Le novità del Decreto del Lavoro per l’acausalità dei contratti a termine

 Il Decreto Lavoro del Governo Letta ha modificato gli obblighi di causalità anche per la somministrazione di contratti a termine.

La precedente normativa in materia (Legge Fornero 92/2012) ha consentito di stipulare contratti di lavoro a tempo determinato senza indicare la causale, regola che, con il DL 76/2013, è stata estesa anche alla somministrazione di lavoro a termine.

 I diritti del lavoratore con un contratto a termine

Inoltre, con il Decreto del Lavoro, si estende anche la possibilità di proroga per i rapporti di lavoro a termine acausali, che potranno essere rinnovati numero massimo di 6 volte entro il limite generale di 12 mesi.

Analizzando più a fondo la normativa sulla causalità dei contratti a termine, il Decreto del Lavoro ribadisce l’esenzione dall’obbligo di indicazione della causalità nella somministrazione di lavoro a termine in tutte le ipotesi definite dai contratti collettivi di qualsiasi livello.

Il Decreto Lavoro, poi, ha semplificato anche le somministrazioni di lavoro a termine per i lavoratori in mobilità e per quelli svantaggiati. Nel primo caso, il DL 76/2013, prevede che l’esenzione dall’obbligo di indicazione della causalità sia estesa anche ai contratti di somministrazione stipulati con lavoratori che percepiscono ammortizzatori sociali, anche in deroga, da almeno 6 mesi.

L’esenzione dall’obbligo di indicazione della causale è esteso anche ai lavoratori svantaggiati – locuzione con la quale si indicano lavoratori che non hanno un impiego regolarmente retribuito d almeno dei mesi, coloro che non possiedono diplomi di scuola media superiore o qualifica professionale e gli occupati in settori con disparità uomo-donna superiore di almeno il 25% della media nazionale.

► La nuova disciplina generale del contratto di apprendistato

Allo stesso modo, l’esenzione è prevista anche per i contratti di somministrazione a termine che riguardino lavoratori con più di 50 anni, adulti che hanno una o più persone a carico, membri di minoranze linguistiche e tutti i lavoratori disoccupati da almeno 24 mesi.

Sanzioni più alte per le ammende relative alla sicurezza sul lavoro

 Dal 1° luglio 2013 è scattato l’aumento per le sanzioni e le ammende amministrative previste in caso di mancato rispetto delle norme sulla sicurezza del lavoro, rispetto a quelle precedentemente indicate dal  TU sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

► Mini – guida del Ministero al Decreto Lavoro 2013: politiche del lavoro e politiche sociali

In questo testo si prevedeva che le sanzioni pecuniarie per contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro fossero rivalutate ogni 5 anni in base all’aumento dei prezzi rilevato dall’Istat.

Con il DL 76/2013, pur rimanendo valido la rivalutazione, ha specificato che l’autorità a cui spetterà la rivalutazione ogni cinque anni è solo il direttore generale della Direzione generale per l’attività ispettiva del ministero del Lavoro. A breve sarà pubblicato l’apposito decreto.

Per quanto riguarda l’importo delle multe, indipendentemente dalla rivalutazione in base ai dati Istat, il testo del DL 76/2013 indica che l’aumento previsto per le sanzioni pecuniarie riferite a contravvenzioni alle norme sulla sicurezza del lavoro, saranno aumentate del 9,6% a partire dal 1° luglio.

 

► I profili lavorativi più ricercati dalle agenzie per il lavoro

Con le maggiori entrate che ne deriveranno, il Governo si impegnerà nel finanziamento di iniziative di vigilanza  di prevenzione e di promozione in materia di salute e sicurezza del lavoro, che dovranno essere effettuate dalle Direzioni territoriali del lavoro (Dtl).

 

 

 

I nuovi requisiti della collaborazione a progetto

 Con decorrenza 28 giugno 2013 – con l’entrata in vigore del DL 76/2013 – sono cambiati la forma del contratto a progetto e i requisiti per questa tipologia di collaborazione. Vediamo nel dettaglio come si sono modificati.

► Diritto alla disoccupazione una tantum per i lavoratori parasubordinati

La forma del contratto a progetto

Il Dl 276/2003 ha stabilito che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione devono avere l’indicazione di uno o più progetti specifici e le relative indicazioni ai fini della prova.

Con il DL 76/2013 è stata eliminata dalla descrizione del contratto la dicitura ai fini della prova, quindi vuol dire che l’indicazione del progetto, del suo contenuto, del risultato da conseguire e la durata e il corrispettivo della collaborazione devono essere tassativamente indicate.

► Contratto a progetto: cosa è, come funziona

In requisiti del contratto a progetto

Sostituendo una «o» con una «e» la precedente norma è stata modificata al fine di poter escludere dalle mansioni per i contratti a progetto lo svolgimento di compiti esecutivi e ripetitivi: i due requisiti, quindi, devono essere considerati congiuntamente.

Resta fermo l’obbligo, da parte del datore di lavoro, di indicazione dell’obiettivo che il lavoratore a progetto deve perseguire – non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente – dei risultati attesi e del compenso corrisposto.

