Gli stipendi più leggeri dei manager internazionali

 Nel pieno della crisi economica alcuni manager italiani hanno visto lievitare il loro stipendio, si parla ad esempio di Marchionne ma non si può dire che il suo sia un esempio seguito da molti. Anzi, molti top manager hanno deciso di rinunciare ai loro compensi applicandosi gli stessi principi della spending review.

Marchionne e lo stipendio nel periodo di crisi

Tra i nomi illustri della polica e dell’economia che hanno rinunciato ai compensi milionari ci sono il presidente americano Barack Obama e il governatore di Bankitalia. Ma entriamo nel dettaglio di una “manovra” che esprime tutta la gravità della crisi.

Piaggio in crisi taglia gli stipendi ai manager

I bilanci dei vari paesi sono in bilico, le persone hanno sempre meno soldi in tasca o meglio, hanno sempre gli stessi soldi in tasca ma il loro potere d’acquisto è stato praticamente falciato. Ecco quindi che è accolta con favore dall’opinione pubblica, la scelta di alcuni leader politici e d’azienda di tagliarsi lo stipendio. L’opinione pubblica che abbiamo chiamato appena adesso in causa, sa infatti che a Wall Street, mentre negli ultimi due anni gli stipendi dei CEO delle aziende quotate sono cresciuti del 16 per cento, gli stipendi dei dipendenti delle stesse aziende sono cresciuti soltanto del 4 per cento.

A piazza Affari, grosso modo, è successa la stessa cosa visto che gli stipendi dei CEO tricolore sono cresciuti del 12 per cento.

 

La ripresa è più lontana e le borse tremano

 Le borse ormai sono deluse da quello che sta accadendo nel mondo a livello economico e finanziario. infatti i dati sul PIL cinese stanno impensierendo gli investitori che si trovano davanti al rallentamento di un’economia cruciale nell’equilibrio mondiale.

In più gli investitori non si vogliono più sbilanciare ed hanno allungato i tempi della ripresa dalla crisi. L’indicatore importante, in questo caso, è lo Zew che è praticamente scivolato molto in basso. A far soffrire l’indice c’è soprattutto l’andamento delle materie prime.

Qualche errore comune per chi investe nell’oro

Le borse non sono certo rimaste immuni a questi squilibri. Nella giornata di oggi, sotto la lente d’ingrandimento ci è finita la maratona di Boston dove un attentato di matrice terroristica (stando alle prime indagini) ha causato ben 3 morti e 130 feriti. Un particolare che non ha certo paralizzato Wall Street ma l’hanno spinta al ribasso.

Tagliato anche l’outlook della Cina

La borsa americana è stata piuttosto colpita dai dati sul PIL cinese che è avanzato meno del previsto e sempre al di sotto delle aspettative ci sono stati i numeri sul settore manifatturiero americano.

Cos’è successo a Piazza Affari? La nostra borsa ha lasciato sul terreno lo 0,5 per cento e gli scambi si sono svolti all’ombra delle vicende del Monte dei Paschi di Siena. La cronaca in questo caso ha fatto tutto: sono stati sequestrati ben 1,8 miliardi di euro a Nomura. Lo spread, invece, è tornato sotto il livello dei 305 punti ma non c’è da star tranquilli.

Tagliato anche l’outlook della Cina

 La Cina non poteva continuare a crescere al ritmo cui ci aveva abituato in passato. Anche la più banale delle teorie economiche sarebbe stata in grado di prevedere, ad un certo punto, la flessione dell’economia mandarina.

Quali nazioni soffrono della svalutazione aurea

Il problema è che quando si dice “ad un certo punto”, si dice “adesso”. La Cina ha smesso di crescere e la prospettiva spaventa soprattutto i suoi partner che attendono fiduciosi le scelte del governo. Una soluzione, un trampolino di lancio per la ripresa, potrebbe essere nell’incremento della spesa pubblica ma adesso la flessione, considerata parallelamente alla crescita più veloce del previsto delle grandi economie come quella americana, appare disastrosa.

