Mediaset svolta e mette a segno due rialzi incredibili

 Mediaset sta diventando croce e delizia del mercato italiano. Dall’inizio dell’anno il titolo è sull’otto volante e a perdite improvvise ripara subito dopo con incrementi record. Per esempio, l’ultimo saliscendi degno di nota è stato proprio la settima scorsa.

 Nonostante la crisi a Piazza Affari c’è ottimismo

Mediaset ha prima messo a segno un incremento del 9,03%, poi ha toccato una nuova punta massima con il +13 per cento, per poi portare a casa anche un ottimo +6%. Una corsa inarrestabile che l’ha fatta entrare subito nell’indice DJ Stoxx che censisce le migliori società del momento.

 Saltata l’asta per le frequenze televisive, persi 1,2 miliardi di euro

Alla fine dei conti c’è stato uno scambio di capitale pari al 12 per cento che ha fatto riversare tutte le attenzione della borsa verso il gruppo della famiglia Berlusconi. Adesso, per avere un’idea del futuro del titolo Mediaset, bisogna soltanto scoprire chi sta comprando le azioni in questione.

 Trimestrali: crolla Mediaset

Qualche analisti cerca una correlazione tra i rialzi in borsa del titolo Mediaset e la ridiscesa in campo di Berlusconi. Peccato che fino a questo momento non ci siano grosse prove di questo andamento, quanto piuttosto ci si chiede degli hedge fund, visto che le stime di crescita del titolo Mediaset sono nell’aria.

La commissione Borsa ha comunque avviato un’indagine per scoprire la radice di queste oscillazioni.

Tavan Tolgoi rinvia il debutto in borsa

 Mentre Piazza Affari si prepara per Moleskine, Moncler e Versace si prende atto di una battuta d’arresto per un’altra azienda molto importante nel mercato azionario come Tavan Tolgoi. Non siamo, come si capisce bene dal nome dell’azienda, nel versante europeo.

 Torna l’entusiasmo sul mercato dei minerali del ferro

Tavan Tolgoi, infatti è un progetto di sviluppo minerario portato avanti in Mongolia che in questo momento, nonostante la volontà di procedere all’estrazione di coke dalla maxi miniera già costruita, si trova in difficoltà finanziarie.

La decisione d’interrompere la fornitura alla Cina con la contestuale richiesta d’aiuto allo Stato, ha fatto drizzare le orecchie agli investitori che hanno dovuto accettare l’ennesimo rinvio alla quotazione in borsa. La Tavan Tolgoi, infatti, sperava in una IPO da 3 miliari di dollari da mettere a segno contemporaneamente nelle borse di Ulan Bator, Londra e Hong Kong.

 I paesi emergenti spingono le quotazioni auree

Purtroppo la debolezza del mercato del carbone ha tarpato le ali dell’impresa. Molti ritengono che la colpa, in gran parte, sia da attribuire al Governo Mongolo che non è riuscito a sfruttare in modo morigerato e programmato una risorsa che poteva risollevare l’economia del paese che ha visto, soltanto l’anno scorso, crescere del 10 per cento il PIL.

Basta pensare che era nelle intenzioni di distribuire un pacchetto di azioni Tavan Tolgoi a tutti i cittadini mongoli. Il populismo è stato deleterio.

Piazza Affari si prepara per Moleskine, Moncler e Versace

  Piazza Affari, da qualche tempo, è tirata avanti dalle performance dei titoli legati ai beni di lusso, quindi non stupisce che ci sia molto fermento riguardo l’ingresso tra i titoli tricolore di Moleskine e Moncler prima e di Versace poi.

La borsa di Milano, da poco, ha salutato due new entry di tutto rispetto: Ferragamo e Brunello Cucinelli che lo scorso anno sono entrati nel mercato azionario. Un debutto che ha convinto molti investitori, soprattutto gli stranieri che adesso guardano con fascino e attesa le agendine che hanno reso famosi Chatwin ed Hemingway, nonché quei vestiti di lusso che fanno la moda con Moncler.

