Guerra di valute ed esportazioni

 La guerra di valute non esiste, lo ha detto Mario Draghi nel discorso al Parlamento Europeo ma è stato accettato anche dai leader politici riuniti a Mosca per il G20. Ogni banca centrale ha la possibilità e il dovere di studiare la strategia finanziaria migliore per aiutare il proprio paese in difficoltà.

Gli ostacoli al new deal di Shinzo Abe

Dall’Europa, le proteste che si sono levate nei confronti delle scelte di Shinzo Abe e della Bank of Japan, quindi sono state eccessive. Un economista di origini danesi, però, ha cercato di capire se la relazione tra il volume delle esportazioni e il valore della moneta locale, tanto usato nei discorsi sulla guerra di valute, è realmente come lo descrivono i politici.

La ripresa ci sarà ma alla fine dell’anno

Il risultato, neanche a dirlo, è stato del tutto differente dalle aspettative. Delusi, quindi, tutti coloro che si aspettavano una conferma delle paure buttate sull’arena mediatica riguardo il fatto che la guerra di valute deprime le esportazioni, soprattutto in Europa. Un grafico, pubblicato sul blog di Lars Christensen, l’economista danese, ne è la prova.

Il calendario economico del 19 febbraio

La guerra di valute che si è scatenata a livello internazionale non ha ridotto in povertà l’Europa che ha dovuto fare sì i conti con l’apprezzamento dell’euro, dovuto alle azioni della Fed e della BoJ, ma la variazione dei prezzi ha salvato il Vecchio Continente.

L’Euro è più forte quindi, per l’allentamento monetario deciso per dollaro e yen, ma in America e in Giappone è stata così rilanciata la domanda interna e le importazioni, a tutto vantaggio dell’euro.

Le elezioni italiane e gli investimenti

 Nel nostro paese si avvicinano sempre di più le elezioni e il mondo della politica è in fermento. Condividono il fremito anche gli uomini della finanza che vogliono scoprire se da lunedì, portare i soldi nel nostro paese, investire in Italia, sarà di nuovo conveniente.

Le sfide economiche per l’Italia

Il voto in Italia, quindi, diventa importante per gli italiani ma anche per il resto dell’Europa e per gli Stati Uniti. In America, in particolar modo, gli investitori si stanno concentrando sui sondaggi elettorali, quelli elaborati ma mai pubblicati.

Alcune indiscrezioni sull’Italia post-elettorale, però, sono venute fuori. Per esempio, la fotografia degli investitori asiatici è molto simile al ritratto che ha tracciato di loro il ministro dell’Economia Vittorio Grilli: hanno fiducia sui BTp a breve termine mentre non credono che l’Italia resti nei confini della stabilità a lungo, tanto da deprecare i bond a lungo termine.

Il FT parla delle sfide del prossimo governo

E’ probabile che questa impressione sia stata di recente suffragata dagli scandali finanziari del Monte dei Paschi di Siena e di Finmeccanica. Certo è che la parola d’ordine, anche per il futuro, è: incertezza. Gli investitori stranieri, quindi, non solo asiatici, mantengono un atteggiamento che può essere definito prudente e sperano di scoprire l’alleanza più plausibile per garantire governabilità al paese.

I mercati si aspettano il duo Bersani-Monti e potrebbero rispondere con entusiasmo a questa possibilità ma è tutto ancora da vedere.

Crédit Agricole in perdita nel 2012

 Crédit Agricole ha registrato una perdita economica eclatante con riferimento all’anno d’esercizio 2012. Si parla di un buco di 6,5 miliardi di euro, un record, in senso negativo, che spazza via le peggiori performance della banca risalenti al 2001.

 Il BTp a 15 anni fa “strage di cuori”

Secondo molto analisti, le perdite precedenti erano legate al passaggio della banca dall’essere una struttura privata, all’essere una struttura pubblica. Mentre adesso a gravare sui conti francesi ci sono le ferite ancora aperte in Grecia e in Italia. Per esempio Crédit Agricole ha venduto la sua costola greca Emporiki ma sulla vendita, l’imposizione fiscale, è stata giudicata eccessiva. Si unisce a questo discorso anche quello sulle svalutazioni, di ben 4,53 miliardi di euro, legate agli asset italiani.