L’economia cinese tira le briglie

Per questo gli analisti che fanno parte delle agenzie di rating hanno iniziato ad essere più pessimiste nei confronti della Cina. Il fatto è che la diffusione dei dati macroeconomici sul PIL del primo trimestre e i dati sulla produzione industriale, non lasciano scampo. Moody’s Investor Services, ha quindi bocciato i risultati della Cina ed ha modificato l’outlook sul rating del paese in questione che è stato portato da “stabile” a “negativo”, quindi al livello Aa3.

Moody’s spiega che a far pensare troppo c’è il debito delle amministrazioni locali. Fitch fa eco a Moody’s, infatti ha abbassato il giudizio di merito di credito fino ad A+ con outlook negativo. Sotto la lente d’ingrandimento il settore immobiliare.

L’Europa è una ma con tanti euro

 Ancora una volta, lo sguardo più lucido espresso sul Vecchio Continente è ad opera di un americano. Stavolta riportiamo la visione di Wolfang Munchau, il commentatore del Financial Times che ha parlato dell’Europa e dei suoi problemi anche in passato.

Il punto di partenza della sua analisi è lo studio effettuato dalla BCE sulla ricchezza delle famiglie da cui si evince che le famiglie tedesche sono tra le più povere d’Europa nonostante la Germania sia il paese più “ricco” dell’UE.

Le previsioni sui tassi futuri

Sembra che il risultato della ricerca non convinca né il commentatore né gli investitori e per capire meglio il risultato dell’analisi della BCE sia necessario avere una visione più ampia sull’euro.

La nuova banconota da 5 sterline

In Europa esiste – questo è indubbio – una sola moneta unica, l’euro, ma il suo valore nei diversi paesi cambia molto e quindi sembra quasi che ci siano tante monete parallele. Se si entra più nel dettaglio della discussione si scopre che i tedeschi non sono più poveri dei ciprioti e che i dati relativi alla spesa delle famiglie europee sono fuorvianti.

Per esempio la media degli acquisti delle famiglie tedesche è di 200 mila euro che diventano 670 mila se si va a Cipro, oppure 300 mila se si va in Spagna. Tutto si spiega con il differenziale nei tassi di cambio tra le varie economie dell’Eurozona. I numeri dati, infatti, non testimoniano la differenza che c’è tra le ricchezze nazionali, quanto piuttosto gli squilibri delle diverse economie.

Uscire dalla crisi con diverse opzioni

 A livello euristico, per così dire, esiste una battaglia accesa tra Angela Merkel e Nouriel Roubini che ha di recente fatto un giro in Europa per controllare la situazione economico del Vecchio Continente.

L’economista ha anche rilasciato un’intervista a Repubblica che è risuonata nei media come un attacco alla politica economica tedesca, come un affondo contro le proposte di uscita dalla crisi di Angela Merkel.

Madrid rinvia la questione deficit

L’economista in questione è partito dalla considerazione che il Patto di bilancio siglato dai paesi appartenenti all’UE, è stato deleterio ed ha causato danni importanti alle economie del Vecchio Continente, soprattutto le più fragili. Per questo ci sono almeno cinque possibilità per uscire adesso dalla crisi.

I titoli sloveni sono considerati tossici

Secondo Roubini bisogna innanzitutto mettere da parte l’idea del raggiungimento del pareggio di bilancio la cui data era stata fissata nell’arco di due o tre anni, visto che la situazione dei vari paesi sembra aggravarsi di giorno in giorno. Una soluzione che sicuramente non andrà bene alla Germania che ha promosso in modo deciso l’adozione di questa misura “protettiva”.

Il secondo passaggio potrebbe essere nella svalutazione dell’euro, una svalutazione del 20 per cento almeno, in modo da far circolare più moneta e far riattivare il ciclo dei consumi.

Il terzo punto di Roubini è nell’attivazione di programmi di QE come quelli della Fed, senza paura della svalutazione. Infine, attraverso il credit easing è arrivato il momento di sostenere con più forza le banche nazionali emanando al contempo degli eurobond che tamponino la situazione occupazionale dei paesi in crisi.

