Perché per la Lettonia l’euro è un bene

 La Lettonia ha ottenuto il via libera dalla Commissione europea e dal gennaio del 2014 sarà il 18esimo paese ad entrare a far parte della zona euro. Un passo decisivo e radicale, motivato dal fatto che il paese ha voglia di togliersi di dosso l’immagine di paese “povero”.

La Lettonia sempre più vicina all’euro

Secondo il primo ministro lettone Valdis Dombrovskis l’entrata nell’euro sarà sicuramente di stimolo alla crescita economica del suo paese. L’opinione del management politico è radicalmente differente da quella della popolazione che non è sicura di voler entrare nello spazio economico del Vecchio Continente.

Il 35% degli intervistati rappresenta l’esiguo zoccolo duro del movimento pro-euro. Al contrario coloro che sono pronti ad opporsi a questa scelta del paese, sono in continuo aumento. Alle ultime elezioni locali hanno addirittura dimostrato di crescere vistosamente.

L’austerity blocca il PIL americano

Per capire se si tratta della scelta giusta è stata tirata in ballo la teoria economica dell’area monetaria ottimale, ovvero di quel territorio dove i vantaggi e gli svantaggi di aderire ad un medesimo sistema monetario si bilanciano.

La teoria delle aree valutarie ottimali è del 1961 e parte da una teoria “generale” ovvero che un paese che fa parte di un mercato monetario ha il vantaggio di ridurre i costi del commercio ma ha lo svantaggio di non poter gestire gli shock esterni.

La Cina e l’immobiliare tricolore

 Il nostro mercato immobiliare è da troppi mesi in una fase di stallo e visto il perdurare della crisi europea e nazionale è sempre più complicato vedere la luce alla fine del tunnel. Nonostante questa amara considerazione è necessario rendersi conto che una via d’uscita c’è e arriva dall’Oriente. Ancora una volta le speranze sono riposte nella Cina.

Anche l’Istat conferma il calo immobiliare

La Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali ha spiegato che in circa 5 anni, dal 2007 al 2012, le compravendite di immobili nel nostro mercato nazionale, sono diminuite del 40 per cento. Questa flessione non è andata di pari passo con il calo dei prezzi degli immobili che sono scesi soltanto del 25 per cento dal 2008 ad oggi.

Gli italiani, alle strette anche per questioni lavorative, stanno posticipando l’acquisto della casa, mentre sembrano tornare alla carica gli investitori cinesi che sembrano propensi a trasferirsi nel nostro paese. Per avere una prova di quanto appena detto, è sufficiente leggere velocemente gli annunci immobiliari disponibili sul portale d’intermediazione immobiliare internazionale Juwai.com dove l’Italia è tra i paesi che più attraggono gli investitori cinesi. Il 37% delle richieste che arrivano dalla Cina, sono rivolte al mercato tricolore.

Si acquista casa anche senza mutuo

Il nostro paese, nonostante l’instabilità politica, è attraente per via del business del lusso e degli immobili usati a fini finanziari.

Il franco svizzero presto in calo

 Il franco svizzero si è configurato da tempo come una valuta di rifugio per gli investitori intenzionati a trovare una via di scampo meno costosa dell’oro. Il franco svizzero, anche per effetto dell’andamento degli indici giapponesi, ha finito per ritornare ad apprezzarsi con grande dispiacere della popolazione locale. Il trend rialzista, però, sembra essere momentaneo.

Le direttrici del mercato 2013 individuate da JP Morgan

Il franco svizzero, proprio in questi ultimi giorni, è tornato a crescere nonostante nelle ultime settimana avesse accumulato delle interessanti perdite. Il declino della valuta elvetica era iniziato dai ribassi dei titoli quotati nel mercato giapponese. Il crollo di Tokyo, legato all’aumento dell’instabilità finanziaria, ha indotto molto investitori a liquidare le posizioni di carry trading rispetto alle valute rifugio.

