop loss legato alla posizione d’investimento in modo tale che se l’andamento del mercato è stato interpretato male, allora si possono contenere le perdite.

Lo stop loss è uno degli strumenti privilegiati nel campo delle opzioni binarie, per la gestione del rischio. Funziona in modo tale che superato il livello dello stop loss, l’ordine viene eseguito, ma per via dello slittamento del prezzo ci può essere comunque una perdita dell’investimento. In più, una volta effettuato l’ordine, è possibile che il mercato cambi direzione e torni nel rango delle previsioni.

La crescita di Svizzera e Giappone

Ecco perché è importante la copertura. Per esempio se si verifica una posizione stop lunga in acquisto, ci si può tutelare tramite l’acquisto di un’opzione put il cui prezzo coinciderà con il prezzo da pagare per eliminare il rischio della perdita.

 

I problemi monetari partono dalla BCE

 Gli investitori, in questi ultimi giorni, hanno riposto particolare attenzione alle parole e ai proclami della Federal Reserve degli Stati Uniti. La FED, infatti, ha spiegato di voler interrompere o meglio abbandonare progressivamente il piano di quantitative easing.

Di che si discute tra BCE e Germania

Secondo alcuni analisti del Financial Times, invece, l’attenzione a livello valutario non deve essere posta nelle parole della FED, quanto piuttosto nelle decisioni della BCE che deve intervenire in un’area molto delicata dove le cose, a livello economico, potrebbero mettersi male.

La BCE punta il dito sull’Italia

In più, mentre per quanto riguarda l’area americana, sia i banchieri che i politici sanno dove vogliono arrivare, è chiaro che non c’è una volontà univoca dei politici europei. In fondo, nel Vecchio Continente, non c’è un’immagine normale cui tendere. La Germania, in particolar modo, non vuole sottostare al funzionamento della moneta unica.

Lo stesso Jens Weidmann ha criticato fin dall’inizio il programma OMT portato avanti dalla Banca centrale europea, lo stesso programma che è stato sottoposto al pronunciamento della Corte Europea. Secondo il Financial Times, la BCE, in questo momento non può pensare né cercare di tornare in una condizione di normalità.

D’altronde è necessario che si risani il sistema bancario e che tutto torni a funzionare. Per farlo è importante che la Germania continui ad inviare dei flussi di capitali agli altri stati membri dell’Unione. Un particolare che proprio ai tedeschi non va a genio.

Potere d’acquisto e crisi immobiliare

 Il crollo del mercato immobiliare è oggi da considerare un dato di fatto visto che tutte le statistiche annunciano la riduzione del 50 per cento delle compravendite. Adesso, a livello speculativo, si cerca di capire le origini di questa situazione. L’ultima proposta interpretativa è quella di Federconsumatori e dell’Adusbef.

Queste due associazioni che si occupano della tutela dei consumatori hanno annunciato che il crollo del mercato immobiliare dipende dall’azione combinata dell’aumento dei prezzi delle case e della perdita del potere d’acquisto delle famiglie.

► Anche l’Istat conferma il calo immobiliare

Il rapporto cui le due associazioni fanno riferimento è quello dell’Associazione nazionale costruttori edili, l’Ance che ha parlato del dimezzamento delle compravendite nel nostro paese. Un dato che risulta quanto mai catastrofico. Non si deve pensare però che la stretta sui mutui abbia inciso in modo determinante,  né che a fare la differenza siano le tasse sulle abitazioni.

► La Cina e l’immobiliare tricolore

La radice principale della situazione contingente del mercato immobiliare è nella perdita del potere d’acquisto delle famiglie. Questo è diminuito del 14,1 per cento in cinque anni, dal 2008 ad oggi. Se poi si considera che i prezzi delle case non sono mai diminuiti, il gioco è fatto.

Con riferimento ai prezzi delle case bisogna specificare che la diminuzione dei costi degli immobili è stata lieve e limitata alle zone marginali e periferiche, così lieve da non poter influire sulla ripresa delle compravendite.

La crescita di Svizzera e Giappone

 Due notizie molto importanti per gli investitori riguardano la Svizzera e il Giappone che di recente, in un clima generale di crisi economica, hanno raggiunto dei traguardi importanti, in termini di rating e successi finanziari. Iniziamo dal Giappone, sotto la lente d’ingrandimento economica per la politica monetaria scelta dalla banca nazionale.

La bilancia commerciale del Giappone ha mostrato dei risultati molto interessanti visto che sono aumentate di notevolmente le esportazioni. Il deficit, parallelamente è cresciuto dai 907,9 miliardi di yen del 2012 ai 993,9 miliardi di yen del 2013 e le esportazioni, soltanto nel mese di maggio 2013, sono aumentate del 10,1 per cento.

Nessun accordo tra Svizzera e USA

Gli analisti finanziari avevano previsto un aumento delle esportazioni praticamente del 5 per cento quindi il risultato ottenuto è stato di molto superiore alle attese. A livello speculativo, si è approfittato di questi buoni risultati per rilanciare la bontà del programma finanziario, della cosiddetta Abenomics che aveva barcollato sotto il peso della volatilità della borsa.

Il franco svizzero presto in calo

L’altra buona notizia riguarda la Svizzera che al momento è considerato tra i paesi più affidabili del mondo per gli investitori. A dirlo sono le agenzie di rating che nel 2012 si sono scatenate nell’eliminazione dei paesi più “ricchi” dall’insieme delle triple A mentre hanno confermato un rating “AAA” alla Svizzera annunciato anche un outlook “stabile”.

Si può risparmiare con la RAI

 Uno stato in crisi come la Grecia, per risparmiare ha deciso di chiudere la televisione pubblica. In realtà non lo fa per risparmio ma per mancanza di liquidità da investire in questo tipo di programma comunicativo. Adesso anche l’Italia ha deciso di andare a mettere le mani sulla TV di Stato per fare cassa.

La RAI non è in vendita

La privatizzazione della RAI, di cui si comincia o meglio si ricomincia a parlare, è una specie di tormentone periodico. Adesso però il dibattito è passato dalle scrivanie degli operatori dei media, alle aule della politica. Addirittura è stato elaborato un dossier che spiega che tipo di risparmio si può avere da un’operazione del genere.

Il documento è stato realizzato da Mediobanca Securities che parte dal presupposto che l’Italia ha bisogno di risparmiare e di trovare le risorse finanziarie da investire nell’occupazione. Per adempiere alla priorità della riforma del mercato del lavoro sono necessari svariati miliardi di euro.

La privatizzazione della RAI vale 2 miliardi

Dalla privatizzazione di potrebbero avere circa 2,1 miliardi. Una cifra importante se si considera che i potenziali acquirenti di mamma Rai si troverebbero davanti un debito netto da sanare che è aumentato anno dopo anno. Ma quanto costa la tv di stato? Una stima credibile parla di 2,47 miliardi di euro. A parte ci sono da considerare i debiti netti calcolati alla fine del 2012, altri 360 milioni. Si arriva quindi proprio ai 2,1 miliardi di cui sopra.