Secondo l’OCSE cresce il costo del lavoro

 Il costo del lavoro continua a crescere, a dirlo è l’OCSE che da quanto è iniziata la crisi non fa altro che tenere sotto controllo il settore in cui dovrebbe rinascere l’economia. Il fatto che cresca questo parametro, però, fa pensare che la crescita sarà ancora più lenta.

La ricognizione dell’OCSE è tutta dedicata alla zona euro dove il costo del lavoro è aumentato andando sopra la media. L’Italia, in tal senso, si aggiudica la medaglia d’argento visto che il lavoro costa ancora di più in Germania rispetto al nostro paese. Nel paese della Merkel, infatti nell’ultimo trimestre del 2012 il costo del lavoro è cresciuto dell’1,3 per cento mentre in Italia è cresciuto soltanto dell’1 per cento.

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In generale, l’aumento del costo del lavoro ha dimostrato un rapporto inversamente proporzionale alle retribuzioni, quindi se da un lato sono aumentati i costi legati all’attività professionale, dall’altra sono aumentate meno del previsto le retribuzioni. Un fattore che poi è stato bilanciato da un complessivo rallentamento della produttività dell’Europa.

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Il Vecchio Continente, in questo movimento, non è solo, perché rallentamento della crescita dei salari e calo della produttività hanno fatto aumentare anche il costo del lavoro negli Stati Uniti dove si parla del +1 per cento e in Canada dove l’aumento è stato più contenuto ed è dello 0,4 per cento.

 

 

La FED lascia i tassi invariati

 Lavorare sul costo del denaro, in questi ultimi due anni, è stato lo stratagemma delle banche centrali per sostenere l’economia interna. Hanno iniziato la BCE e la FED per poi essere seguire a ruota anche dalla BoJ e dalle altre banche centrali.

Poi però, la situazione sembrava essere sfuggita di mano a tutti, tanto che si è iniziato a parlare di guerra di valute, fino a che è intervenuto Mario Draghi a placare gli animi spiegando che le banche centrali stanno facendo semplicemente il loro lavoro, senza avere nelle intenzioni la distruzione delle economie altrui.

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Il mercato valutario, però, non si è per nulla fermato e in queste ore è stato segnato dalla comunicazione della Fed che ha deciso di lasciare i tassi invariati. La banca centrale americana ha deciso di lasciare immutato il costo del denaro ma allo stesso tempo ha deciso di rivedere al ribasso le previsioni sull’economia del paese.

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La crescita economica non è quella preventivata ma qualcosa di positivo in tutta questa storia c’è nel senso che la disoccupazione è minore rispetto alle previsioni. La scelta della FED era attesa e prevista. I tassi, tanto per essere precisi, resteranno compresi tra lo 0 e lo 0,25 per cento. Un livello minimo che è un record. Non si avevano tassi così bassi dal dicembre del 2008. Il tasso di disoccupazione resta leggermente a di sopra del 6,5 per cento e il tasso d’inflazione, invece, è fisso sotto la soglia del 2,5 per cento.

Rich Ricci di Barclays si mette in tasca 18 milioni

 La Gran Bretagna, che tutti considerano ancora la gallina dalle uova d’oro per gli europei in crisi alla ricerca di lavoro, in realtà sta affrontando un forte periodo di crisi. È stata costretta a ricalcare una serie di misure di austerità, già conosciute nel resto del Vecchio Continente, al fine di tenere tutti i conti del paese sotto controllo.

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In un momento del genere, un super bonus per un banchiere, dato da una banca nazionale, farebbe infuriare chiunque. E così è stato, visto che Rich Ricci, ex collaboratore di Diamond, il CEO di Barclays che si è dimesso dopo lo scandalo Libor, ha portato nel suo portafoglio un bel gruzzoletto, un bonus da 18 milioni di sterline che vanno a sommarsi al suo già cospicuo patrimonio che sale a 57 milioni di sterline.

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Il banchiere in questione ha soltanto 49 anni e una passione per le banche e per l’ippica che, condita da una buona dose di fortuna, l’ha reso uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra. L’incremento del suo gruzzoletto però, avviene nello stesso periodo in cui il ministro del Tesoro inglese presenta i conti al Parlamento: l’economia del paese è debole, crescerà meno del previsto nel 2013 e sarebbe addirittura opportuno dimezzare le prospettive di crescita.

Anche per Unipol c’è la cedola per gli azionisti

 In un anno di crisi erano davvero pochi gli azionisti che, investendo nel mercato italiano, pensavano di ottenere un risultato positivo, soprattutto se il terreno d’azione era quello del credito. Le banche, infatti, più volte sostenute dalla BCE, sono sopravvissute con difficoltà al rifinanziamento imposto anche dalle leggi europee.

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Eppure qualche istituto di credito con le finanze maggiormente in ordine, è riuscito a sorprendere gli scettici e offrirà una piccola cedola ai suoi azionisti. Dopo le notizie legate a Terna ed Enel Power, stavolta prendiamo atto del successo Unipol. La banca in questione, infatti, prevede di pagare una cedola di 0,15 euro a tutti gli azionisti.

