L’America cresce ma il futuro è incerto

 Il fiscal cliff ha messo sotto la lente d’ingrandimento un’America molto diversa da quella che abbiamo sempre associato al cosiddetto sogno americano. Oggi il Paese, alla guida del quale che è stato confermato Barack Obama per un secondo mandato, cresce ma le prospettive future sono molto incerte.

L’economia a stelle e strisce ha fatto registrare un incremento del business del 3 per cento nel terzo trimestre, mentre gli analisti prevedevano che non si sarebbe andati oltre il +2,7 per cento. Il ritmo di crescita lievemente aumentato è stato trainato verso l’alto dall’aumento delle esportazioni e della spesa pubblica.

Un po’ quello che vorrebbero fare molti paesi in Europa. Una crescita, quella americana, che nasconde sotto il tappeto ogni incertezza finanziaria legata al mancato accordo sul fiscal cliff. Il piano B legato al nome del senatore repubblicano Boehner, non vedrà la luce nel giro di poche settimane.

Vuol dire che dal 3 gennaio ci sarà un aumento di tutte le aliquote riferite sia ai redditi personali, sia ai redditi d’impresa e poi sarà operato un taglio alla  spesa pubblica di circa 600 miliardi dollari. Se così fosse, il fiscal cliff non sarebbe risolto e per l’anno prossimo ci sarebbe una crescita negativa dell’America, al -0,5 per cento.

Il PIL nel 2013: ancora un anno non florido

 Le previsioni sull’incremento del PIL nel 2013, adesso, sono molto più caute che alla fine dell’estate quando gli analisti, spinti dall’entusiasmo dei mercati, avevano parlato di ripresa già a partire dal prossimo anno. Oggi è stato spostato il limite temporale dell’inversione di tendenza e poi si è passati a parlare di stallo piuttosto che di crescita.

Questo vuol dire che la ripresa tanto agognata non ci sarà nel 2013 ma occorrerà attendere il 2014 per tornare a sorridere. Speculazione? Non proprio. La base dati su cui sono costruite queste intuizioni, è quella del rapporto AFO 2012 2014, lo stesso che ha preso in esame il perdurare della sofferenza delle banche.

Secondo l’ABI, il 2012 si concluderà con una contrazione del PIL pari al 2,1 per cento e nel 2013, l’anno prossimo, si avrà ancora una flessione dello 0,6 confermata dai dati del primo semestre cui ne seguirà un altro in lieve rialzo.

Il saldo sarà maggiormente benaugurante nel 2014, quando si porterà a casa un risultato interessante: il +0,8% del PIL, una crescita lieve ma comunque di crescita di parla.

Molto più pessimistico dell’ABI, il CER che prevede una flessione dell’attività produttiva italiane anche nel 2013, pari all’1 per cento con una leggerissima ripresa nel 2014 che non supererà lo 0,6 per cento.

Il prezzo dell’oro è ai minimi da agosto

 Stanno avendo conferme le previsioni degli analisti che hanno sconfessato una ventata di aumenti generalizzati per l’oro. Il metallo giallo, sebbene non abbia perso lo status di bene rifugio, è molto più insensibile agli acquisti delle banche centrali e subisce molto di più le vendite sul mercato.

L’oro, da dieci anni a questa parte, ha visto aumentare in modo incredibile le quotazioni per poi perdere terreno in modo altrettanto veloce. Il rally sembra adesso in una fase di stallo e i rialzi previsti all’inizio dell’anno potrebbero non essere confermati nei consuntivi di fine anno.

I rialzi dei prezzi alla fine del 2012, sono stati complessivamente del 5 per cento. Per il dodicesimo anno consecutivo si archivia un’annata in positivo ma i rialzi sono i più bassi dal 2008 a questa parte e, soprattutto, sono inferiori a quelli della maggior parte delle materie prime.

Il prezzo dell’oro, in seguito all’intensificarsi delle vendite, è arrivato a 1661 dollari l’oncia, dopo aver toccato un picco negativo al 1636,23 dollari. Questo movimento è dovuto ad un maxi ordine di vendita al Comex che ha instaurato una reazione a catena.

Il prezzo dell’oro è rimasto poi insensibili all’annuncio della banca centrale brasiliana che in tre mesi ha raddoppiato le sue riserve auree portandole a 2,16 milioni di once.

La sofferenza delle banche in aumento

 Ci siamo abituati in questi mesi ad additare le banche come maggiori responsabili dell’attuale crisi economica. All’origine della crisi americana c’era lo scandalo Lehman Brothers, in Europa, la crisi del debito si lega alla sussistenza del settore creditizio.

Non sono le paranoie di un vecchio analista, ma i risultati di un’analisi confermata anche dall’ultimo Rapporto di previsione Afo 2012-2014 pubblicato dal’ABI dove si prende atto di una crisi strutturale del sistema bancario che non sarà risolta nel breve periodo.