 Il Made in Italy non conosce crisi

Riguardo Moleskine, il debutto in borsa è sempre più vicino visto che l’azienda ha ottenuto il via libera per la quotazione dalla Consob. Sul mercato dovrà essere piazzata una quota consistente dell’azienda, il 40 per cento circa, tramite una Opvs.

 Si prepara l’IPO per Moleskine

Moleskine, tanto per fare un quadro chiaro ai possibili investitori, fa capo ai fondi Syntegra Capitale che detengono il 67,7 per cento della società. A seguire si deve fare i conti con un 15,2 per cento di Index Ventures e con il 10,6 per cento nelle mani del fondatore Francesco Franceschi. Infine c’è un 6,5 per cento delle quote che è nelle mani del management. In termini di fatturato Moleskine parla di 66 milioni di euro grazie alle vendite nel Stati Uniti, in Italia, in Germania e in Inghilterra.

Uno sguardo al mercato valutario per calibrare gli investimenti

 Oggi, sulla base delle pubblicazioni economiche che il mercato si aspetta, c’è da star sicuri che ci sarà qualche movimento interessante per il dollaro australiano, per quello americano e per l’euro. Andiamo con ordine.

Il dollaro australiano sarà influenzato dalla pubblicazione dell’indice di diffusione delle aziende che non comprende il settore agricolo. Il documento è curato dalla National Australia Bank Limited e si può considerare un market mover di impatto medio, anche se i suoi effetti saranno immediati. In generale ci si aspetta un incremento di questo indicatore che dovrebbe avere una correlazione positiva con l’ascesa del mercato valutario.

 Tutto il ForEX concentrato sulla zona Euro

Sul fronte euro, invece, ci sono due episodi da tenere in considerazione. In Germania, ad esempio saranno pubblicati l’indice di fiducia dei consumatori con impatto medio e l’indice dei prezzi d’importazione considerato invece d’impatto scarso. Per quel che riguarda la fiducia dei consumatori ci si aspetta una lettura con un leggero miglioramento.

Resta da dare un’occhiata al dollaro americano cui è associato per la giornata di oggi un market mover di massimo impatto: l’indice di fiducia dei consumatori statunitensi, studiato dalla Conference Board.

 Elementi caratterizzanti della settimana valutaria

Se i consumatori sono fiduciosi, in genere si stima che l’economia sia in forma e quindi si ha un effetto positivo sulla valuta. Per questa volta si prevede un calo dal 65,1 al 64,5.

Alitalia di nuovo pronta per la vendita

 Ci si aspetta un incontro definitivo per Alitalia che con la messa a punto del programma Millemiglia sta tirando a lucido i gioielli di famiglia prima della decisiva quotazione. In questo momento la nostra compagnia di bandiera ha un problema: recuperare i soldi che hanno determinato un buco nel bilancio dell’azienda, rivalutare il patrimonio annullato dalle perdite sostenute e trovare un acquirente, così da evitare la ricapitalizzazione della società.

 Carta Intesa Sanpaolo Alitalia nella filiale dell’Adriatico

Tutti argomenti molto, troppo importanti, che devono essere discussi da Colaninno con gli altri soci italiani, quelli che furono coinvolti nell’affare, nel 2008, per opera di Silvio Berlusconi. Il fatto che si parli tanto di Air France,dipende dal fatto che questa compagnia detiene il 25% del capitale Alitalia-Cai. Il restante 75%, invece, è diviso tra alcuni soci: Intesa Sanpaolo ad esempio, che ne detiene il 10 per cent del capitale, oppure Benetton che ne detiene l’8,85% tramite Atlantia, oppure ancora la Fire di Emilio Riva e figli, gli stessi proprietari dell’Ilva di Taranto.