 

Nuove regole per contributi e assicurazione degli apprendisti

 Con il messaggio Inps 11761 del 22 luglio 2013, l’Istituto di previdenza ha dato ulteriori indicazioni per il pagamento dei contributi degli apprendisti iscritti alle liste di mobilità in riferimento alla Dlgs 167/2011.

Dopo 18 mesi dall’entrata in vigore del decreto, infatti, pur rimanendo invariate le voci assicurative, sono stati aumentati i contributi da pagare a carico del datore di lavoro, con l’equiparazione al settore di attività e alle caratteristiche aziendali.

► Le novità per i debiti contributivi, la rateizzazione breve

Quindi, se per i primi 18 mesi dall’entrata in vigore del decreto, il regime vigente per il pagamento dei contributi era quello agevolato (contribuzione datoriale pari al 10%) con possibilità di usufruire del beneficio del 50% dell’indennità di mobilità residua, al netto di quella già fruita dal lavoratore, dal 19° mese, come già anticipato dalla circolare 128/12, non è più possibile aderire al regime agevolato.

► Guida all’iter unico per la rateizzazione dei contributi non pagati

Per chi ha assunto un apprendista iscritto alle liste di collocazione il pagamento dei contributi per il lavoratore è adeguato alle aliquote ordinariamente previste in relazione al settore di classificazione previdenziale e alle caratteristiche aziendali, al netto delle eventuali riduzioni stabilite dalla legge, con il contributo Aspi da calcolare all’1,61% (1,31% + 0,30%) e le misure compensative per la previdenza complementare e per il Fondo di tesoreria Inps allo 0,27% per l’anno in corso.

 

Limite massimo di lavoro per mantenere lo status di disoccupazione

 Prima dell’entrata in vigore della Legge Fornero (92/2012) i disoccupati potevano lavorare, entro determinati limiti, senza perdere il loro status e la relativa indennità. Con il decreto legge 76/2013, questa possibilità è stata ripristinata, con diverse modalità in caso di lavoro subordinato o di lavoro autonomo.

► Diritto alla disoccupazione una tantum per i lavoratori parasubordinati

Con questo decreto legge il limite temporale per il quale un disoccupato può svolgere un lavoro subordinato senza perdere il suo status è stato riportato ad 8 mesi (con la legge Fornero il limite era di 6 mesi).

Inoltre, rispetto alla Legge Fornero, è stato anche rispristinato il limite reddituale massimo per poter mantenere lo status di disoccupazione, che varia in base alla tipologia di rapporto di lavoro intrapreso: in base a questa differenziazione, il limite reddituale massimo per il lavoratore subordinato è di 8.000 euro all’anno, mentre se un disoccupato intraprende un’attività lavorativa autonoma, non dovrà percepire redditi in misura maggiore di 4.600 euro all’anno.

► Come si apre la Partita Iva?

Rimanendo al di sotto di questi limiti, infatti, i redditi non sono sottoposti ad imposizione fiscale.

In conclusione, per mantenere lo status di disoccupazione pur avendo un’attività lavorativa, non si devono superare gli otto mesi all’anno di lavoro oppure, il reddito generato dal lavoro, sia esso autonomo o subordinato, deve essere abbastanza basso da non superare le soglie di imposizione fiscale.

Anche i manager possono essere licenziati

 Il licenziamento per giusta causa è una sanzione disciplinare che può essere utilizzata anche nei confronti di chi, all’interno dell’azienda, ricopre posizioni manageriali. Secondo la Corte di Cassazione, che si è espressa sull’argomento in due casi, i manager sono soggetti alle stesse regole degli altri dipendenti e, quindi, sono passibili di licenziamento.

La sentenza della Suprema Corte n. 20856/2012, prevede che i manager possono essere licenziati in caso di riorganizzazione aziendale anche se l’azienda non è in crisi.

► Cos’è il licenziamento per giusta causa?

I presupposti di legittimità del licenziamento, nel caso di specie, sono, appunto, una diversa gestione dell’organico aziendale che sopprime la posizione apicale affidando ad altri le mansioni svolte. Se il licenziamento non è discriminatorio, ma solo frutto della riorganizzazione, è legittimo.

Un manager può essere licenziato anche se si rifiuta un trasferimento. Il caso che ha portato la Corte di Cassazione alla sentenza 4797/2012 è stato quello di un manager di banca che ha rifiutato il trasferimento perché, secondo lui, era un atto ritorsivo.

La Corte di Cassazione, invece, ritenendo il trasferimento la conseguenza della riorganizzazione aziendale, ha dato ragione all’Istituto bancario. A nulla sono valse poi le motivazioni adducibili al ruolo svolto dal manager all’interno della banca, in quanto la disciplina limitativa del potere di licenziamento non si applica ai dirigenti convenzionali.

