America: scontro sul tetto al debito

 L’America ha in qualche modo archiviato il fiscal cliff, nel senso che l’accordo è stato raggiunto, le borse hanno reagito con entusiasmo all’evento ma gli analisti e il FMI ci hanno tenuto a sottolineare che è soltanto il primo passo, riportando il Presidente e il Congresso con i piedi per terra.

Obama, dopo aver seguito tutte le votazioni sul fiscal cliff e dopo aver incassato una mini vittoria sull’argomento, è tornato alle Hawai in vacanza, ma nel suo settimanale discorso diffuso in radio e sul web ha spiegato che nell’agenda economica degli Stati Uniti, adesso, c’è un problema da affrontare con alta priorità: il debito pubblico.

Ecco un virgolettato diffuso da moltissimi giornali, del discorso del Presidente Barack Obama:

“Abbiamo bisogno di fare ancora di più per ridare lavoro agli Americani e dobbiamo anche rimettere il Paese su un percorso che gli consenta di pagare il suo debito, la nostra economia non può più permettersi inutili contrapposizioni o affrontare una nuova crisi pilotata.”

I Repubblicani, in questo momento, stanno facendo pressione per ottenere un corposo taglio della spesa, ma soprattutto un innalzamento del tetto del debito. Su questo punto, però, il Presidente ha detto di non voler negoziare, ma ha in programma una politica fiscale ad hoc per superare l’impasse.

Export italiano in crescita ma molti “tarocchi”

 Se vogliamo investire in borsa anticipando qualche trend di successo possiamo puntare, almeno in Italia, sui titoli delle aziende che si dedicano all’export dei loro prodotti visto che nel 2012, le vendite all’estero, hanno raggiunto i 31 miliardi di euro.

Il problema è soltanto quello di individuare le aziende che non risentono molto della clonazione del prodotti visto che il Made in Italy, seppur molto quotato all’estero, è spesso sostituito da prodotti taroccati. Il giro dei “falsi” è di ben 60 miliardi di euro.

Il prodotto fatto e confezionato in Italia, quindi, da un lato sta conoscendo il boom delle esportazioni, comune a molti prodotti agroalimentari tricolore, grazie anche al fatto che i nostri prodotti risultano migliori di quelli classici. Per esempio formaggi e spumanti, tempo fa, erano appannaggio della Francia, adesso invece le quote di mercato in questi due settori sono cresciute.

In Francia le vendite di formaggi italiani, sono aumentate del 4 per cento, così come piace lo spumante esportato il 64% delle volte rispetto al passato. Ma i prodotti italiani spopolano un po’ ovunque, così che si scopre che la birra italiana è cresciuta in Germania dell’11 per cento, il made in Italy è aumentato del 10 per cento negli Stati Uniti e del 21 per cento sul versante asiatico.

MPS vola dopo il calo dei rendimenti BTp

 Monte dei Paschi di Siena, come tutti i titoli bancari, è un po’ in affanno nell’ultimo anno, soprattutto nella prima parte del 2012. In effetti, come in ogni momento critico che si rispetti, il sistema finanziario è messo sotto pressione. Dalla metà dell’anno scorso, però, è iniziata la risalita del titolo.

Nei scorsi giorni, in corrispondenza del calo dello spread e dell’apprezzamento dei titoli di stato italiani, è stato avviato il monitoraggio della Consob che interviene, di solito, nei momenti più eclatanti dell’andamento del mercato.

Il debito sovrano, in questo momento, ha subito quello che potremmo definire un allentamento della pressione nel senso che i titoli di stato americani e tedeschi, originariamente considerati beni di rifugio, sono adesso meno ricercati, così che i titoli di stato dei paesi periferici, possono godere di un calo del  rendimento.

In pratica, del fiscal cliff possono gioire i titoli del debito europei ed italiani in modo particolare. Il Monte dei Paschi di Siena, che fino a questo momento si è dimostrato il più esposto verso i titoli di Stato, ha ottenuto un miglioramento della situazione finanziaria.

Con lo spread ai minimi e con i rendimenti molto bassi dei titoli di Stato, le azioni del Monte dei Paschi di Siena hanno recuperato valore, guadagnando più del 12 per cento.

Sincerità e parallelismi nel fiscal cliff

 La questione del fiscal cliff è stata affrontata per diverso tempo e secondo numerose sfaccettature anche perché dalla risoluzione di questa impasse, in qualche modo, dipende il futuro dell’America.

Ora l’America è sicuramente una delle economie più importanti del mondo che ha un legame molto stretto anche con l’Europa. Abbiamo già visto che siano molti gli economisti che dichiarano un parallelismo tra la crisi americana e quella europea, ma abbiamo anche considerato che, per trovare una soluzione, qualora ci sia, la domanda principale a cui rispondere è: perché non basta l’accordo sul bilancio. 