Le banche italiane, partiamo da quelle che sono più vicine a noi, dovranno esporsi ancora di più. Questa esposizione comporta che le banche, come spiega l’Abi, aumentino la quota di crediti inesigibili, radice della sofferenza degli istituti di credito.

Attualmente i crediti inesigibili rappresentano il 6,05% degli impieghi delle banche ma in due anni questa quota percentuale potrebbe salire fino al 7,3 per cento. L’aggravarsi della situazione è da imputare al peggioramento della condizione economica.

La conseguenza immediata si vedrà poi sui prestiti alle famiglie. Chi investe in opzioni binarie farà bene a cercare nel mercato e nelle relazioni delle banche segnali di conferma o di diniego della situazione prevista dall’ABI.

Il settore bancario dovrebbe ancora restare in un recinto di sofferenza nonostante l’allentamento della pressione sui mercati abbia risolto molti problemi di liquidità.

Come cambia la borsa americana

 Sempre più concentrati sugli scambi, i nostri mercati fanno fatica a riconoscere in alcuni eventi dei cambiamenti epocali. Quel che sta succedendo alla borsa di New York, in realtà, è molto interessante ed ha una valenza storica.

Wall Street è nata il 17 maggio del 1792, quando 24 agenti di compravendita di titoli di borsa si sono riuniti davanti al civico 68 di Wall Street per firmare l’accordo per la nascita del The New York Stock Exchange and Board. Da quel momento l’evoluzione della borsa di New York, l’evoluzione di Wall Street, è stata molto lenta.

Firmato l’accordo, in un secondo momento ci si dedicò alla ricerca dei locali per svolgere l’attività di scambio dei titoli. Dopo circa 70 anni si procedette con il cambio del nome e si arrivò al NYSE, poi dopo un secolo, gli analisti, hanno iniziato a parlare d’incremento importante del volume d’affari. Gli scambi erano sei volte più consistenti che in passato, era il 1901 e si doveva cercare una sede più grande per la borsa, quella che fu inaugurata nel 1903.

Più di un secolo dopo, la borsa emblema del capitalismo americano, ha iniziato a cedere qualche pezzo: il crollo del 2008 è stato emblematico ma ha lasciato dei segni anche il caso Madoff.

Il cambiamento più epocale è sicuramente la capacità dell’ICE, nato appena 12 anni fa, di comprare la storica Wall Street. Tutto è dipeso dal cambiamento del mercato dove le materie prime hanno avuto performance più interessanti rispetto alle azioni.

Le riforme e i futuri mercati

 L’acquisto della NYSE da parte dell’ICE ha dato vita ad una delle più grandi fusioni finanziarie di tutti i tempi. Abbiamo già dato l’annuncio della conclusione della trattativa, accennando al fatto che ci sono molte implicazioni anche sul mercato europeo. Perché?

Il mercato azionario sta cambiando e quella che potrebbe sembrare una trattativa tutta americana, tra l’ICE e il NYSE, in realtà, trova il suo cuore pulsante in Europa dove si sviluppa uno dei più importanti mercati di derivati.

Il gruppo NYSE, infatti, oltre a controllare le borse nell’UE le borse di Amsterdam, Lisbona e Parigi, ha tra i suoi possedimenti anche il Liffe che è il secondo maggiore listino dei derivati del Vecchio Continente. L’ICE, quindi, secondo tanti analisti, vuole arrivare al Liffe, passando dall’acquisizione del gruppo NYSE.

Quanto pesa il Liffe nel gruppo di riferimento? Molto se si ritengono attendibili le stime della Berenberg Bank secondo cui il Liffe produce il 22 per cento dei ricavi, una quota di fatturato piuttosto piccola in grado di produrre a sua volta il 40 per cento degli utili complessivi.

In Europa, attualmente, il mercato dei derivati è capitanato dal listino Eurex ma, in vista dell’entrata in vigore della direttiva Mifid2, ispirata all’open access, si potrebbe scatenare la concorrenza. In pratica ogni listino potrà creare contratti derivati uguali a quelli di altri mercati, generando una vera concorrenza.

In conclusione l’acquisto del gruppo NYSE, Liffe incluso, da parte dell’ICE, garantirebbe al neonato dalla fusione, di competere ad armi pari con l’Eurex.

1° trimestre 2013: previsioni del Forex

 Il primo trimestre del 2013 potrebbe essere molto attivo, come si dice in gergo, per la coppia EUR/USD. Lo dicono gli esperti che prevedono un’evoluzione secondo diverse direttrici della coppa valutaria.

Il fatto è che ci sono molti elementi anche sul versante politico che possono incidere su queste valute. Per esempio in America si dovrebbe risolvere il cosiddetto fiscal cliff: i politici d’Oltre Oceano stanno discutendo cioè dell’aumento delle tasse e dei tagli della spesa. In base alla direzione della riforma l’America potrebbe più o meno sprofondare nella recessione.