Integrazione e fallimento dell’euro per Saxo Bank

La conseguenza immediata di questi atteggiamenti è stato un rialzo dello yen e del franco svizzero. Questa volontà di allontanarsi dal rischio, però, potrebbe essere momentanea. Almeno questo è il sentiment dei ricercatori dell’Unicredit Research, i quali si aspettano di vedere di nuovo il franco in ascesa dopo la riunione della Swiss National Bank a metà di questa settimana. In quell’occasione i vertici della Confederazione ribadiranno che il valore del franco è troppo alto e spingeranno per aumentare il peg di 1,20 sul tasso di cambio tra l’euro e la valuta elvetica.

Le soluzioni di Mervyn King alla crisi

 Ormai crisi non è più il termine privilegiato per indicare la situazione economica del Vecchio Continente, nel senso che si parla soprattutto di recessione. Molti sono gli economisti che hanno provato ad indicare delle soluzioni. L’ultimo in ordine cronologico è senz’altro il governatore della Bank of England, Mervyn King che ha dato in pasto al FT le sue quattro soluzioni per l’Europa.

Secondo l’Economist il peggio non è passato

Il Financial Times ha voluto dedicare ancora spazio alla crisi dell’Eurozona e l’ha fatto affidando alla saggezza dell’editorialista Martin Wolf il compito d’intervistare il presidente della Bank of England. Le sue quattro soluzioni per il Vecchio Continente sono semplici e succinte. Le prime due ipotesi, tuttavia, sembrano essere troppo esose per gli attori principali.

La Francia vuole un governo dell’Eurozona

La prima soluzione, infatti, prevede di continuare con i tassi di disoccupazione attuali per il sud del mondo. Così facendo, infatti, si riusciranno nel tempo ad abbassare prezzi e salari fino a ritrovare la competitività. Una soluzione analoga potrebbe essere quella di introdurre una buona dosa di inflazione anche in Germania. Entrambe le soluzioni, è evidente, scoraggiano troppe persone.

Restano quindi due ipotesi: la prima è la rinuncia alla questione di ritrovare equilibrio e competitività a tutti i costi attraverso la profusione di denaro dal nord al sud dell’Europa. L’ultima ipotesi è quella di rivedere il concetto stesso di appartenenza ad uno stato membro.

Come cambia l’emigrazione italiana

 Il nostro paese, da sempre, soprattutto nel Novecento, è stato interessato dai flussi migratori in uscita. Nel senso che moltissimi italiani, ai primi del Novecento e nel secondo Dopoguerra, hanno tentato la fortuna trasferendosi all’estero con le loro famiglie. Le destinazione privilegiate erano l’Argentina e gli Stati Uniti, almeno all’inizio del secolo scorso.

Dove vanno i giovani che lasciano il proprio paese in cerca di fortuna?

Poi i flussi migratori si sono rivolti anche al nord Europa e in particolare al Belgio, alla Francia e alla Germania dell’Ovest. Questa nuova tendenza è stata considerata caratteristica del secondo Dopoguerra. Oggi non solo sono cambiate le mete dei nuovi migranti, ma anche le motivazioni per il trasferimento e la condizione sociale di chi ha la valigia pronta.

I giovani scappano dall’Italia

Riguardo le mete dei nuovi migranti si scopre che la meta più gettonata oggi è la Germania che assorbe il 20 per cento dei flussi italiani in uscita. Al secondo e al terzo posto si piazzano rispettivamente la Francia e la Gran Bretagna che assorbono il 16 e il 13 per cento dei flussi. A seguire l’Ungheria, l’Olanda e l’Austria, tutte con un 5 per cento di italiani migranti all’attivo.

Il trasferimento, spiga la ricerca, è compiuto senza la famiglia al seguito nel tre quarti dei casi e se si devono indicare almeno due motivi per spostarsi dal paese d’origine si parla di “ricerca di un reddito migliore” e “possibilità di fare carriera”.