 Scopri perché si parla tanto di Alitalia e AirFrance

La questione delle Millemiglia serve soltanto a rivalutare l’azienda. Il fine pratico dell’azione è scorporare Millemiglia in una società completamente nuova. Ernst&Young, in questo momento, stanno stimando economicamente l’operazione e sembra che il volume dell’affare si aggiri intorno ai 180 milioni di euro.

La possibile espansione di Geox

 Ci sono molte aziende nel nostro paese che stanno scegliendo la delocalizzazione per ridurre i costi e mantenere un certo standard di produttività. Una vicenda emblematica in questo senso è quella della Geox che ha volto il suo sguardo imprenditoriale verso i lidi d’Oriente.

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Un movimento che oltre ad essere interessante per il portafoglio dei manager, è cruciale per quello degli azionisti.

L’azionista a presidente della Geox, Mario Moretti Polegato, da tempo ha deciso di far parte del World economic forum di Davos e da qualche giorno tenta di fare il punto sulla situazione della sua azienda, la società che si occupa di produrre e vendere le famose “scarpe che respirano”.

L’azienda ha intenzione di continuare ad espandersi, ma per farlo deve andare oltre i confini europei. La meta definita dal presidente è la Cina oppure Hong Kong. In entrambi questi territori, da qui a tre anni, Geox intende aprire 400 nuovi negozi. Un quantitativo enorme di punti vendita, soprattutto se si considera che i negozi Geox nel mondo, oggi, sono 1200 in tutto.

Il mercato cinese rappresenta un’opportunità enorme per l’azienda che non vuole certo posizionarsi come l’azienda che produce scarpe di lusso, ma come portavoce dell’urban style, produttrice, insomma, delle scarpe “da tutti i giorni”.

Una lotta valutaria tra Tokyo e Berlino

 Quella tra valute, oggi, si configura come una propria guerra che oppone i paesi sulla base della scelta della politica monetaria. L’ultima contrapposizione sorta è quella tra Giappone e Germania.

A parlare, alla fine di gennaio è stato il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann che si è scagliato quindi contro la politica di allentamento monetario scelta dalla Bank of Japan il cui obiettivo prioritario è portare l’inflazione al 2 per cento.

 BoJ e governo discutono della crescita

Per farlo Tokyo ha scelto di stampare nuovi yen, di metterli sul mercato e di procedere, con questo gruzzoletto, a comprare l’euro, in modo che sia la moneta del Vecchio Continente ad apprezzarsi mentre si svaluta in modo provvidenziale lo yen.

 Le scelte della BoJ fanno arrabbiare la Germania

Nelle esportazioni, a questo punto, la strategia di Tokyo risulterebbe vincente. Una strategia analoga a quella giapponese, potrebbe essere adottata anche dalla Svizzera, dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti che possono permettersi di stampare moneta, a differenza della Germania che dei paesi dell’Eurozona che non hanno sovranità monetaria e quindi non possono rispondere con altrettante manovre aggressive.

A livello interpretativo, la scelta del Giappone sullo yen vuole dimostrare anche che non esiste l’indipendenza delle banche centrali, visto che, quanto sta facendo la Bank of Japan non è altro che il risultato di un “ricatto” condotto ad arte dal governo del paese.

Apple lascia lo scettro ad Exxon

Apple è stata regina della borsa di New York per tanti mesi e per diversi anni, da quando i titoli tecnologici hanno conquistato Wall Street e i prodotti dell’azienda di Cupertino hanno convinto generando non un circolo di consumatori ma un vero e proprio club di adepti.

Adesso gli eredi di Steve Jobs non sembrano all’altezza della popolarità del titolo e la chiusura degli scambi di venerdì ha evidenziato questa carenza.

La borsa americana, in generale, ha chiuso con una performance così positiva che non si ricordava un entusiasmo del genere dal 2004. La striscia positiva è stata accompagnata anche da una serie di segnali positivi che sono arrivai dalla politica, il Congresso, infatti, ha deciso che della variazione del tetto del debito si parlerà soltanto da maggio in poi.
Insomma, a Wall Street si respira un entusiasmo fuori dalle righe, un armoniosa crescita dell’indice sintetico e dei maggiori titoli.

