L’Italia riparte dai BOT

 Per vedere se gli investitori sono tornati con i loro capitali nel nostro paese, è importante tenere d’occhio l’ultima asta proposta dal Ministero del Tesoro, relativa ai buoni italiani. Sembra che il nostro paese abbia infatti preso il volo mentre cala ancora lo spread.

Questi risultati hanno un impatto positivo anche sulle borse europee che però portano i loro indici troppo timidamente in territorio positivo. Molta dell’incertezza dei listini europei, infatti, è legata al processo che la Germania sta portando avanti contro l’euro, dopo le accuse mosse contro Draghi e l’Eurotower di favorire paesi come l’Italia e la Spagna.

La crescita dell’Italia passa per lo spread a 100

Lo spread tra Bund tedeschi e BTp italiani, intanto, scende sotto la soglia dei 275 punti base, con grande soddisfazione della politica tricolore. Il Tesoro, infatti, è tenuto in queste ore al collocamento di ben 7 miliardi di titoli con scadenza annuale.

Bot annuali ai minimi

I mercati europei, frattanto, cercano di ritrovare un po’ di vigore dopo la battuta d’arresto segnata dalle notizie sul PIL cinese. Resta invece in rosso la borsa di Tokyo che avvia una fase consistente di ribassi per via della decisione della Bank of Japan di continuare con una politica monetaria ultraespansiva.

La Cina influisce sui mercati europei

Durante l’asta dei BOT il nostro spread è tornato sotto la soglia dei 275 punti base, ma quanto durerà ancora tanto entusiasmo?

La Germania contro l’euro ha effetto sulle borse

 La Germania è considerata croce e delizia del Vecchio Continente. Di fatto, adesso che ha perso anche il suo storico avversario economico, la Francia, resta l’unico pilastro portante dell’economia europea. Questo non vuol dire che tutti siano pronti ad omaggiare le industrie e la politica tedesche. Per esempio, tanti analisti, davanti alla crisi imperante, si chiedono se non sia più opportuno che sia proprio la Germania a lasciare la moneta unica.

Se il Regno Unito avesse adottato l’euro

Il rapporto tra la valuta comunitaria e il paese più florido del Vecchio Continente, tra l’altro, non è idilliaco, infatti il management tedesco ha coinvolto la Corte costituzionale tedesca nel giudizio relativo al programma d’acquisti e alla politica monetaria della BCE di Mario Draghi. 

La Germania contro l’euro

I tedeschi hanno da sempre sospettato che il presidente dell’Eurotower, italiano, prendesse delle decisioni che vanno a favore dello Stivale e della Spagna, ma adesso vogliono un pronunciamento ufficiale contro il piano OMT della BCE. Gli acquisti illimitati di titoli di stato dei paesi periferici devono cambiare un po’ perché a rischiare c’è soprattutto l’euro. Questo, almeno, è il parere della Germania.

La paura che l’euro sia arrivato al capolinea, però, non lascia indifferenti i mercati finanziari che perdono qualcosa, soffrono in un clima d’incertezza sovranazionale. Londra e Francoforte, per esempio, cedono l’1 per cento e Parigi stessa arretra dell1,4 per cento. Scende ancora di più Piazza Affari, in calo dell’1,6 per cento.

Volvo inaugura un new deal

 Moltissime aziende tendono a delocalizzare la produzione in settore maggiormente convenienti, in paesi in cui la manodopera è a basso costo e c’è la possibilità di incrementare i profitti. Il futuro, dunque, è all’estero, nel caso dell’azienda Volvo, si sa che è in Cina.

FIAT Industrial ripensa ai suoi conti

In realtà, nel caso dell’impresa automobilistica in questione, non c’era molto da negoziare visto che Volvo appartiene ad un cinese e in Cina è stato aperto un nuovo stabilimento. L’avventura cinese è iniziata il 5 giugno quando a Chengdu, nel Sud-Ovest del paese, è stato aperto un nuovo stabilimento produttivo che in un anno dovrebbe immettere sul mercato circa 120 mila auto dando lavoro a ben 2500 persone.

