Quanto costa il funerale della Thatcher

 Il funerale della Thatcher ha diviso gli inglesi per diversi motivi. In primo luogo perché è stato pieno di polemiche, a partire dalla frase di Ken Loach che ha proposto di privatizzare le esequie dell’ex primo ministro inglese, un po’ come la Lady di ferro aveva tentato di privatizzare lo stato.

Insomma la Thatcher passerà alla storia come la donna che ha provato ad eliminare lo stato privatizzando il più possibile prodotti e servizi. Ha lasciato un’eredità importante al suo paese e soprattutto ai suoi cari amici conservatori.

La nuova banconota da 5 sterline

Nonostante abbia espresso più volte la volontà di non avere un funerale di stato, i conservatori le hanno riservato un trattamento speciale che in epoca contemporanea è stato assicurato soltanto a Churchill.

Lo strano caso della sterlina

Molti inglesi però hanno osservato che la Thatcher non è stata il primo ministro di tutti, anche se ha guidato un’importante rivoluzione economica e sociale nel suo paese. In più, l’organizzazione del funerale è stata molto onerosa e ricadrà sulle tasche dei contribuenti inglesi.

Anche se i conti definitivi non ci sono ancora, i giornali già annunciano una spesa di 10 milioni di sterline. I costi maggiori sono quelli per la sicurezza visto che sono stati chiamati all’appello ben 4 mila poliziotti che si dovranno occupare del servizio d’ordine ma poi dovranno proseguire la loro opera anche fino a domenica, giorno della maratona di Londra. Gli attentati di Boston, infatti, non sono da prendere sotto gamba.

La giornata complicata di Piazza Affari

 La recessione è tipica dell’Europa ma sta coinvolgendo anche il resto dell’economia globale e se la recessione è generalizzata, vuol dire che è ancora più difficile che in passato uscirne. Il Fondo monetario internazionale, su questo punto, è stato chiaro ed è partito nella riflessione considerando soltanto i dati del mercato europeo dell’auto.

Marchionne e lo stipendio nel periodo di crisi

Per la diciottesima volta consecutiva abbiamo dovuto fare i conti con un calo che nell’ultimo report è stato superiore al 10 per cento. Questo vuol dire soltanto che l’Europa è ancora lontana dalla ripresa economica e dalla resurrezione dei consumi. I mercati, quindi devono fare i conti con i risultati sul campo ancora deludenti e lo sforzo delle banche centrali di riequilibrare la situazione.

Uscire dalla crisi con diverse opzioni

Questo atteggiamento delle banche centrali sembra aver iniettato ottimismo alle borse e così sia Wall Street che la borsa di Tokyo hanno chiuso in rialzo. In Europa, invece, la situazione è più complessa e per descriverla è necessario ripartire da Milano.

La borsa italiana, infatti, si è presentata con due binari parallelo, quello su cui corrono i titoli azionari e quello su cui si muove il mercato obbligazionario. Entrambi proseguono del loro passo e mostrano un’Italia finanziaria a due velocità.

 

Sale la spesa per le pensioni ma gli assegni sono bassi

 Il problema della gestione previdenziale del paese è all’ordine del giorno, soprattutto in un’epoca in cui si assiste all’invecchiamento della popolazione e all’aumento della precarietà del lavoro. L’ultima indagine sulle pensioni evidenzia un aumento della spesa dedicata agli assegni ma anche una persistenza dell’importo pensionistico al di sotto dei 1000 euro.

Assicurazioni ad hoc per gli anziani

I dati disponibili sono riferiti al 2011 anno in cui la spesa per le pensioni è salita fino a 265,963 miliardi di euro. Sono stati distribuiti per l’esattezza 16,7 milioni di pensioni, il 2,9 per cento in più rispetto all’anno passato.

Peccato che gli importi siano sempre molto bassi visto che il 13,3 per cento dei pensionati, mensilmente, si mette in tasca meno di 500 euro. Le donne, in particolar modo, risultano penalizzate dal calcolo dell’assegno.

I conti per anziani della BancApulia

Questo vuol dire che spesa pensionistica ha inciso anche di più sul PIL. L’incidenza è aumentata dello 0,2% passando quindi dal 16,66 per cento del 2010 fino al 16,85 per cento.

I dati dicono anche che un pensionato, che in genere riesce a contare anche su più di un assegno, riesce ad ottenere circa 15957 euro all’anno, vale a dire 486 in più del 2010. Purtroppo il 23,1 per cento della popolazione riceve una pensione che oscilla tra i 1000 e i 1500 euro e soltanto il 32,8 per cento incassa molti euro in più.

I pensionati, nel 2011 erano per il 52,9 per cento formati da donne che ricevevano circa 13288 euro all’anno di pensione, mentre gli uomini si mettevano in tasca circa 19022 euro.

Nessuno si spiega il crollo dell’oro

 Che l’oro abbia invertito la sua tendenza, è poco ma sicuro. Dopo numerose dichiarazioni a favore di una crescita illimitata delle quotazioni del metallo prezioso, c’è stato un cospicuo ridimensionamento.

