Il bilancio di Aviva è compromesso

 Il mondo della politica è strettamente legato a quello della finanza, anzi, quest’ultimo attinge a piene mani dalle informazioni messe a disposizione dagli stati e dalle istituzioni sovranazionali. L’esempio è presto fatto: se la BCE dichiara che lascerà i tassi invariati è molto facile che ci sarà una stabilità oppure in incremento del fatturato delle istituzioni creditizie.

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Allo stesso modo sapere che un paese ha effettuato un giro di vite, operando dei tagli alla spesa pubblica o penalizzando alcuni settori dell’economia, può essere una spina nel fianco della società che operano sulla base dei dati nazionali. Arriviamo così al caso di Aviva.

Krugman parla dei problemi dell’Europa

E’ il secondo gruppo assicurativo britannico che adesso annuncia di aver chiuso l’esercizio con una flessione di 3 miliardi di sterline. Tutto dipende da 3,3 miliardi di svalutazioni legate alla cessione delle divisioni americane dell’azienda che ha comportato l’annullamento di bonus e l’addio agli aumenti per i manager.

Aviva si occupa di assicurazioni in Gran Bretagna e quest’anno ha dovuto fare i conti con un 2012 non proprio felice visto che ci sono state le perdite che abbiamo elencato. Il risultato operativo è stato di 1,776 miliardi di euro, che è comunque meno di 1,857 miliardi del 2011. Il dividendo stesso dell’azienda è in calo del 27 per cento ed ha raggiunto quota 10 pence per azione.

Autogrill ha ancora dubbi sulla cedola

 In un mercato industriale e azionario normale se l’azienda va bene, ottiene un utile interessante e si comporta lealmente, c’è un dividendo da spartire con cui nella stessa azienda ha investito comprando azioni. Ma oggi, in questo periodo di forte crisi che coinvolge aziende di ogni tipo, il primo pensiero è sempre quello di riparare i debiti. Per le cedole degli azionisti c’è da aspettare anche se l’attesa è deleteria per il titolo dell’azienda in borsa.

Autogrill cresce dopo l’annuncio della scissione

La premessa ci serve soltanto per introdurre il caso Autogrill. L’azienda, nel 2012, ha dovuto far fronte ad una flessione degli utili del 23 per cento che si traducono in una perdita pari a 96,8 milioni di euro. La parte italiana dell’azienda, per esempio, è andata in rosso. L’ad, Gianmario Tondato, deve quindi capire cosa farne delle cedole degli azionisti.

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I dividendi devono essere pagati ma le soluzioni sono diverse: per esempio si potrebbero usare le riserve di denaro dell’azienda, oppure procrastinare i pagamenti. Tanto all’orizzonte s’intravede già la separazione dei ristoranti dai duty free.

Il processo di ristrutturazione, infatti, prosegue. Tondato ha annunciato, intanto, i risultati del 2012:  ricavi sono in aumento del 4 per cento e hanno raggiunto quota 6.07 miliardi. I margini sono in calo del 4,4 per cento fino a 589,9 milioni e anche le attese degli analisi sono state riviste dopo il calo del 23 per cento degli utili.

Fatturato in crescita per Campari

 Il Campari, da qualche anno, non è la bevanda più diffusa nel mondo ma conosce un discreto successo che si traduce in un buon risultato anche in borsa. La credibilità dell’azienda e la sua permanenza sul mercato in un momento di crisi sembrano essere assicurate.

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Tutta la crescita di Campari, dipende dalle acquisizioni che ha portato a termine in questi anni. Per esempio è stato comprato un rum giamaicano, il Lascelles deMercado. In più si tratta di una bevanda molto gradita soprattutto negli Stati Uniti. In questa marcia trionfale l’unico dettaglio che impensierisce gli investitori è quello della redditività che sembra in frenata.

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Il titolo in borsa, quindi, sarà presto in rialzo ma deve affrontare ancora un periodo di debolezza legato proprio all’annuncio dei risultati di Campari. E’ servita a poco la dichiarazione dell’ad del gruppo che ha commentato con una certa soddisfazione i risultati del 2012.

L’anno in corso, come per tutte le aziende, sarà un periodo intermedio in cui bisogna affilare le armi per sopravvivere alla crisi. Il perdurare della recessione europea non aiuta ma ci sono altre zone del mondo che potrebbero controbilanciare i risultati del Vecchio Continente.

Si vede di buon occhio, ad esempio, il miglioramento delle vendite in America Latina.