Renault guadagnerà di più producendo in Francia

Volvo, infatti, ha deciso di espandersi e di farlo puntando sul mercato cinese dove, attualmente, è la quinta azienda automobilistica dopo BMW, Mercedes, Audi e Jaguar. Il riferimento  in questo caso è il mercato di lusso. Come dicevamo Volvo appartiene ad un cinese, l’imprenditore Li Shufu che è considerato anche uno degli uomini più ricchi del paese.

All’inizio il suo business era fatto dal gruppo automobilistico Geely, poi l’intuizione vincente con l’acquisto di Volvo, una casa automobilistica di origine svedese che al momento di entrare nelle mani di Shufu, apparteneva alla Ford americana ed è costata ben 1,8 miliardi di dollari.

Se il Regno Unito avesse adottato l’euro

 L’euro, in questo momento, è sicuramente una delle monete più bersagliate del mondo visto che anche la Germania è passata all’attacco rendendo il discorso valutario, lo sfondo “ideale” per la campagna elettorale. Dopo la querelle tra il gigante tedesco e la BCE che con l’acquisto di bond starebbe favorendo i paesi periferici come l’Italia e la Spagna, adesso i salotti della finanza sono interessati alla storia con i “se”.

Qualcosa sull’uscita della GB dall’Europa

Uno dei quesiti più ricorrenti è relativo alla sorte del Regno Unito: ci si chiede cosa sarebbe successo all’economia britannica se avesse soddisfatto i parametri richiesti da Maastricht, all’epoca, per entrare in Europa. L’UE era fortemente interessata a fagocitare la realtà inglese, tanto che avrebbe stiracchiato i requisiti d’ingresso nell’UE per consentire l’accesso inglese.

E se la Gran Bretagna uscisse dall’Europa?

Ma gli effetti di questa fusione quali sarebbero stati? Sicuramente, al di fuori del Regno Unito, avremmo assistito ad un boom creditizio accelerato che avrebbe portato più rapidamente alla crisi bancaria che comunque c’è stata. La crisi del settore del credito sarebbe stata più acre dell’attuale e sarebbe stata seguita dalla contrazione economica dei paesi Baltici.

I conti pubblici, sottoposti alla politica di austerity, sarebbero sprofondati sotto il peso della crisi e alla fine, in una situazione del genere, il Regno Unito avrebbe comunque lasciato l’euro.

Colpiti dalla crisi anche i più ricchi del mondo

 La crisi non risparmia nessuno e fare le spese della modifica delle condizioni economiche generali, ci sono anche gli uomini più ricchi del pianeta, il cui patrimonio, per quanto ingente, è stato di recente eroso dal perpetuarsi della recessione e dall’andamento delle quotazioni.

Burocrazia lenta e costosa, un peso troppo grande per le aziende

La crisi, alla fine, ha colpito anche i magnati ma su di loro, l’effetto, non è immediatamente evidente, nel senso che per quanto possano perdere terreno in ambito finanziario, non moriranno mai di fame e non dovranno certo trovare delle strategie alternative per sopravvivere.

Eppure, chi ha più soldi, ha iniziato a lamentarsi di quel che non ha più. L’indice Bloomberg Billionaires Index, per esempio, nel calcolare la somma della ricchezza presente nel mondo negli ultimi sette giorni, ha spiegato che i 200 uomini più ricchi della Terra hanno perso complessivamente 14 miliardi di dollari. Una cifra enorme soprattutto se si considera il breve lasso di tempo in cui è andata in fumo.