Da un centesimo a 6600 euro

 Investire nel forex è una pratica comune per chi desidera far fruttare in modo semplice ed immediato i guadagni che ha messo da parte. Ultimamente si è parlato tantissimo dell’euro visto che a livello comunitario è stato stabilito che non saranno più messe in circolazione la banconote di grosso taglio e quelle di piccolissimo taglio.

A livello monetario saranno eliminati i 500 euro

Il fatto di voler eliminare le banconote da 500 euro si lega all’uso che di queste monete fa la criminalità organizzata. La decisione infatti, riguarda sia l’euro, sia il dollaro e le altre monete più frequenti. L’abolizione delle monete piccolissime, quindi da uno e due centesimi, invece, nasce da una volontà antinflazionistica e dalla considerazione che il prezzo di produzione è superiore al valore di scambio.

Eppure sull’inutilità delle monete piccolissime ci sarebbe da discutere a lungo visto che ci sono alcuni pezzi da un centesimo scambiati anche per 6.600 euro. Com’è possibile? Roba da collezionisti? Esattamente!

Abbandonate le monete di piccolo taglio

Bolaffi ha messo all’asta delle monete da 1 centesimo e la base di partenza era di 2500 euro ma un collezionista italiano è riuscito a rilanciare fino al prezzo record indicato. E’ chiaro adesso che chi ha tra le mani monete da un centesimo, farà fatica a liberarsene.

In realtà la moneta andata all’asta, di particolare, aveva l’incisione della Mole Antonelliana sul retro, l’immagine generalmente presente sulle monete da due centesimi.

Sale lo yen e crolla la borsa di Tokyo

 Lo yen, sottoposto ad una svalutazione forzata al fine di ritrovare la competitività sul mercato internazionale, adesso ha intrapreso un nuovo cammino al rialzo. La crescita della valuta giapponese, però, non fa bene ai mercati, o meglio non è considerato un buon trend della borsa di Tokyo che perde terreno. Il Nikkey, per esempio, accusa un nuovo calo superiore al 6 per cento.

Cala ancora la borsa di Tokyo

Il Nikkei ha perso quota e allo stesso tempo ad aggravare la situazione contribuisce l’apprezzamento dello yen che guadagna sia sull’euro, sia sul dollaro. I mercati europei, non tanto per reazione alla valuta giapponese, continuano il loro trend rosso e l’unica piazza a tenere è addirittura quella di Milano.

Tokyo, dunque, non ha di che gioire: a livello internazionale i problemi legati alla crescita economica sono ancora troppi. Di recente, poi, la Banca Mondiale ha spiegato che le stime di crescita globali vanno riviste al ribasso e ha messo paura agli investitori, preoccupati soprattutto della contromossa che ha in cantiere la Fed.

Il PIL giapponese cresce più del previsto

Il bilancio di questo periodo un po’ turbolento per il settore valutario e per quello finanziario è molto grave: sono stati mandati in fumo ben 2500 miliardi di capitalizzazione globale.

Oltre alla chiave di svolta della Fed resta da capire come si muoveranno le istituzioni giapponesi.

Il vecchio potere d’acquisto solo nel 2036

 Doveva essere soltanto un altro rapporto da mettere sulle scrivanie di colo che si occupano di Fisco e PMI, invece è stato un vero e proprio atto di denuncia verso una condizione economica, quella dell’Italia, sempre più preoccupante.

Novità fiscali in pentola a giugno

Le due considerazioni da fare è che il fisco occupa la gran parte dell’anno lavorativo e quindi, chi consuma, deve farlo con parsimonia, almeno fino al 2036, anno in cui, forse, si recupererà il potere d’acquisto di una volta. Che il fisco fosse molto “pressante” sulle tasche degli italiani, lo avevamo capito, ma che pesasse per circa 162 giorni, è davvero sorprendente.