Nessuno si aspettava un exploit del carbone

 Si parla tanto di energie rinnovabili, di risparmio energetico, di progetti delle nazioni per raggiungere l’autonomia energetica bilanciando le importazioni e la produzione di petrolio, che si è finito per perdere di vista il carbone. Numerose previsioni d’investimento, legate al mondo delle materie prime, hanno escluso il carbone dal computo delle materie su cui vale la pena puntare qualcosa.

Il carbone è la materia prima più richiesta

Invece una recente indagine del World economic forum, ha dimostrato che negli ultimi dieci anno il carbone è cresciuto al punto che deve considerarsi la fonte energetica cresciuta di più in termini assoluti. La domanda di questo materiale è cresciuta dieci volte di più della domanda di energie rinnovabili.

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Ma la domanda di carbone è cresciuta anche due volte di più di quella del gas e tre volte di più di quella del petrolio. Eppure la sensibilità ecologica di cittadini ed investitori, sembrava accresciuta. Le rinnovabili, sulla produzione energetica mondiale, mantengono un ruolo marginale rappresentando l’1,6 per cento della produzione di energia nel mondo.

Non stiamo parlando di un improvviso cambio di tendenza. Il risultato di questa ricerca vuole proporre un quadro veritiero della situazione dove, per l’appunto, le fonti fossile non sostituiranno le fonti rinnovabili, prima che siano passati almeno 20 anni.

Crollano le vendite di surgelati

 Tutti i titoli delle aziende che si occupano di surgelati, in questo momento, stanno tremando visto che la vendita dei loro prodotti è calata improvvisamente e la colpa è tutta da attribuire ai recenti scandali sulla carne di cavallo. L’indagine è stata fatta dalla Coldiretti che da sempre promuove l’uso di frutta e verdura freschi e di stagione.

I consumi parlano del peggioramento dell’Italia

Coldiretti ha indagato sui primi piatti pronti, sui ragù e sui prodotti congelati in generale, dimostrando che negli ultimi tempi, ci sono stati cali nelle vendite pari al 30 per cento. In parte questa flessione è legata al ritiro dal mercato di numerosi prodotti. I dati parlano di 200 tipi diversi di confezioni di prodotti alimentari, ritirate in 24 paesi.

Lo scandalo della carne di cavallo affonda le vendite di surgelati

Lo scandalo della carne di cavallo ha coinvolto la Francia ma anche l’Italia, in seguito al monitoraggio effettuato dalla eFoodAlert.net. A segnalare questo momento critico, ci ha pensato anche la Cia, la Confederazione italiana agricoltori che addita una flessione del 10 per cento delle vendite.

Adesso i consumatori preferiscono buttarsi su prodotti confezionati a base di carne bovina che generalmente, in un supermercato, rappresentano il 20 per cento del settore. Soltanto a livello informativo vale la pena dire che il giro d’affari dei piatti pronti è di 330 milioni di euro di cui 80 milioni sono primi pronti freschi.

La ripresa ci sarà dal 2014

 L’economia della zona euro è in difficoltà ed è complicato in questo momento tirare fuori gli elementi che potrebbero rimettere in ordine i bilanci dell’UE e dei suoi stati membri. Nonostante gli sforzi, infatti, la ripresa resta molto lenta e a parlare di tutto questo, nei giorni scorsi, ci ha pensato Mario Draghi.

Fiducia per le banche centrali

La rinnovata fiducia nelle banche centrali, ha dato al presidente della BCE la possibilità di fare un’analisi lucida della situazione. Si è parlato soprattutto di taglio dei tassi, di tassi invariati e di previsioni per la ripresa. Se fino a gennaio l’ottimismo impone una rincorsa della ripresa che si sarebbe vista dalla seconda metà del 2013, a distanza di qualche mese bisogna rifare i conti.

Scende lo spred e vanno bene le banche

Secondo Draghi la ripresa non ci sarà prima di un anno. Gli investitori, a questa nuova previsione, avrebbero potuto gettare la spugna, invece sono andati avanti senza considerare le nuove stime di Draghi.

A livello nazionale è chiaro che l’Italia dovrà affrontare un altro anno di crisi ma dagli atteggiamenti degli investitori, sembra che tutti siano fiduciosi sul futuro del nostro paese. Insomma, l’Italia, anche quella post elettorale, non è un motivo di preoccupazione. E per quanto riguarda la politica? In Europa sono meno scandalizzati i politici e gli investitori di quanto non lo siano i media e i politici tricolore.

