Il Decreto Sviluppo per gli opzionaristi tricolore

 Il Decreto sviluppo bis, che aveva fatto grossi passi in avanti a dicembre e che si deve occupare della crescita dell’Italia, è pronto e operativo dal 2 gennaio 2013. Molte le novità contenute nel documento che si occupa soprattutto della vita digitale del paese con un occhio di riguardo alla sanità, alla scuola e alla giustizia.

Vogliamo partire dall’analisi sintetica di queste piccole rivoluzioni per capire come si evolverà il paese e che prospettive di crescita ci sono per il futuro. Una panoramica interessante soprattutto per quanti investono i risparmi nelle opzioni binarie.

Sanità. Saranno introdotte delle piccolissime novità, per esempio il fascicolo sanitario elettronico che contiene tutti di dati dei pazienti in formato digitale nel 2013, poi, dal 2014 potrebbero fare il loro ingresso in campo anche la prescrizione medica digitale e la cartella clinica digitale.

Scuola. Per quanto riguarda la scuola l’obiettivo è quello di migliorare i servizi agli studenti, per cui nel prossimo anno scolastico sarà già introdotta l’anagrafe nazionale degli studenti e poi ci potrebbe essere la progressiva introduzione degli ebook in sostituzione dei libri di testo.

Giustizia. Pronta al via anche la notifica telematica per i processi penali e fallimentari. Una sterzata verso il risparmio di soldi e tempo.

L’economia del paese, con queste rivoluzioni digitali potrebbe ridurre le spese e far ripartire l’economia puntando, all’inizio, sulle aziende capaci di progettare, realizzare ed erogare servizi digitali.

Possibili oscillazioni del dollaro alla fine del QE

 Le reazioni del dollaro alla stanchezza della FED che ha vincolato il quantitative easing all’andamento dell’indice di disoccupazione e dell’indice inflazionistico, ormai le sappiano. Ci siamo posti la domanda della necessità di dire basta agli aiuti della Federal Reserve, adesso però è il momento di affrontare altri due quesiti: perché frenare il quantitative easing e con quali effetti sul dollaro.

Tutto nasce dalla spaccatura interna alla FED in considerazione del panorama economico attuale. I membri della Federal Reserve che hanno votato di recente contro l’estensione degli aiuti al dollaro, l’hanno fatto per un motivo molto semplice: non ritengono che con questo strumento si dia davvero una mano all’economia americana. Questo non vuol dire che pensano che il sistema economico americano sia in forma, ma bisogna trovare nuove risorse strumentali.

Iniettare liquidità nell’economia USA, tra l’altro, potrebbe non essere efficace e sul lungo periodo determinare una crisi finanziaria più profonda di quella vissuta pochi mesi fa. Alla domanda sul perché dell’interruzione del QE, allora, si può rispondere che è necessario al fine di trovare nuove soluzioni e strumenti più efficaci.

Il dollaro, dopo lo stop del sistema FED, potrebbe recuperare terreno dopo aver perso appeal configurandosi come valuta rifugio. Nel 2013 ci potrebbe essere la fine del rally del dollaro.

Forex: il primo trimestre del 2013

Reazioni del dollaro alla stanchezza della FED

 La FED potrebbe decidere da un momento all’altro che gli aiuti al dollaro non sono infiniti e quindi porre un limite agli interventi in materia di politica monetaria. Se lo aspettano un po’ tutti dopo la diffusione delle minute FOMC.

La scorsa settimana sono stati diffusi dei documenti in relazione alla politica monetaria da adottare da parte della Federal Reserve e si è scoperto che in seno alla “banca centrale” americana c’è una frattura: da un lato coloro che vorrebbero segnali ancora più netti di sostegno alla moneta americana, dall’altro coloro che invece sperano in un comportamento totalmente diverso della FED.

A questo punto occorre capire come si evolve il mercato valutario e che legame c’è tra ripresa e quantitative easing. La FED, sembrava quasi normale che portasse avanti il QE di lungo o infinito periodo. Una politica che senz’altro fa comodo alle aziende ma che danneggia l’economia dopo un po’. Per cui è stato proposto di mettere un punto al processo già da fine anno.

La FED ha reagito introducendo un legame tra i tassi d’interesse e il dato sull’occupazione e l’inflazione, in modo da non procedere su questa direttrice fino alla fine del 2015 indiscriminatamente. Se il tasso di disoccupazione scendesse al di sotto del 6,5% e se l’inflazione restasse al di sotto del 2,5%, la FED potrebbe stoppare gli aiuti al dollaro.

► Fiscal cliff, operazione Twist e proiezioni FOMC

I segni ambigui del mercato del lavoro USA

 Il mercato del lavoro americano non è poi così facile da interpretare. Sicuramente i report diffusi settimanalmente sono utili per rispondere alla domanda: come si muovono i dollari, ma potrebbe essere ancora più interessante scoprire il legame tra andamento del mercato professionale e ripresa economica USA.