Dove vivono i più ricchi del mondo

Ma chi ha perso di più in termini economici? Il primo in questa speciale quanto triste classifica è sicuramente Carlos Slim che possiede il più grande operatore telefonico del mondo americano. Era il più ricco del mondo ma ha perso circa 8,3 miliardi di dollari ed ora, al collo, ha solo la medaglia d’argento, avendo dovuto lasciare il trono ad un grande ritorno: Bill Gates.

Valute e materie prime legate verso il ribasso

 Ci sono moltissime valute legate irrimediabilmente e storicamente allo scambio di materie prime specifiche. Queste valute variano sulla base della disponibilità di una materia e aumentano il numero di variabili che incidono sul Forex.

In questi giorni si prende atto che ci sono state delle quotazioni in forte decrescita legate all’andamento delle materie prime. In gergo, queste valute, si chiamano commodity currencies anche se fino a poco tempo fa, quando l’economia andava meglio, si era soliti chiamarle “valute privilegiate”.

L’oro ancora al ribasso va verso i livelli minimi

Le banche centrali, spesso, s’inserivano in questo flusso, attirando un gran quantitativo di denaro, tagliando i tassi fino a rasentare lo zero e via dicendo. Adesso, invece, in tempi di crisi, bisogna prendere atto di un bel po’ di cambiamenti.

Per esempio le materie prime, anche per effetto dei cambiamenti climatici, hanno perso valore e così hanno indotto con il loro comportamento, la diversificazione dei flussi di denaro degli investitori che hanno ritrovato interesse, soprattutto, per azioni e bond.

Allarme per carenza di elio

Alcune valute sono state al centro di una specie di bolla speculativa. Per esempio il dollaro australiano, il dollaro neozelandese, la corona norvegese, ma anche il rand sudafricano, il real brasiliano e il peso cileno, si sono adagiati troppo sui prezzi delle commodity.

Il PIL giapponese cresce più del previsto

 La Cina influisce sui mercati europei visto che la sua economia rallenta e tutti i listi occidentali sembrano essere zavorrati dai risultati del gigante asiatico. Tutti tranne il Giappone che rivela al mondo di essere cresciuto addirittura più del previsto.

Il prodotto interno lordo giapponese, infatti, è balzato ai livelli mai pensati finora, portandosi dietro anche il Nikkei. Molto in questo gioco al rialzo, è stato fatto dalla svalutazione dello yen, che risulta ancora in calo per effetto degli ultimi strascichi della politica monetaria espansiva.

La delusione dell’Abeconomic sui mercati

Le borse asiatiche, tanto per avere un quadro di quel che sta succedendo dall’altra parte del mondo, sono state trascinate verso l’alto dalla borsa di Tokyo che ha saputo cogliere i buoni frutti del primo trimestre dell’anno ed ha saputo sfruttare l’onda lunga dei risultati positivi arrivati dagli Stati Uniti. Negli USA, infatti, il mercato del lavoro appare in leggera ripresa.

Il Nikkei, chiaramente, segue lo stesso andamento del PIL e la prima saduta della settimana è archiviata con un rialzo del 4,9 per cento. A trainare la serie di risultati positivi ci pensa il PIL che cresce più del previsto. Nel primo trimestre del 2013, infatti, fa registrare un aumento del 4,1 per cento su base annua, mentre, in termini previsionali, si pensava soltanto ad un aumento del 3,5 per cento.

 

La Germania contro l’euro

 Il mercato forex è molto controverso. Dal punto di vista dell’investitore resta un terreno privilegiato, soprattutto se gli strumenti d’investimento sono le opzioni binarie. In più, comprendere l’andamento di una certa moneta è a dir poco facile rispetto alla considerazione delle oscillazioni di un titolo azionario.

A Bruxelles non piace l’analisi del FMI

Di fatto, però, le variabili che influiscono su alcune monete, possono crescere in base alla valenza “politica” piuttosto che “monetaria in senso stretto” della valuta. Per esempio, sull’euro, influisce la particolarità della struttura politica dell’Eurozona dove hanno un discreto peso tutte le decisioni dei singoli stati membri. Se poi a pronunciarsi è uno dei big come la Germania, allora si capisce bene che l’andamento dell’euro è bello che condizionato.