Adesso è arrivato il momento di affrontare il fattore sincerità che si lega al discorso politico. Torniamo un po’ alle previsioni di Roubini che ha ribadito la centralità della politica nell’economia del futuro, un po’ come la politica era stata fondamentale nei paesi in via di sviluppo, così lo sarà in America.

La classe politica sarà capace di essere sincera con il proprio elettorato? In Europa, la Merkel ed Hollande hanno evitato di affrontare le questioni più spinose con l’elettorato e una linea simile è stata adottata anche da repubblicani e democratici.

Il problema in questo caso specifico si lega al fatto che si devono toccare dei punti molto delicati del sistema sociale, quale ad esempio il comparto pensioni, o il settore sanitario.

Fiscal cliff: perché non basta?

 L’accordo sul bilancio dell’America è stato finalmente raggiunto ma l’economia americana, pur essendosi allontanata dal precipizio, adesso, non trova sufficiente le misure previste in questo documento tampone. A bocciare il contenuto di questo accordo è il FMI stesso.

Per l’America, dicono gli analisti, si sta prefigurando un periodo di crisi molto simile a quello che ha attraversato l’Europa che invece adesso sembra arrivata alla fine del percorso di espiazione dei demeriti finanziariL’Economist fa un parallelo tra l’America e l’Europa ma la domanda giusta è: perché questo accordo non è sufficiente? Soltanto risolvendo questo quesito si possono trovare la basi per la ripartenza americana.

L’accordo non basta perché è temporaneo e questo comporta che siano stati posticipati tutti i problemi seri. Nel breve termine, consideriamo anche due mesi, il compromesso che i Repubblicani e i Democratici hanno preso davanti al Congresso, potrebbe venire meno.

Tutti si sono concentrati molto sugli scambi: cosa concedere alla controparte per ottenere qualcosa che si era messo nel proprio programma, mentre è stato perso di vista l’obiettivo comune che è mettere sotto la campana di vetro della sicurezza, il sistema fiscale americano.

Nonostante la versione un po’ romanzata dell’accaduto, le perplessità restano e possono incidere sul sentiment degli investitori e quindi sui mercati.

Fiscal cliff: ma esiste una soluzione?

 L’accordo sul fiscal cliff ha tenuto con il fiato sospeso l’America e il resto del mondo perchè è stato un momento molto delicato per l’America. Alla fine Barack Obama è riuscito a strappare la firma del documento al Congresso ma adesso ci si chiede se sia davvero stato fatto tutto.

La risposta è chiaramente negativa perché la firma sul fiscal cliff mette soltanto una pezza alla situazione finanziaria degli States ma, come spiegano tanti economisti, non risolve i problemi strutturali dell’America. L’Economist teme che la situazione americana diventi molto simile a quella europea.

Anzi, la rivista economica americana titola proprio L’America diventa Europea per sottolineare le analogie nella gestione della crisi tra America ed Europa: tanto nel Vecchio Continente prima, quanto negli States adesso, le questioni più urgenti da risolvere sono state posticipate.

Molti, soprattutto gli investitori che dislocano i risparmi in base al sentimento riservato a determinati paesi, si chiedono quindi se si può nutrire ancora fiducia negli Stati Uniti e se la soluzione della crisi è davvero possibile.

Fortunatamente in America non si deve affrontare la crisi del debito, ma bisogna intervenire per riequilibrare il rapporto tra gettito fiscale e spese, con un riferimento ad hoc per la sanità. La soluzione ci sarà soltanto se la politica riuscirà a prendere il toro della crisi per le corna.

 

 

La crisi dell’Eurozona sul viale del tramonto

 Abbiamo preso in considerazione le previsioni di Wien e Roubini in merito ai possibili scenari finanziari dell’anno prossimo. La loro attenzione si è concentrata molto sugli indici, ad esempio sull’incremento del prezzo del grano, oppure sulla riduzione dello S&P 500, oppure ancora sul ruolo che giocherà la politica.

Adesso spostiamo l’attenzione sul versante europeo visto che per troppo tempo abbiamo trascurato gli aggiornamenti sulla crisi dell’Eurozona, invece, è molto importante prendere atto dei segnali che arrivano dai report del mese di dicembre.

In base agli ultimi dati, infatti, sembra che si possa confermare l’uscita dalla crisi da parte dell’Europa. Peccato che non si possa parlare ancora di ripresa, questa secondo prospettiva è ancora piuttosto lontana.

I dati positivi di dicembre sono quelli del Markit Composite PMI dell’Eurozona che dà una misura degli aspetti dinamici del tessuto economico del paese evidenziando l’attività economica delle imprese in Europa. Questo indice, nel mese di dicembre ha fatto un balzo in avanti passando dal 46.5 al 47.2. Si tratta della lettura più alta da marzo in poi.