In pratica, fino a giugno si lavora per pagare le tasse, soltanto nel secondo semestre dell’anno s’inizia a mettere da parte qualcosa. E’ naturale quindi che i consumi, con l’aumento delle imposte, abbiano subito una contrazione. Adesso che si paventa anche l’aumento dell’IVA non congelato dal governo, si parla di altri 200 euro di “tasse” per le famiglie.

Tagliate le previsioni sul PIL tedesco

La crescita, allo stesso tempo, procede a rilento e in due anni si stima di avanzare soltanto dell’1,9 per cento. Tutta la denuncia di questa situazione è arrivata da Confcommercio che sottolinea la chiusura di ben 40 mila imprese nel nostro paese. Di questo passo la dimensione pre-crisi sarà recuperata soltanto nel 2036.

Google leader dell’adv mobile

 Il Regno Unito se la prende con Google eppure l’azienda di Mountain View resta leader nel settore degli investimi pubblicitari mobile. Per quanto riguarda la pubblicità online, invece, mantiene una posizione di spicco ma non supera di molto il 30 per cento della raccolta. Vediamo alcune notizie che, dopo quelle riferite all’elusione fiscale di Mountain View, possono influire sul comportamento degli investitori.

Il mercato della pubblicità dedicata ai dispositivi mobile è condizionato o meglio è tenuto in piedi da Google che può vantarsi di una raccolta di 4,6 miliardi di dollari. Si tratta del 52 per cento della raccolta totale. Nell’online non va altrettanto bene ma si conferma leader, visto che si aggiudica il 33,2 per cento della raccolta.

Google leader dell’adv mobile

Dopo Google si posizionano Facebook e Yahoo nell’online, rispettivamente con il 5 e con il 3,1 per cento della raccolta. Insomma, Mountain View ha costruito in questi anni un vero e proprio impero e riesce a catalizzare più della metà degli 8,8 miliardi di dollari investiti nelle inserzioni pubblicitarie mobile. Il riferimento numerico è chiaramente al 2012, anche perché per l’anno in corso i risultati dovrebbero addirittura migliorare.

La quota di raccolta pubblicitaria online ad ogni livello, dal 2012 al 2013, nel caso di Google, salirà dal 31,5 al 33,2 per cento. Secondo e terzo posto resteranno nelle mani di Facebook e Yahoo, mentre al quarto posto si posiziona Microsoft con l’1,8 per cento delle pubblicità.

Il Regno Unito se la prende con Google

 Se fino a qualche tempo fa le industrie tecnologiche erano considerate il galleggiante dei mercati finanziari, adesso anche il comparto ICT deve fare i conti con la crisi, a tutti i livelli. Anche aziende grandi come Google sono bersagliate su più fronti. Sembra quasi che le condizioni di disparità alimentate negli anni, debbano essere limate per ricominciare a crescere.

Le Google elusioni e il capitalismo responsabile

Google, ad esempio, è stata messa sotto la lente d’ingrandimento dalle autorità britanniche. Il Regno Unito, infatti, accusa l’azienda di Mountain View di elusione fiscale. Sembra che Google, tra il 2006 e il 2011 abbia incassato qualcosa come 18 miliardi di dollari ma abbia pagato soltanto le tasse su 16 milioni per via della residenza stabilita in Irlanda.

L’accusa britannica ha comportato una risposta subitanea del management di Google che ha ribadito di aver rispettato tutte le leggi inglesi. In realtà, avendo sede in Irlanda, sembra abbiano pagato molte meno tasse. Il Public Accounts Committee, dunque, parla di evasione fiscale intraprendente.

Youtube lancia i servizi a pagamento

Anche chi in qualche modo vuole difendere Mountain View, non può evitare di notare che i motivi del trasferimento in Irlanda addotti da BigG sono molto poco convincenti. Come se non bastasse, alcuni ex dipendenti di Google hanno spiegato che il personale inglese è stato impiegato proprio nelle vendite, il settore che avrebbe convinto il management a spostarsi. C’è da credere dunque che questa vicenda interferisca con la credibilità di Google sui mercati?