Quali nazioni soffrono della svalutazione aurea

 L’oro non è più un bene rifugio? Ormai questa domanda è da considerarsi retorica visto che l’oro non è più considerato uno strumento per proteggersi dall’iperinflazione e soprattutto le sue quotazioni sono in ribasso.

Il territorio ribassista sta impensierendo diverse nazioni che negli anni e nei mesi passati avevano guidato la corsa all’oro. Il crollo delle quotazioni, tra l’altro, è stato ancor più evidente nell’ultima settimana, con la perdita del 15 per cento del suo valore.

L’oro non è più un bene rifugio?

Quali sono le nazioni che maggiormente soffrono di questa situazione? Prima di passare in rassegna i paesi che hanno le più grandi riserve d’oro, ricordiamo che secondo il World Gold Council, le riserve auree globali sono di 31694,8 tonnellate d’oro nel 2013.

I 10 paesi che saranno colpiti dal calo del prezzo dell’oro sono: India, Paesi Bassi, Giappone, Russia, Svizzera, Cina, Francia, Italia, Germania, Francia e Stati Uniti.

Commerzbank sul ribasso dell’oro

Questi ultimi detengono la maggiore riserva d’oro che già nel 1952 era di più di 20 mila tonnellate. Dopo la metà degli anni Sessanta le riserve sono scese sotto le 10 mila tonnellate ma comunque sono ancora copiose.

La Germania ha venduto l’oro nella speranza di coniare “a poco prezzo” le monete commemorative ma le sue riserve auree non sono cambiate molto. Adesso il paese ha deciso di riportare l’oro detenuto all’estero in patria.

In Italia non ci sono state vendite d’oro grazie agli accordi del GBGA ma è anche vero che molto istituti di credito italiani avevano chiesto alla Banca d’Italia di comprare più oro per rendere più solidi i bilanci.

L’oro non è più un bene rifugio?

 Molti investitori si trovano davanti alla considerazione dell’inversione di tendenza dell’oro che era stato dato in forte ascesa nel 2012 e per tutto il 2013 ma dall’inizio dell’anno è in fase discendente ed è molto difficile che prima della fine dell’anno si arrivi ai famosi 2000 dollari l’oncia.

Molte banche d’affari si sono affrettate a correggere le loro stime sul metallo prezioso ricalibrando le previsioni e annunciando il calo delle quotazioni auree. Perché accade? Perché in questo momento molti paesi, anche emergenti, hanno rinunciato all’acquisto di oro e stanno diversificando gli investimenti, dedicandosi a beni più stabili. L’oro, insomma, non è più il bene rifugio d’un tempo.

Oro sotto i 1500 dollari l’oncia

Il declino delle quotazioni auree non solo è sempre più evidente ma è anche sempre più celere e così  l’oro ha perso il 15 per cento del suo valore in appena 15 giorni portandosi a quota 1350 dollari l’oncia. Questo ulteriore ribasso può essere imputato alla vendita forzata delle riserve auree e al QE della Fed che non sta portando all’iperinflazione. In pratica, un motivo che spingeva gli investitori a comprare oro era la paura dell’iperinflazione ma questo scenario è molto lontano.

Commerzbank sul ribasso dell’oro

L’oro, dunque, non solo non è considerato più un bene rifugio ma non è neanche visto come una barriera all’inflazione.

 

Cosa non va in Spagna e come uscire dal tunnel

 La crisi spagnola e il punto del FT hanno dimostrato che la Spagna è un paese cruciale per l’Europa eppure è proprio la moneta unica e il far parte di questa realtà sovranazionale a penalizzare il paese a livello economico e finanziario.

Record di disoccupati in Spagna

La situazione del paese è molto critica con il tasso di disoccupazione giovanile prossimo al 50 per cento, le banche in crisi e una serie di decisioni prese dal governo che non convincono affatto gli investitori. infatti il deficit fiscale resta fisso al 6,6 per cento del PIç e il debito nazionale è arrivato al 90% del PIL. La crisi è stata debilitante per il paese che non si trovava davanti ad un’emergenza di pari livello dagli anni Settanta.