Gli investitori, ascoltando le “previsioni riviste” delle banche d’affari hanno diversificato il loro portfolio ma adesso c’è da capire bene il perché della flessione delle quotazioni auree. Nessuno finora ha saputo dare una risposta sensata alla domanda.

Oro sotto i 1500 dollari l’oncia

In due giorni il prezzo dell’oro è andato in caduta libera e a Wall Street, una cosa del genere, non si vedeva dal 1987. Il calo è stato del 26 per cento e il movimento verso il basso resta comunque un’anomalia.

Quali nazioni soffrono della svalutazione aurea

Ogni trader ha detto la sua e le spiegazioni più gettonate sono queste: si teme che le banche centrali si liberino presto dei loro lingotti. In più le economie più importanti, come quella americana, hanno deciso di mettere le mani sulle riserve auree per sostenre le loro economie. In più potrebbe essere successo che gli investitori sono ormai alla ricerca di nuovi asset, magari i buoni del tesoro o quei titoli che sul lungo periodo assicurano un rendimento elevato.

La prospettiva è che l’oro continui a scendere ad un ritmo molto elevato. Il metallo è entrato nel mercato dell’orso, quindi è nel mercato in calo e continuerà la flessione ad un ritmo del 14 per cento.

L’austerity non piace agli intellettuali

 L’austerity è la parola d’ordine dell’anno scorso. Nel 2012, infatti, la crisi è stata così imponente che tutti i paesi a rischio default hanno chiesto alla popolazione di tirare la cinghia. E’ rimasta proverbiale l’austerity greca. Adesso però questa parola e questa pratica sono già finite sotto accusa.

Enrico Letta può influenzare l’euro?

Gli economisti sono concordi nel ritenere che stringere la cinghia troppo a lungo non è positivo per l’economia di un paese. Il primo a dirlo è stato Paul Krugman che ha dato il suo placet anche ai partiti europei che hanno espresso la ribellione all’austerity. Per esempio Krugman ha elogiato il Movimento 5 Stelle italiano.

Krugman parla dei problemi dell’Europa

L’intensità dell’austerity, tra l’altro, è stata modulata con formule matematiche che sul lungo periodo hanno dimostrato di non essere abbastanza calzanti. Per esempio: Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart dell’Harvard University, già nel 2010 spiegavano che quando il debito pubblico supera il 90 per cento della produzione c’è una decrescit economica pari allo 0,1 per cento. L’esperimento, la formula, ripetuta oggi, con gli stessi dati, dà un risultato diverso: si parla di crescita del 2,2 per cento.

Questa teoria, che adesso dovrà essere revisionata, è stata alla base della politica di austerity usata da molti governi. Quindi si dimostra oggi che combattere “contro il debito pubblico” non è un metodo efficace per ottenere la crescita economica.

 

Il partito anti-euro è sempre più pericoloso

 L’Europa sta affrontando una grave crisi politica e monetaria e il problema è legato al fatto che il malcontento dilaga e sia i leader dei vari paesi, sia i cittadini, hanno bisogno d’individuare un capro espiatorio.

Dall’Euro potrebbe sempre uscire la Germania

Qualcuno ha provato a dire che è tutta colpa della Germania se ci troviamo in questa situazione critica ed è soltanto per alimentare l’economia del paese in questione che si resta nell’euro. E arriviamo così alla nota dolente, al capro espiatorio per antonomasia: l’euro.

La moneta unica è ormai sotto attacco e ci sono diversi partiti politici che stanno usando il grimaldello dell’anti-euro per costruire il loro consenso.

Gli analisti della CNBC ritengono che l’ascesa di questi movimenti d’opposizione alla valuta europea possa essere davvero pericoloso. In alcuni casi i partiti neonati, come l’Alternative fuer Deutschland lanciato in Germania, appaiono molto taglienti.

L’opposizione antieuropea vince in Islanda

In comune c’è la volontà di combattere contro il clima di austerity imperante e come collante funziona il perdurare della crisi economica.

In un’unica elezione, l’AfD potrebbe portare a casa il 3 per cento ma qualcuno ritiene che il partito anti-euro, sfondando la soglia del 5 per cento con un recupero di consensi imprevisto, possa addirittura arrivare in Parlamento. La Germania è ripartita ma i presupposti per la proliferazione di queste realtà ci sono.

Chi pagherà i debiti delle imprese?

 Salvate le pubbliche amministrazioni, si è deciso di salvare anche le imprese ed è stato dunque varato un decreto ad hoc, si chiama Decreto Salva Imprese ed è il numero 35 del 2013. In pratica si tratta dello stesso decreto usato per sbloccare i 40 miliardi delle PA nei prossimi 12 mesi.

Si tratta di un decreto voluto dall’esecutivo montiamo che firmando il documento in questione ha praticamente fatto l’ultimo atto prima del passaggio di consegne. Non sono mancate delle critiche visto che i 40 miliardi “devoluti” alle pubbliche amministrazioni sono soltanto una piccola parte del debito complessivo che ammonta a 91 miliardi di euro, secondo i dati fornti dalla Banca d’Italia.