Di certo non si tratta dell’unico problema da affrontare, specie se si considera quello che sta succedendo in Europa. Il nostro Continente è flagellato dalla crisi del debito che, seppure va avanti da diversi anni, adesso è diventata di urgente risoluzione visto che ha fatto arrivare molte nazioni sull’orlo del precipizio.

Pare sia stato allontanato il rischio default per la Grecia ma è venuto fuori allo stesso tempo il problema Cipro. Gli analisti, a questo punto, valutano l’euro e il dollaro come due valute “malate” che lottano per la sopravvivenza. Il primo trimestre, per la coppia EUR/USD si prevede molto burrascoso. Gli investitori potrebbero puntare tutto sui titoli statunitensi e far crollare la coppia. Anche un rimbalzo è all’orizzonte, ma non si romperà a breve la soglia dell’1,35.

I problemi della Francia con le pensioni

 L’Europa sta attraversando un periodo di forte crisi e gli effetti del rallentamento globale dell’economia, iniziano a vedersi anche nei paesi che prima erano considerati i capisaldi dell’Eurozona, per esempio la Francia e la Germania.

La Francia, di recente, ha eletto il nuovo presidente ma questo non vuol dire che tutti i problemi venuti fuori negli ultimi tempi, siano da associare a François Hollande.

La preoccupazione più fresca del presidente francese riguarda il sistema pensionistico. Adesso è molto probabile che un socialista come lui sia costretto a mettere le mani sulle pensioni, magari prendendo spunto anche da alcune riforme, non proprio socialiste, che sono state varate in Italia.

Il sistema previdenziale francese è stato ritoccato già nel 1998, nel 2003, nel 2008 e nel 2010 ed è rimasto il sistema più favorevole per i lavoratori, se paragonato con i sistemi previdenziali presenti nel mondo che in genere sono stati ritoccati dai partiti di destra.

Adesso però è arrivato il momento d’intervenire perché è stato scoperto un buco da 20 miliardi di euro. Hollande aveva detto di voler intervenire sulle pensioni ma in campagna elettorale non l’aveva presentata come una questione urgente.

Per colmare il deficit le soluzioni sono a portata di mano – dall’aumento dei contributi all’innalzamento dell’età pensionistica – ma sarà molto difficile farle approvare.

Rischio default anche per Cipro

 Tra i paesi a rischio default, fino a questo momento, si è parlato soltanto della Grecia che nell’ultima settimana, però, ha ottenuto un buon riconoscimento da parte di Standard&Poor’s. La situazione di Atene resta ancora critica ma il governo ha fatto numerosi passi avanti per non vanificare gli sforzi dei cittadini.

Adesso, però, l’attenzione si sposta verso un’altra nazione che sta attraversando un periodo molto difficile: Cipro. Il rating dell’isola in question è stato tagliato proprio da Standard&Poor’s che lo ha portato al livello CCC+ conservando però un outlook negativo.

Il che vuol dire che il rischio di default di Cipro è ancora più plausibile. C’era già stato ad ottobre un declassamento da parte delle agenzie di rating che aveva messo in evidenza una situazione molto precaria delle finanze cipriote.

Standard&Poor’s spiega  nella nota che il rischio di default per Cipro è crescente perché da un lato il Governo non ha più le opzioni di finanziamento che aveva in passato e dall’altra i partner dell’isola che appartengono all’aerea euro, non sembrano disposti a sobbarcarsi il peso di una crisi bancaria dell’isola.

Cipro ha chiesto aiuto nel giugno del 2012 ma le trattative con la Troika sono andate molto a rilento e la domanda su come finanziare le banche di Cipro è rimasta inevasa.

La fine dell’indipendenza del NYSE

 Le borse di tutto il mondo sono sempre più intrecciate tra loro per i traffici e per le reciproche influenze. Adesso dopo 200 anni, il New York Stock Exchange, noto anche con l’acronimo NYSE, ha rinunciato alla sua indipendenza e ha operato in vista del consolidamento delle borse cosiddette globali. 

In poche parole, l’agenzia che gestisce li scambi di Wall Street è stata comprata dall’InterContinentaExchange, che è il colosso dei mercati future che aveva provato anche negli anni passati a fare la stessa operazione. Il costo di questa operazione è stato di 8,2 miliardi di dollari.

A questo punto a scegliere dovranno essere gli azionisti del NYSE che potranno decidere di avere i solo soldi in contanti oppure potranno scegliere di averli sotto forma di titoli, oppure ancora una parte in denaro e una parte in titoli.

Ma chi guiderà questo nuovo colosso della finanza? Sulla poltrona più prestigiosa di questa borsa globale, si siederà il presidente e CEO dell’ICE, Jeffey Sprecher.

L’operazione non è stata ancora definita nei dettagli, soprattutto per quel che riguarda l’Europa dove l’ICE conserverà sicuramente il NYSE Liffe a Londra per i derivati e il marchio NYSE Euronxt, ma ci potrebbe essere uno scorporo dei mercati azionari nell’Europa continentale attraverso un collocamento.

Il costo dell’operazione di aggira sugli 8,2 miliardi di dollari.