La compagnia bolognese è stata in grado di rispettare le previsioni degli analisti e di superare talvolta le mete definite. Il 2013, per questo motivo, sembra offrire ancora un terreno d’investimento positivo. Molto del successo dell’azienda si deve anche all’integrazione del gruppo Fondiaria-Sai.

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Il 2012, tanto per dare qualche numero, per Unipol è stato segnato da un utile netto di 441 milioni di euro. Ad  inficiare i risultati però, ci sono gli 889 milioni di perdite legate a Premafin. Alla fine l’utile netto del gruppo Unipol stand alone è stato di 241 milioni di euro con la previsione di una cedola di 0,15 euro per azione e 0,17 euro per le cosiddette risparmio.

Ferragamo vede bene anche il 2013

 Mentre l’Italia si popola di imprese attanagliate dal pessimismo e mentre si prende atto che anche Suntech Power è pronta a chiedere il fallimento nonostante sia leader nel settore delle energie rinnovabili, in Italia il mercato del lusso continua a girare.

L’ultima azienda a far sapere che non se la passa poi così male è quella di Ferragamo, la nota marca di moda che in un anno di crisi come il 2012, è riuscita ad incrementare del 17 per cento il suo giro di affari portando nelle casse dell’azienda ben più di un miliardo di euro. L’utile netto inserito nel bilancio 2012, è stato addirittura superiore alle attese degli analisti. Molto di questo successo, comunque, è legato allo scioglimento della join venture con Zegna che ha determinato un incremento dei dividenti della società.

Il lusso non tramonta, dunque, anzi, continua a crescere. Il 2012 è stato segnato dalla crescita come anche l’anno precedente. Il fatturato è salito a quota 1.153 milioni di euro con un risultato operativo lordo in aumento del 24 per cento, superiore anche alle previsioni.

L’utile previsto era di 98,2 milioni di euro, mentre anche in questo caso sono state superate le attese con un utile di 106 milioni di euro. Molto, in questo caso, dipende da un’operazione commerciale messa a segno nel Sud Est asiatico e in Corea.

Suntech Power pronta a chiedere il fallimento

 Suntech Power è un’azienda cinese molto conosciuta anche nel nostro paese perché si occupa del settore emergente dei pannelli solari. È l’azienda leader di questa porzione di mercato eppure negli ultimi mesi ha subito gli effetti della crisi.

Non ci sono soltanto perdite di denaro, la crisi è tale che l’azienda sembra pronta a chiedere il fallimento. Il gigante asiatico dell’energia pulita, infatti, ha accumulato 1,14 miliardi di dollari di debiti con le banche ed ha anche un bond da 541 milioni di euro che  non riesce a ripagare.

Energicamente Gran Prestito

Questi debiti, messi sotto la lente d’ingrandimento degli analisti, hanno dimostrato di legarsi alla concorrenza che si è generata nel settore, alle imposte che ha applicato a questo tipo di prodotti l’America e soprattutto all’evoluzione tecnologica che, combinata con la concorrenza di cui sopra, ha contribuito all’abbassamento dei prezzi.

Il bonus IRPEF sulle ristrutturazioni “solari”

La Suntech Power è in crisi e con essa anche tante altre aziende. Molti produttori di pannelli fotovoltaici e strumenti per l’accumulo di energia rinnovabile, hanno chiuso già in Europa, in Giappone e negli Stati Uniti. Il leader mondiale non poteva restare escluso da questo tonfo del mercato.

La crisi dell’immobiliare e i pannelli solari

Il ricorso al “fallimento”, adesso, dipende dal fatto che otto banche hanno fatto una petizione contro l’insolvenza di una succursale della Suntech Power, la Wuxi.

Le imprese attanagliate dal pessimismo

 In America va molto di moda tenere il polso del sentiment degli utenti e dei consumatori. Un indicatore che aggiunto alla considerazione  di altre variabili, è in grado di dirci se l’economia del paese è davvero in una fase di ripresa e se i cittadini, con le loro spese, ci credono e la sostengono.

In Italia, anche se i metri di valutazione non sono così raffinati, si fa un tentativo analogo: capire cosa pensano le aziende e cosa i consumatori. Si occupano delle rilevazione, in genere, le associazioni di categoria.

 La situazione del reddito degli italiani

Confcommercio, di recente, ha preso in esame il sentiment degli imprenditori, è andata a cercare un sostegno alla sua teoria tra le imprese. Cosa ne ha dedotto? Che il 42 per cento degli imprenditori ritiene che il 2013 non sia affatto l’anno della rinascita ma sia ancora peggiore del 2013. Un’altra fetta d’intervistati, il 52 per cento, ritiene che l’anno in corso non sia molto diverso dall’anno scorso, quindi scorrerà lentamente e non darà buoni risultati. Una ristrettissima minoranza, il 6 per cento, infine, pensa che l’economia italiana, contrariamente alle parole di Draghi, migliorerà entro dicembre.