Secondo un economista del Markit, questa è la conferma che si sta uscendo dalla crisi, che il peggio è passato, anche se è un po’ complicato capire in che direzione sta andando l’Europa. Le prospettive, dunque, sono ancora poco chiare.

Nouriel Roubini, un altro guru ha parlato

 Byron Wien non è l’unico guru della finanza che in questo inizio d’anno è stato consultato da giornali ed esperti per capire un po’ meglio i trend dell’anno prossimo. Molto ascoltata anche la versione del 2013 che ha dato Nouriel Roubini.

Quest’ultimo, a colloquio con una giornalista del New York Times, ha centrato molto l’attenzione sul ruolo della politica, trascurando alcuni dettagli, che invece sono alla base dell’indagine di Wien, come ad esempio il programma nucleare dell’Iran, o la leadership cinese.

Nouriel Roubini invece, come abbiamo accennato, riporta l’attenzione dal mercato protagonista del 2012, all’azione politica che ha modellato e continuerà a modellare il sistema economico e finanziario anche nel 2013.

Secondo Roubini, fino a questo momento, la politica era stata cruciale negli affari dei paesi in via di sviluppo, ma adesso torna ad essere al centro dei discorsi finanziari perché può vanificare gli sforzi fatti per la ripresa, ma può anche combattere i movimenti contrari al progresso finanziario.

La politica, materialmente, può influire anche sul tessuto imprenditoriale, magari detassando l’attività delle imprese o approvando politiche monetarie e fiscali più accomodanti.

Roubini spiega infine che la politica ha la possibilità di ridurre ai minimi termini le diseguaglianze di reddito anche se non si sa come si procederà in questo senso nell’anno 2013.

 

Le altre previsioni di Byron Wien

 Byron Wien, il guru di Wall Street, ha fatto le sue dieci previsioni sull’economia americana e globale, prevedendo gli scenari possibili per il 2013. Abbiamo già preso in esame cinque punti molto interessanti: l’energia nucleare iraniana, le banche, lo S&P 500 sotto i 1300 punti, le difficoltà delle banche, il crollo del prezzo del petrolio e le mosse pro-immigrazione dei Repubblicani.

Le altre previsioni partono invece dalla considerazione della situazione cinese, del raccolto del grano, delle quotazioni dell’oro, delle variazioni del Nikkei e della crisi dei listini europei. Andiamo con ordine sviscerando questi punti.

La situazione cinese. La nuova leadership in Cina, è stata affidata ad un gruppo politico che vuole combattere conto la corruzione per far sì che il PIL torni a crescere almeno fino al 7 per cento. Sicuramente il sistema sociale e sanitario cinese ha subito dei miglioramenti, resta da capire cosa ne pensano gli investitori. Per il momento si rileva un incremento del 20 per cento della fiducia.

Sia le quotazioni dell’oro che del grano saliranno nel 2013 perché, nel primo caso, subiranno l’instabilità dei mercati finanziari e arriveranno a quota 1900 dollari l’oncia, nel secondo caso è tutto legato al meteo che ha ridotto i raccolti in modo sensibile.

Il quarto punto di questa breve disamina delle previsioni di Byron Wien riguarda il Nikkei per il quale si prevede il superamento della quota 12.000. Infine restano lacune e incertezze per quanto riguarda i listini europei che sulla scia di Wall Street hanno perso il 10 per cento.

Byron Wien e 5 previsioni sul mercato

 Byron Wien, a Wall Street, è considerato un vero guru della finanza, per questo le sue previsioni, in tutto 10, sul 2013, sono tenute in grande considerazione dagli analisti. Per avere un assaggio delle sue indicazioni che possono diventare molto utili a tanti investitori, ne abbiamo esplicitate cinque.

Il primo punto è sicuramente l’energia nucleare iraniana perché l’Iran sta subendo delle forti sanzioni e delle pressioni a livello diplomatico ma sembra che delle fonti accreditate abbiano confermato l’esistenza di un missile nel paese. A questo punto sia l’America che Israele devono iniziare una politica di contenimento.

La seconda previsione molto utile per chi investe in opzioni binarie, riguarda il livello dell’S&P 500 che dovrebbe perdere terreno abbassandosi sotto la soglia dei 1300 punti.

Le banche sono al terzo posto nelle preoccupazioni dell’economista perché subiranno una battuta d’arresto legata al calo delle attività finanziarie.

Sicuramente sarà molto interessante tenere d’occhio anche le quotazioni del petrolio che potrebbero subire una sensibile riduzione perché gli Stati Uniti, nel volersi rendere autonomi dal Medio Oriente, hanno intenzione di aumentare la produzione di oro nero facendo arrivare il prezzo del petrolio Wti a 70 dollari al barile.

Sempre con riferimento all’America, secondo Byron Wien è necessario anche tenere d’occhio la prossima campagna pro-immigrazione del Repubblicani che vogliono tornare in corsa con il sostegno del voto degli immigrati in America nel 2016.