Banco Popolare in difficoltà

 Il sistema bancario italiano ha dimostrato di essere molto più solido di altri sistemi omologhi in Europa ma questo non lo mette al riparo da alcuni elementi critici che vanno ad intaccare l’ascesa dell’uno e dell’altro titolo bancario. Stavolta, sotto la lente d’ingrandimento degli analisti, ci è finito il Banco Popolare che ha dichiarato al mercato che per la sua concessionaria Agos ci sono molte perdite.

 Banco Popolare in difficoltà

Bankitalia, intervenuta nella questione, ha perfino invitato gli ad del Banco Popolare ad operare una rettifica sui crediti. Questo vuol dire che entro la fine dell’anno i risultati andranno al di là delle stime originali fatte dagli analisti. Si allontaneranno ma per ora è indiscusso il Core Tier 1 superiore ai requisiti fissati dall’Associazione bancaria europea (Eba).

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Il Banco Popolare, dal punto di vista del mercato, si è comportato con molta chiarezza tanto che gli investitori hanno subito ipotizzato una perdita netta del titolo. Nel comunicato diffuso dai manager del gruppo bancario, sembra che il “buco” che sarà accusato alla fine dell’anno, si aggirerà intorno ai 330 milioni di euro.

Il brutto è che questa è soltanto la stima fatta per la chiusura dei bilanci alla fine dell’anno, ma non si esclude un incremento delle perdite. Preoccupa soprattutto Agos, la concessionaria della quale non si hanno ancora dati definitivi, se non quelli riferiti al 2012, quando ha inciso sulla perdita del Banco Popolare con un buco da 100 milioni di euro.

200 milioni di euro a William Johnson

 Chi è William Johnson? L’amministratore delegato della società Heinz, nota soprattutto in America per la produzione di Ketchup. Questo manager ha deciso di lasciare l’azienda ed incasserà una buona uscita molto corposa, tanto per dirla all’europea.

28 miliardi di dollari per il ketchup

Proprio mentre nel Vecchio Continente si parla di mettere un tetto ai superstipendi dei banker, altri stipendi, in America, sembra necessari e intoccabili. L’ad di Heinz, infatti, lascerà l’azienda con un bell’assegno da 200 milioni di dollari.

Negli Usa scatta la sequestration

Tutto dipenda dalla conclusione dell’accordo tra Heinz, Warren Buffett e 3G Capital. Queste ultime due aziende hanno comprato quella di Johnson che adesso, a soli 64 anni, può ritirarsi a vita privata con un paracadute di 56 milioni di dollari, una pensione di 57 milioni (che comprende anche compensi ritardati) e infine circa 99,7 milioni di dollari di azioni.

Il capitale che sarà incassato da Heinz ha determinato, sui giornali, almeno il riepilogo dei suoi successi industriali. Johnson guida l’azienda dal 1998 e durante la sua amministrazione ci sono state una quarantina di acquisizioni che hanno reso la compagnia molto concorrenziale sotto il profilo del marketing e delle innovazioni. Basta pensare alle confezioni del ketchup in questione.

Le vendite dell’azienda, nel 2012, sono cresciute dell’8,8 per cento rispetto all’anno precedente e quindi il commento principale è stato: Johnson si merita quel che gli hanno dato.

Niente entusiasmo sul fronte americano

 La Federal Reserve ha pubblicato in questi giorni il famoso Beige Book che da anni è lo strumento privilegiato dagli investitori che vogliono fare fortuna in territorio americano. Peccato che il report, stavolta, non sia così promettente e non incoraggi l’ingresso di capitali nei paesi a Stelle e strisce.

 Mark mover impattanti per le maggiori monete

Il Beige Book della Federal Reserve, infatti, parla dell’incertezza del recupero dell’economia americana che non vuol dire che gli Stati Uniti sono in una fase di recessione, ma vuol dire che il lavoro nel paese migliora in modo troppo limitato.

Il resoconto della FED tiene in considerazione soprattutto quello che è successo nei primi due mesi dell’anno: la crescita del mercato è stata modesta, così come irrisorio il miglioramento del mercato del lavoro, dove a fare la differenza sono le tasse sugli stipendi più alti e il sequestrer inaugurato da Obama.

 Dall’America l’idea del sequester

I tagli alla spesa e l’incertezza sul fronte occupazionale, mettono a repentaglio al salute dell’economia statunitense, per questo è necessario che s’intervenga anche sul fronte monetario. Il Beige Book, infatti, adesso passa nelle mani della banca centrale americana. Si attende di conoscere l’esito della valutazione dello stato dell’arte che farà Ben Bernanke tra il 19 e il 20 marzo prossimi.

La pubblicazione del report ha comunque avuto un effetto immediato sul mercato dove il Dow Jones ha rallentato crescendo soltanto dello 0,23 per cento.