La crisi spagnola e il punto del FT

L’ottimismo postfanchista, però, ha lasciato oggi spazio alla riflessione e sembra che gli spagnoli non siano più così sicuri di uscire facilmente dal tunnel. Le banche non riescono a sostenere la ripresa economica e il credit crunch ha messo in ginocchio le famiglie. La protesta della popolazione è stata sintetizzata dalle urla degli indignados che si sono scagliati soprattutto contro la classe politica.

Gli scandali finanziari del premier hanno gettato benzina sul fuoco ma adesso in molti si chiedono se si possa archiviare l’espressione di Ortega “La Spagna è il problema, l’Europa la soluzione” per considerare gli effetti negativi dell’adesione all’euro.

La crisi spagnola e il punto del FT

 Il Financial Times si è espresso di recente sulla situazione della Spagna visto che la crisi che interessa questo paese sta assumendo delle proporzioni impossibili da gestire. L’Europa è preoccupata non solo per il profilo finanziario della Spagna ma anche per la sua politica e per l’aggravarsi delle condizioni sociali.

Secondo l’editorialista del Financial Times Rachman il problema della Spagna è che si tratta di un paese dove la modernizzazione ha fatto passi da gigante e basta osservare i treni ad alta velocità per farsi un’idea s riguardo. Quindi, se la Spagna non appartenesse all’Europa, probabilmente, non sarebbe nemmeno in crisi.

Madrid rinvia la questione deficit

La conclusione del giornalista è che il problema della Spagna è la moneta unica che fino a questo punto ha soltanto danneggiato i paesi periferici con l’economia in bilico come la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda e Cipro.

Record di disoccupati in Spagna

Peccato che la Spagna, rispetto ai paesi citati, sia molto più grande e rappresenti un punto di snodo cruciale per l’economia europea. I numeri, però, parlano chiaro. La disoccupazione ha raggiunto quota 26 per cento e se si approfondisce la situazione della disoccupazione giovanile la percentuale sale al 50%. E poi, come in tutti i paesi che maggiormente hanno assorbito la crisi, resta il problema della fragilità del settore creditizio.

Krugman contro i Bitcoin

 Paul Krugman è diventato un punto di riferimento contro corrente per chi si avvicina al mondo della finanza con uno sguardo critico. Il premio Nobel per l’economia, recentemente, ha parlato della crisi dell’Europa ed ha ribadito che una rivoluzione, una protesta seria contro l’austerity potrebbe essere provvidenziale.

Adesso sotto la sua speciale lente d’ingrandimento ci sono finiti i Bitcoin che sono valute virtuali che hanno dimostrato in pochi mesi un rendimento superiore alle attese, capace di andare oltre il rendimento delle valute tradizionali.

Si torna a parlare di Bitcoin

Si tratta però di valute virtuali che potrebbero presto essere alla base di una crisi finanziaria senza precedenti. Secondo Krugman si erano accorti dell’assurdità di questi sistemi d’investimento paralleli, già nel 1776 e non si capisce per quale motivo siano tornati di moda.

Secondo il premio Nobel i Bitcoin sono monete virtuali che richiedono il dispendio di risorse reali. In pratica funzionano come i metalli preziosi, per cui erano spesi dei soldi finalizzati all’accumulo di un materiale simbolico.

La nuova banconota da 5 sterline

Quanto alla loro reale diffusione c’è da dire che rappresentano una moneta virtuale accettata al momento soltanto da pochissimi siti web che la usano come una valuta tradizionale per effettuare acquisti di beni reali. Il suo rendimento delle utile settimane ha spinto verso l’alto la popolarità dei Bitcoin.

Zuckerberg, adesso dice di possedere l’1 per cento di tutti i Bitcoin in circolazione che equivalgono a qualcosa come 11 milioni di dollari.