Il problema è che dai report si evincono segnali non sempre indicativi di un unico trend. Per esempio a dicembre, se si decontestualizza l’analisi dei dati Non-Farm Payrolls, si scopre che i nuovi posti di lavoro “non agricoli” creati, sono stati più di quanti ci si aspettasse con uno scarto consistente di ben 5 mila unità.

Il mercato del lavoro, però, suggerisce un trend generale differente. Il punto di partenza sono i dati sulla creazione di posti di lavoro forniti dall’Automatic Data Processing: gli analisti si aspettavano la creazione di 134 mila nuovi posti di lavoro mentre ne sono stati creati ben 15 mila. Molti investitori si aspettavano allora un crescendo parallelo dei dati sui NFP.

Invece, per quanto riguarda i lavori non agricoli, c’è stato un dato molto vicino a quello indicato dagli analisti. Poi, nel 2012, in generale, c’è stato un calo di 13 mila posti di lavoro nel settore pubblico, come effetto dei tagli alle spese.

Europa e USA diversi anche nell’immobiliare

 Gli ultimi dati sul mercato immobiliare su scala globale, sono molto discordanti visto che da un lato di parla della ripresa del settore immobiliare americano e dall’altro s’insiste sul fatto che, letto il report sulla crisi del mercato immobiliare, il 2013 sarà l’anno dell’affitto.

Sempre più lontani quindi, su questo fronte, l’Europa e gli Stati Uniti. Nel Vecchio Continente, dicono gli analisti, ci sarà un’altra contrazione del prezzo delle case, cosa che non accadrà in America dove i valori degli immobili tenderanno verso l’alto.

Non si tratta certo di prospettive visionarie, visto che la disamina parte dai dati sulle compravendite, raccolti proprio negli ultimi mesi del 2012.

In Europa, per esempio, nel Regno Unito, i prezzi delle case sono scesi già dello 0,3% ma si prevede un ulteriore calo dell’1 per cento nei prossimi mesi con un’incidenza importante anche sull’andamento della sterlina. Soltanto Londra è in controtendenza rispetto a questa linea.

La situazione appena descritta si riproduce anche in Spagna dove sono in calo i mutui e anche i prezzi delle case sono scesi in ogni regione e nei capoluoghi di provincia in particolare. Un crollo dei costi che si è assestato sulla media del 6,9% ma ha toccato anche apici del -10%.

Negli Stati Uniti, al contrario, già in ottobre si era assistito ad un consistente aumento dei prezzi delle case pari al 4,3% e il trend avviato nel 2012 dovrebbe proseguire anche nei prossimi mesi con grande soddisfazione dell’economia americana in generale.

Twitter, forse, cinguetterà in Borsa

 La Borsa ha sfruttato molto il rendimento dei titoli tecnologici ed ora si trova davanti ad un’altra proposta, quella del colosso dei mini messaggi che potrebbe decidere di fare il passaggio decisivo verso il mercato azionario. Stiamo parlando di Twitter.

Dopo il debutto disastroso del 2012 di Facebook a Wall Street, il mercato americano si prepara ad un nuovo colpo grosso. Secondo gli analisti Twitter ha molti elementi favorevoli al suo passaggio in Borsa, basta pensare al fatto che tra i 500 milioni di utenti raccoglie anche moltissimi capi di Stato e di Governo, nonché il papa.

Per questo gli analisti azzardano anche il valore del maestro dei cinguettii. L’autorevole voce di Max Wolff di Greencrest, usato anche da Forbes, spiega che Twitter vale qualcosa come 11 miliardi di dollari. Peccato che questa stessa azienda abbia esagerato in passato con le valutazioni di Facebook e Zynga.

Sicuramente, in questa valutazione, hanno un peso molto importante anche le quotazioni non ufficiali di Twitter sul mercato secondario, dove la domanda di titoli del social network in questione è decisamente alta. In più bisogna considerare tutte le iniziative che Twitter è pronta a mettere in campo per incrementare e rendere più remunerativa la sua popolarità.

Il 2013 potrebbe essere l’anno decisivo per Twitter ma, in alternativa, si potrebbe anche pensare ad una quotazione nel 2014.

Spread ai minimi

 Per spiegare la questione dello spread ai livelli minimi, occorre partire da un concetto molto importante che è quello del flight to quality. Gli operatori finanziari usano questa espressione per indicare un trend di vendite su alcuni asset considerati ad alto rischio con il conseguente acquisto di beni rifugio.

Per fare un esempio si parla di flight to quality quando si scatenano le vendite sui bond al alto rendimento e si acquistano parallelamente bund tedeschi o treasuries americani.

Il fenomeno che abbiamo descritto ha avuto proporzioni ed effetti che possiamo considerare anche devastanti in corrispondenza della crisi dei debiti sovrani, adesso, invece, sembra che si vada in controtendenza e stia tornando nel mercato la cosiddetta propensione al rischio.

Sicuramente hanno influito alcuni eventi su questa situazione: l’accordo sul fiscal cliff, ma anche la decisione d’invertire la tendenza della politica ultraespansiva della FED. A questo punto è successo che si sono attivate le vendite dei beni rifugio e ad avvantaggiarsene sono stati i titoli dei paesi periferici.