 Conto ProvaCi Più di Cariparma

Crédit Agricole, dunque, risulta penalizzata da quel che è accaduto nel Sud dell’Europa dove il gruppo bancario in questione aveva disseminato una serie d’importanti filiali. Mentre si è tirata fuori da Intesa Sanpaolo, Crédit Agricole è rimasta fortemente legata alla Cariparma che nell’ultimo trimestre del 2012 ha fatto segnare -1o milioni di euro e una svalutazione preoccupante sui crediti.

In Grecia, invece, quello che è accaduto è stato più drammatico visto che il gruppo francese ha pagato 2,2 miliardi di euro l’acquisizione di Emporiki e poi ha dovuto cedere la stessa banca greca al prezzo di 1 euro. Il piano che hanno in mente gli ad della banca adesso, sono relativi ad una riduzione dei costi che potrebbe avere effetto sul medio termine.

Il FT parla delle sfide del prossimo governo

 Siamo a pochissimi giorni dalle elezioni e sia i candidati, sia gli economisti, cercano di stabilire un legame sempre più evidente tra il risultato elettorale e  il trend dell’economia nel nostro paese. Il Financial Times, che si è sbilanciato come la Germania nel suggerire di non votare Berlusconi, oltre ad aver prefigurato uno scenario politico “possibile” in Italia, ha spiegato le 10 sfide che attengono il nuovo governo tricolore.

► The Guardian parla di pro e contro dell’Italia

Il primo tema da affrontare sarà sicuramente quello del PIL, visto che nonostante gli sforzi, la nostra economia resta in una fase di stagnazione. Negli ultimi 10 anni non ci sono stati miglioramenti e i grafici ci riportano indietro fino al 2001. Prima si parlava di crescita a partire dal secondo semestre del 2012 ma ora anche questa ipotesi è stata ricalibrata e sembra ci sia da aspettare ancora un p0′, forse troppo tempo.

► I dubbi del FT sulle elezioni italiane

Per ripartire, comunque, il governo e il parlamento nuovi, avranno bisogno del contributo di tutta l’Italia per cui il secondo tema da affrontare secondo il Financial Times, è la disparità regionale nel nostro paese. Siamo di nuovo alle prese con la famosa questione meridionale? Probabilmente sì.

L’Irlanda non deve essere più salvata

La rivista economica però, aggiunge che la ripartenza globale dell’Italia dovrà essere legata all’investimento nella ricerca e nello sviluppo, un settore finora troppo trascurato dalla politica e dall’economia.

Gli ostacoli al new deal di Shinzo Abe

 Da quando il Giappone ha deciso di lavorare sullo yen, d’indebolirlo per rilanciare l’economia in difficoltà, si è tornati a parlare, a livello internazionale, di guerra delle valute. Ci è voluto un po’ di tempo e un meeting europeo, per ricucire gli strappi e arrivare alla conclusione che non esiste alcuna battaglia valutaria.

Con Abe cambia il Giappone e il suo futuro

Di fatto la strategia scelta da Shinzo Abe per il suo paese è la definizione di una politica monetaria piuttosto che l’insistenza sul rilancio della produttività del paese. Questa caparbietà ha fatto sì che il primo ministro perdesse il sostegno di alcuni uomini chiave ed ora, del suo nuovo obiettivo, quello di raggiungere il 2 per cento d’inflazione, si parla con  molto scetticismo.

L’avvio di settimana di Wall Street e Tokyo

Fino a questo momento Abe ha proposto la stampa illimitata di denaro ed ha indebolito lo yen del 13 per cento rispetto al dollaro. Per raggiungere il traguardo del 2 per cento d’inflazione, bisogna rintuzzare l’aggressività della politica monetaria. Non è d’accordo con la linea definita, il ministro delle finanze, contrario all’acquisto di titoli di Stato stranieri per indebolire lo yen.

Sembra sia venuto a mancare anche il sostegno della Banca centrale giapponese che dichiara di non avere gli strumenti necessari per raggiungere i nuovi obiettivi che comunque diventeranno tangibili soltanto a distanza di mesi. L’ultimo ostacolo al new deal di Abe è rappresentato dal fatto che questa insistenza sulla debolezza dello yen sta diventano ingestibile e presto provocherà si una guerra, ma interna al Giappone.

Un mix tra fondi ed ETF è il segreto

 Per investire in borsa – per molto tempo – si è scelto d’investire o nelle gestioni attive o negli strumenti passivi ma gli analisti, in questo particolare momento storico-finanziario, suggeriscono piuttosto di fare un mix delle due proposte. Una combinazione che potrebbe inaugurare una nuova strategia d’investimenti.