La più grande sfida è l’occupazione

La Germania, per esempio, in queste ore, sta effettuando un vero e proprio processo all’euro. Ha chiamato in causa la Corte costituzionale tedesca che adesso dovrà giudicare il comportamento tenuto dalla BCE che continua nell’acquisto dei bond privilegiando le economie italiana e spagnola.

Il processo all’euro, che probabilmente condizionerà tutta l’estate, sarà lo sfondo della campagna elettorale tedesca. In Germania, infatti, a settembre, i cittadini tornano alle urne. C’è da capire allora se questa querelle condizionerà l’ascesa del partito europeista o finirà per alimentare il sentimento antieuropeo latente anche in Germania.

La Cina influisce sui mercati europei

 La Cina, ormai è chiaro, ha subito una sonora battuta d’arresto ed ora ha praticamente il fiato sul collo. Tutti gli altri paesi occidentali, infatti, dipendono dal mercato asiatico e anche ci si aspetta a breve anche un effetto sui mercati azionari.

La giornata finanziaria di oggi potrebbe essere molto burrascosa. Gli occhi degli investitori sono puntati soprattutto sull’Italia visto che a breve saranno pubblicati i dati sul PIL e sull’industria del nostro paese. Nell’attesa cresce lo spread che si riporto a 265 punti base.

Il futuro degli investimenti è in Africa

Un’altra parte di Occidente, invece, sembra essere immune all’andamento dell’economia cinese e parliamo in questo caso dell’economia giapponese. Tokyo, infatti, ha messo in campo una vera e propria politica monetaria aggressiva. Gli stimoli introdotti dal perpetuarsi dell’Abeconomic hanno spinto verso l’alto il PIL che è cresciuto del 4,1 per cento. In recupero anche in Nikkei che fa segnare un ottimo risultato: +5 per cento.

Perché si teme la decrescita cinese

Gli investitori, considerato il progresso del Giappone, si mantengono cauti sugli altri fronti dimostrando una certa preoccupazione per quel che sta succedendo in Cina. A livello finanziario, quindi, Piazza Affari apre in ribasso e le oscillazioni lasciano Milano praticamente al livello di parità.

Londra e Parigi, tanto per restare sui listi europei, perdono lo 0,2 per cento. I dati macroeconomici diventano una zavorra per tutti.

Il signor Ikea lascia tutto al figlio

 L’azienda Ikea è stata fondata nel lontano 1943 e da allora non ha fatto che crescere fino a diventare un modello per le industrie che si occupano di arredamento e un simbolo per la nostra cultura occidentale. Adesso, però, l’azienda sta cambiando i vertici e qualcuno si preoccupa del suo avvenire. Che non succeda quello che è accaduto alla Apple dopo il compianto Jobs?

Arredare bene prima di vendere e affittare

Che il signor Ikea avesse deciso di mettersi da parte, era noto da tempo ma il grande passo non era ancora stato fatto. Ingvar Kamprad, infatti, non si era ancora dimesso dalla carica di amministratore delegato dell’Inter Ikea Group, l’azienda che amministra ufficialmente dal 1986. Dopo quasi trent’anni si cambia volto.

La fortuna di Ikea non ha eredi

La presidenza di Ikea passa nelle mani del figlio Mathias che da sempre è considerato il rampollo di casa Kamprad  nonostante in passato sia entrato spesso in conflitto con il padre. Adesso, calmati gli animi, si completa la successione nonostante permangano degli attriti tra il CdA dell’azienda e il suo fondatore.

Spazio ai giovani, quindi, mentre gli investitori, notando anche il nuovo ruolo attribuito a Per Ludvigsson, si chiedono se tanto giovanilismo non finisca per rendere meno forte il titolo azionario del mobilificio low cost più conosciuto nel mondo.