I BTp a due anni hanno sperimentato il calo dei rendimenti di 32 punti base, ma anche i rendimenti dei titoli decennali   si sono contratti passando dal 4,5 al 4,26 per cento, con il conseguente assestamento dello spread sui livelli minimi di 272 punti.

Nelle prossime due aste di giovedì e venerdì, dedicate ai titoli a 12 mesi e a medio-lungo termine, questo “mini-spread” subirà il primo test reale.

Bond spazzatura, rendimenti al 6%

 Si chiamano junk bond e, come dice il titolo stesso, sono dei titoli spazzatura, delle obbligazioni a basso rating ed lato rischio. Attualmente rappresentano una bolla speculativa molto interessante, da studiare che non sembra volersi sgonfiare nell’immediato.

Tutto è stato portato a termine nella settimana in cui i mercati hanno espresso la loro euforia dopo l’accordo raggiunto sul fiscal cliff. Sicuramente si può parlare di performance record, ma record è anche il rendimento dei cosiddetti titoli high yield calcolato dagli indici Barclays, visto che per la prima volta sono scesi sotto la soglia del sei per cento.

Perché si parla tanto di bond spazzatura in questo periodo? Perché siamo di fronte ad uno degli effetti collaterali delle cosiddette politiche anticrisi non convenzionali messe in campo soprattutto dalla FED che ha anticipato di pochissimo le scelte delle altre banche centrali.

Il fatto è che azzerando i tassi d’interesse, mettendo tanta liquidità sul mercato, gli investitori si sono sentiti costretti a cercare nuovi strumenti d’investimento dal rendimento elevato. I bond corporate e i titoli di stato hanno subito la pressione del Quantitative Easing, sono stati oggetto di una “repressione finanziaria”.

Di conseguenza si è moltiplicata l’emissione di titoli spazzatura, particolarmente ricercati dai cacciatori d’investimenti. Nel 2012 ci sono state emissioni pari a 397 miliardi di dollari che sono il 38% in più rispetto al 2011.

Dollaro/Yen: una settimana complessa

 L’avvio dell’anno è stato scandito, soprattutto nel settore Forex, dalle prospettive sul dollaro, dato in crescita, nel primo semestre, su tutte le valute più importanti. Si è detto però che una delle monete in grado di stoppare l’ascesa del dollaro, poteva essere lo yen.

I market mover della prossima settimana, quella che va dal 7 all’11 gennaio, infatti, parlano proprio di queste valute, del dollaro e dello yen. Quest’ultimo ha toccato il livello più basso contro l’USD nella settimana scorsa, un livello che non era più raggiunto dal luglio del 2010.

Gli investitori, per il momento, si tengono alla larga dagli investimenti nello yen visto che si aspetta di conoscere quello che deciderà la Banca del Giappone. Le intenzioni dell’istituto nazionale giapponese sono quelle di allentare la pressione sullo yen e poi sostenere una politica di crescita contro la deflazione.

Il 7 gennaio sarà molto importante per la coppia dollaro/yen perché saranno rilasciati i dati sulla base monetaria, legata ai tassi d’interesse. L’8 gennaio, invece, sempre dagli Stati Uniti arriveranno i dati sul settore privato che danno un’idea della spesa dei consumatori.

Si procederà il 9 gennaio con la pubblicazione dei dati sulle scorte di Greccio e poi con il report settimanale sui sussidi di disoccupazione USA il 10 gennaio.

La settimana del Forex si concluderà con la pubblicazione dei dati sul conto corrente giapponese e dei dati sulla bilancia commerciale.

 

Forex: il primo trimestre del 2013

 Il mercato Forex del primo trimestre del 2013 vede protagonista il dollaro che in relazione alle altre valute, per esempio l’euro o lo yen, è in crescita. A fare questa previsione sono le maggiori banche mondiali, parliamo di Goldman Sachs, HSBC e BNP Paribas.

Una tabella molto interessante pubblicata dal blog economico Babypips riporta le previsioni sul comportamento del dollaro rispetto alle maggiori valute – euro, sterlina, franco e yen – e dimostra che il dollaro americano è in crescendo su tutte le altre monete.

Rispetto al versante europeo si nota che il dollaro è dato in crescita sull’euro, sulla sterlina e sul franco, rispettivamente del 2,6, dell’1,4 e del 2,1 per cento. Ma spaziando oltre si nota che il dollaro è in crescita anche contro l’Aussie o il Kiwi mentre potrebbero determinare una battuta d’arresto della valuta americana soltanto lo Yen e il Loonie.

I trader sono in attesa di comprendere i maggiori movimenti, ma vogliono anche scoprire, come tutti gli investitori, se le banche che hanno diramato queste previsioni, hanno qualche informazione che attualmente sfugge alla finanza. Per esempio non è ancora chiaro se le banche conoscano il futuro degli Stati Uniti e se prevedono una vortice d’acquisti nei confronti del dollaro come conseguenza della risoluzione del fiscal cliff.