Quinquennio difficile per il debito tricolore

La domanda che molti analisti si fanno adesso è se i debiti delle imprese saranno pagati dai contribuenti. Un’ulteriore pressione sulle tasche dei cittadini potrebbe deprimere i consumi e affossare una volta per tutte l’economia tricolore.

Cipro chiede più aiuti ma che pensa l’Europa?

A cosa bisogna fare attenzione? Sicuramente all’IMU e all’IRPEF di cui si parla sempre nello stesso decreto. E’ tramite queste imposte che dovranno essere sostenute le imprese. Mentre l’aumento della TARES scatterà soltanto a dicembre, c’è ancora tempo ma non se ne parla, per gli aumenti dell’imposta municipale e dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.

Il modello giapponese di riferimento per la Grecia

 La Grecia, in questo momento, è ancora più lontana dalla ripresa di quanto si possa pensare. Adesso è in una fase che in gergo si chiama di deflazione e sia i politici che gli economisti si arrovellano per capire se c’è una via d’uscita.

La Grecia, in effetti, era stata un po’ messa da parte dopo l’insorgere di nuove criticità in Europa, basta pensare alla situazione stessa di Cipro. Adesso si torna con i riflettori su Atene perché Si sta per inaugurare il Global economico outlook con il patrocinio del Fondo Monetario Internazionale.

Bini Smaghi critica la forza dell’euro

All’ordine del giorno ci sarà la discussione della situazione economico-politica del Vecchio Continente che presto cadrà in una profonda deflazione. Una specie di effetto domino che coinvolgerà primariamente la Grecia dove i prezzi anziché salire continuano a scendere.

La coppia euro/yen nell’ultimo mese

Le statistiche parlano chiaro: a marzo, i prezzi in Grecia sono diminuiti dello 0,2 per cento e una cosa di questo tipo non succedeva dal 1968. Il problema è che la deflazione greca, unita all’inflazione aggregata europea che a marzo è diminuita, fa temere per il contagio.

Il modello giapponese sembra allora una soluzione plausibile alla crisi: l’obiettivo definito in Oriente è quello di far aumentare il costo della vita del 2 per cento, riportando l’inflazione in Giappone.

Draghi e sopravvivenza dell’euro

 Il presidente della BCE non deve aver preso di buon grado le critiche mosse in questi ultimi mesi alla banca centrale europea. Mario Draghi a differenza dei suoi omologhi cinesi e statunitensi, ha deciso di non abbassare nuovamente i tassi e non fomentare la guerra di valute.

Lo spread futuro non è un problema

Una scelta molto discussa in seno all’UE ma alla fine accettata come qualcosa di ineludibile, al punto che si è perso di vista un discorso molto importante di Draghi, fatto in occasione della conferenza stampa del 4 aprile scorso.

Secondo Maurizio Blondet, il governatore della BCE avrebbe usato delle parole molto forti per spiegare la situazione valutaria del Vecchio Continente e per dare qualche segnale deciso a chi si preoccupa se l’uno o l’altro paese usciranno dalla moneta unica.

Come spingono la crescita gli Stati Uniti e il Giappone

Un giornalista del sito Zero Hedge, infatti, ha deciso di porre una domanda molto particolare a Draghi: gli ha chiesto se esiste a livello comunitario una strategia o degli strumenti per evitare il crollo del sistema Europa qualora uno degli stati in crisi, per esempio la Grecia, la Spagna o Cipro, decidano di abbandonare l’euro.

Secondo Draghi si è trattato di un quesito molto ipotetico posto senza considerare il ruolo e l’importanza della moneta unica. Tutti sottovalutano la resistenza dell’euro, in realtà, secondo Draghi, questa valuta resisterà perché serve a sostenere la classe politica che ha investito tutto nell’euro.

Piaggio in crisi taglia gli stipendi ai manager

 Gli stipendi più leggeri dei manager internazionali hanno inaugurato una nuova tendenza al ribasso. Il buon esempio è stato dato da Barack Obama che si è decurtato di 20 mila dollari l’anno lo stipendio e dallo stesso Ignazio Visco in Italia. Il governatore di Bankitalia si è tagliato il “reddito” di 262 mila euro l’anno. Per altri però, questa sorta di spending review, nasce dal desiderio di reagire alla crisi nel miglior modo possibile.

Marchionne e lo stipendio nel periodo di crisi

Facciamo il caso della Piaggio. Il numero uno dell’azienda, Colaninno, ha spiegato che la situazione italiana, a livello economico e industriale, resta drammatica nonostante gli sforzi fatti con le riforme del governo Monti. Il settore motori ne è la spiegazione lampante nel senso che le immatricolazioni sono diminuite nel primo trimestre del 2013 addirittura del 50 per cento. Per questo occorre fare una revisione ai bilanci dell’azienda.

Sempre meno acquirenti per auto e moto

In primo luogo è necessario rivedere la programmazione degli investimenti e poi è necessario rivedere il piano industriale. Quindi nel 2013 non ci saranno i premi di produzione o i bonus per i manager anche se sarà pagato il dividendo agli azionisti.

Secondo Colaninno, questa scelta della Piaggio rispetta la criticità dell’economia e riesce a dimostrare che tutti possono e devono fare dei sacrifici.