 Un rinnovato ottimismo percorre le borse europee

Di norma a regolare gli scambi nel nostro paese c’è un diffuso pessimismo che prevale anche sui timidi segnali di ripresa che in qualche settore ci sono già.

Le scelte energetiche tedesche sono destinate a fallire

 La Germania per motivi legati alla solidità della sua economia, è considerata senza dubbio la prima della classe in Europa, ecco perché anche con numerose polemiche, alla fine, decide sempre di aiutare i paesi in difficoltà. Perdere un solo pezzetto del puzzle europeo incrinerebbe la solidità dell’euro e la sussistenza dell’economia tedesca.

Il punto del FT sulla crisi europea

In Germania, tra l’altro, la ripresa economica è già ripartita mentre Draghi, per il resto del Vecchio Continente, è stato costretto ad allungare i tempi della rinascita fino all’inizio dell’anno prossimo. Che c’entra tutto questo con la politica energetica? Apparentemente niente, in realtà il fallimento delle scelte tedesche in questo settore, dovrebbe mettere sul chi va là gli opzionaristi che sanno come, anche quando si parla di Germania, non è tutto oro quel che luccica.

La ripartenza pronta dei tedeschi

Di recente, infatti, è stato pubblicato un rapporto del World Energy council, l’associazione internazionale dei produttori di energia che spiega come il modello energetico della Germania, alla lunga, possa indebolire l’economia del paese. Si fonda infatti su grandi spese per le rete elettriche e per le energie rinnovabili. Un mercato, purtroppo, per il momento poco attraente.

Poco attraente nel senso che per questo tipo di fonti energetiche l’esportazione non va a gonfie vele e quindi, alla lunga, non è sostenibile.

Il progetto Bpm per avere dividendi

 Il presidente della Banca Popolare di Milano ha presentato i risultati dello scorso anno finanziario spiegando che la banca ha sì chiuso con un rosso di oltre 429 milioni di euro, ma adesso sono pronte forze fresche, un’iniezione di liquidità di 500 milioni di euro.

Banche in crisi si torna a parlare di esuberi

Con questo bel gruzzoletto la banca ha in mente soprattutto di ripagare i famosi Tremonti bond. In più l’anno scorso c’è stata la trasformazione dell’istituto di credito in SpA. Il calendario degli appuntamenti s’infittisce e sembra siano già state programmate due assemblee nel mese di luglio. Dalla BCE, infine, arriveranno altri finanziamenti, un bel tesoretto di 1,5 miliardi di euro.

BPM vola in borsa dopo l’annuncio dello Statuto

A spiegare quello che sta succedendo alla Banca Popolare di Milano ci ha pensato il presidente del Consiglio di gestione dell’istituto di credito, Andrea Bonomi che ha è anche il principale azionista della banca. Il  rosso registrato nel 2012 non deve sorprendere visto che è stato causato dall’accantonamento dei crediti promosso da Bankitalia e dalla creazione del Fondo di Solidarietà. Quest’ultimo consentirà l’uscita senza traumi dal mondo del lavoro di circa 900 persone con il conseguente abbassamento dell’età media dei lavoratori in banca fino a 42 anni.

Una rivoluzione, quindi, che ha i suoi costi ma potrebbe essere di riferimento per il panorama creditizio tricolore.

Abramovich jr parte dal petrolio

 Ereditare l’attività e il business dei propri genitori, oggi, è sicuramente un sogno di tanti ragazzi che cercano di lavorare in un mercato sempre più blindato dalle difficoltà della crisi. Certo è che quanto tuo padre è il patron del Chelsea, magnate russo del petrolio, l’eredità è un vero terno al lotto.

Tutto quello che c’è da ricordare sulle materie prime

La notizia riguarda nello specifico Arkadij Abramovich che a soli 19 anni ha ricevuto una cospicua paghetta dal padre ed è diventato petroliere. Come ha fatto? Ha acquistato per 46 milioni di dollari un giacimento di petrolio in Siberia. La regione di per sé è molto ricca di oro nero. L’acquisto di questo giacimento è stato raccontato dal Times di Londra.

Cosa succederà al petrolio venezuelano

Abramovich Jr, infatti, prima di passare allo “shopping” ha costituito una socità, la Ara Capital che per il 45% appartiene alla Zotlav. Quest’ultima è stata usata per rilevare la CenGeo Holdings, per la modica cifra di 26 milioni di dollari, proprietaria di un altro giacimento di petrolio situato nella zona occidentale della Siberia. Questa regione con i suoi 100 milioni di barili di greggio, resta la riserva più importante di petrolio.

Il giovane petroliere, comunque, non è uno sprovveduto. Prima di lanciarsi nel mondo dell’imprenditoria, infatti, ha studiato all’estero, a Londra e in Svizzera e soltanto dopo la fine degli studi superiori ha deciso di lavorare, visto che di università, a quanto ne dicono, non ne vuole sentir parlare.