 Crollo di Apple in Borsa

 

L’unica nota stonata in questo panorama è rappresentata allora dalla Apple che invece ha messo a segno un’altra giornata negativa. Non tanto per la presentazione dei dati trimestrali, perché lì si parla di crescita, quanto piuttosto per la delusione delle aspettative degli investitori, che in questi anni si erano abituati a ben altri incrementi del valore del titolo.

 Apple vende meno iPhone

Oggi, per esempio, un’azione Apple vale soltanto 514 dollari. Lo scettro di regina di Wall Street è stato dunque lasciato alla Exxon che dimostra quanto il petrolio sia ancora al centro degli interessi degli investitori di tutto il mondo.

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Twitter vale 9 miliardi di dollari

 Twitter sta crescendo molto, quasi una crescita esponenziale, della quale l’arrivo in borsa sarà il naturale sfogo. Molti si preoccupano del fatto che Twitter possa seguire le orme di Facebook ed arrivare a Wall Street soltanto per fare un tonfo del tutto disatteso.

 Twitter, forse, cinguetterà in Borsa

Il ritmo di crescita di Twitter è l’elemento più significativo della marcia del fringuello. Ogni secondo si registrano 12,7 nuovi utenti e dall’inizio del 2012 si è andati sicuramente oltre i 500 milioni di account.

 Twitter prepara il terreno per l’ipo

È stato da queste considerazioni che è partita la società d’investimenti BlackRock per spiegare che oggi Twitter vale almeno 9 miliardi di dollari. Il fondo ha addirittura pensato di fare un po’ come aveva fatto Facebook, lanciando un’offerta di 80 milioni di dollari per comprare le azioni dei dai dipendenti. Anche il social network blu, infatti, aveva voluto che i dipendenti dell’azienda fossero anche i primi soci.

Forse sarà proprio questa mossa a far salire le quotazioni di Twitter oltre i 9 miliari di dollari, che sono anche il 10 per cento in più dell’ultima raccolta fondi effettuata dalla società che risale al terzo trimestre del 2011.

Ma quando arriverà il debutto in borsa di Twitter? Alcune voci di corridoio parlando di una presentazione dei documenti presso l’Initial public offering, alla fine del 2013 o anche all’inizo del 2014.

Per la questione Antonveneta si sospettano le tangenti

 La crisi di MPS spiegata in quattro punti non è sufficiente ad entrare nella profondità della questione Antonveneta perché l’ipotesi, allarmante dal punto di vista finanziario, è che ci siano di mezzo delle tangenti.

Tutto quel che c’è da comprendere è il sistema Mussari che ha dato origine alla valanga MPS. Nel 2007, infatti, ci sarebbe stato un versamento di circa 2 miliardi di euro su un conto in una banca di Londra. L’entità del “bonifico” non sarebbe altro che un sovrapprezzo per l’acquisto di Antonveneta, usato per oliare gli ingranaggi della politica. Insomma il costo delle tangenti pagate dal management del Monte dei Paschi.

 Scandalo Mps nel giorno dell’incontro con il Fmi

Nel 2007, il MPS di Mussari ha comprato la banca Antonveneta dal Banco Santander che era pronto a chiudere l’affare per 7 miliardi di euro, ma il management italiano ci ha tenuto ad offrirne di più: 9 miliardi di euro versati in due tranche e su due conti diversi, uno del banco Santander su cui sono finiti 7 miliardi e il famoso conto londinese.

 Cosa pensa la politica dell’affare MPS

Quei soldi “inglesi”, poi, attraverso una serie di scudi fiscali, sarebbero in parte rientrati nel nostro paese. I PM della Procura di Siena stanno indagando insieme alla polizia valutaria di Roma su queste ipotesi e se fossero confermate alcune piste, ci sarebbe la conferma che oltre a Mussari sono molti gli uomini coinvolti in questa truffa.