 Scommettere con gli Etf e lo spread

All’inizio la separazione tra i due strumenti di risparmio/investimento era obbligata poi con la normativa europea Ucitis III è stato consentito ai risparmiatori di cambiare strategia.

E’ proprio concentrandosi sulla strategia che si possono far fruttare i soldi messi da parte. Lo spiega bene uno studio di iShare che annuncia come su 35 società che regolano un business di 2.400 miliardi di euro, il 30 per cento preferisca dedicarsi soltanto alla gestione attiva, mentre un buon 25%, quindi una società su quattro, considera più redditizio il mix degli asset proposti.

 Guadagnare ai tempi della guerra valutaria

Tra i risparmiatori, poi, si scoprono tante tendenze diverse che rispecchiano soltanto la volontà dei singoli. Per esempio sono tanti quelli che non vogliono puntare sugli indici generali ma preferiscono i cosiddetti ETF che permettono di investire sui mercati ad elevata liquidità.

La diversificazione delle strategie d’investimento, comunque, comunica un profondo cambiamento del mercato, dove gli investitori non sono più tanto attenti alla stabilità dei prezzi dei titoli, quanto piuttosto al potere d’acquisto, quindi al rendimento reale.

In attesa delle elezioni cosa succede a Piazza Affari

 La volatilità del mercato italiano è molto legata alla situazione politica del paese. Basta pensare all’altalena dello spread che ha raggiunto cifre ragguardevoli nell’ultima fase del governo Berlusconi per poi dimezzarsi durante l’anno di riforme portate avanti dal governo Monti.

► Elezioni, dimissioni e opzioni binarie

Ma si potrebbe fare anche il caso di singoli titoli, come MPS o Finmeccanica dove sono emerse con sempre maggiore evidenza le relazioni tra settore industriale e mondo della politica. Le elezioni nel nostro paese sono talmente cruciali che anche la Germania ha proposto chi “non votare” per evitare la débacle finanziaria.

La Germania chiede di non votare Berlusconi

Per quanto riguarda l’andamento di Piazza Affari, in vista delle elezioni si nota che la maglia nera del listino nostrano è Mediaset che perde il 2,88 per cento, mentre aumenta il valore di altre azioni, come TiMedia che recupera il 5,7%. Su questa performance influisce la notizia relativa alle trattative sulla vendita di La7 dove Telecom ha scelto di privilegiare le avance di Urbano Cairo rispetto alle proposte di Diego Della Valle.

Della Valle non conquista Bernabè

Ad ogni modo, più dei guadagni di TiMedia colpisce il rosso del Biscione, molto bersagliato dalle tensioni elettorali. Mediaset sembra si avvii a chiudere il primo mese in rosso di tutta la sua storia finanziaria.

Perde anche RCS Media Group ma stavolta il calo è contenuto nel -1 per cento.

 

La ripartenza pronta dei tedeschi

 In Germania tornano a credere nella crescita e questo lo possiamo vedere dall’indice Zew che ha raggiunto un traguardo molto interessante in un momento in cui l’Europa, invece, è in fase di previsioni: al ripresa ci sarà e quando? Mario Draghi ha rimandato tutto al 2014, per esempio, portando avanti l’idea della debolezza dell’economia.

► Il rallentamento della Germania è finito

L’economia tedesca, invece, secondo la Bundesbank, ha già reagito alla contrazione del PIL e della produzione, registrata alla fine del 2012, adesso però, la ripresa di questa nazione dovrà essere supportata dalla stabilizzazione dell’Eurozona in generale.

Si riparte dalla fiducia delle imprese tedesche

Il bello è che la fiducia nell’economia tedesca è stata superiore al previsto: a dicembre l’indice Zew era fermo al 31,5 e ci si aspettava che a gennaio raggiungesse almeno la soglia del 35, invece si è assestato con grande sorpresa di tutti al 48,2 per cento. La buona notizia da carpire è che si tratta del terzo rialzo consecutivo, ma la volatilità dell’indice, dicono alcuni analisti, deve far calmierare un po’ l’entusiasmo.

 In Germania tornano a credere nella crescita

A questo punto, comunque, si può dire che la recessione è stata evitata e il report della Bundesbank non fa che confermare quanto già “annunciato” dagli investitori e dai consumatori. E’ probabile che nei prossimi mesi ci sia un’ulteriore iniezione di fiducia partendo dall’export.