I motivi del licenziamento per giusta causa

Rallentamento del lavoro

Infedeltà all’azienda e scarso rendimento

Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati

Irreperibilità e cumulo di impieghi

Rifiuto del trasferimento

Outsourcing e ridimensionamento

Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro

Eccessi nella condotta professionale e privata

Uso improprio del telefono privato e aziendale

Altri motivi di licenziamento per giusta causa

I motivi del licenziamento per giusta causa: eccessi nella condotta privata e professionale

 Licenziamento per giusta causa: condotta privata

Il modo di agire della nostra vita privata può ripercuotersi negativamente anche nella vita professionale. Anche se le due sfere rimangono distinte e separate, ci sono casi in cui le due sfere vengono in contatto tra di loro. È il caso di un dipendente di banca licenziato dopo che è stato trovato, durante un controllo delle forze dell’ordine, in possesso di hashish.

La Corte di Cassazione, ribaltando il giudizio espresso in secondo grado, ha ritenuto, con la sentenza n. 6498/2012, che anche il possesso e il consumo per uso personale di droghe leggere è un motivo di licenziamento per giusta causa.

Licenziamento per giusta causa: comportamenti verbalmente e fisicamente violente nei confronti dei colleghi

Le incomprensioni sul posto di lavoro esistono, ma in caso di discussione, per quanto accesa, è meglio evitare di usare parole pesanti o di passare alle mani.

Un insulto offensivo rivolto ad un collega, secondo la sentenza n. 4067/2008 della Cassazione, è un atto di offesa anche nei confronti del datore di lavoro che ha l’obbligo di vigilare e tutelare la personale integrità di tutti i suoi dipendenti e, quindi, può decidere di licenziare il lavoratore che la mette a repentaglio.

Se non ci sono insulti, ma il litigio sfocia in una aggressione fisica, anche se non atta alla lesione personale, secondo la sentenza n. 7383/2010 della Corte di Cassazione, esistono tutti i presupposti per il licenziamento per giusta causa del lavoratore violento.

I motivi del licenziamento per giusta causa

Rallentamento del lavoro

Infedeltà all’azienda e scarso rendimento

Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati

Irreperibilità e cumulo di impieghi

Rifiuto del trasferimento

Outsourcing e ridimensionamento

Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro

Eccessi nella condotta professionale e privata

Uso improprio del telefono privato e aziendale

Altri motivi di licenziamento per giusta causa

I motivi del licenziamento per giusta causa: uso improprio del telefono privato e aziendale

 Licenziamento per giusta causa: uso del telefono privato durante le ore di lavoro

Quando si è nel posto di lavoro quello che si deve fare è lavorare. Le distrazioni, di qualunque natura, non sono ammesse, tanto meno se la causa di questa mancanza di attenzione è il telefono.

E, a maggior ragione, l’uso del telefono privato durante le ore di lavoro diviene più grave se il posto di lavoro è un presidio ospedaliero. Lo sentenzia la Corte di Cassazione (sentenza 5371/2012) che ha avallato il licenziamento di un addetto alla sorveglianza in un ospedale perché sorpreso al telefono.

Le ragioni della conversazione erano private, non professionali, e il fatto che il compito del vigilante è quello di prestare attenzione a ciò che succede, il fatto di stare al telefono indica che il lavoratore non stava svolgendo il suo lavoro come previsto e rende l’azienda legittimata al licenziamento per giusta causa.

Licenziamento per giusta causa: uso del telefono aziendale per motivi personali

Tutti gli strumenti che sono messi a disposizione del datore di lavoro devono essere utilizzati esclusivamente a fini lavorativi.

Lo dice la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5371/2012 con la quale ha legittimato il licenziamento di un dipendente vigilante di un ospedale che, durante lo svolgimento del lavoro, ha usato il telefono aziendale per telefonate private.

Nonostante le proteste del dipendente che si è appellato alla Corte forte del fatto che il datore di lavoro aveva scoperto la sua condotta controllando i tabulati telefonici (fattispecie del controllo a distanza). Ma la Suprema Corte ha reso effettivo il licenziamento in quanto non vige, nello Statuto dei Lavoratori, il divieto per il datore di prendere visione delle risultanze di registrazioni operate fuori dall’azienda o da tabulati telefonici per provare un illecito di un lavoratore.

I motivi del licenziamento per giusta causa

Rallentamento del lavoro

Infedeltà all’azienda e scarso rendimento

Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati

Irreperibilità e cumulo di impieghi

Rifiuto del trasferimento

Outsourcing e ridimensionamento

Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro

Eccessi nella condotta professionale e privata

Uso improprio del telefono privato e aziendale

Altri motivi di licenziamento per giusta causa

Altri motivi di licenziamento per giusta causa

 Licenziamento per giusta causa: richiesta di rimborsi per trasferte non effettuate

I rimborsi si possono richiedere solo in caso di trasferte, o di spese, effettuate realmente e comprovabili.

Lo afferma la sentenza n. 7096/ 2012 della Corte di Cassazione che ha legittimato il licenziamento di un dipendente perché ha fatto richiesta al datore di lavoro di essere rimborsato per trasferte non effettuate. Un comportamento del genere mina la fiducia tra le due parti in quanto viene messa in discussione dal dipendente la correttezza dell’azienda nell’adempimento dei suoi obblighi.

Licenziamento per giusta causa: dipendente che timbra cartellini altrui

Non ci sarebbe stato neanche bisogno di una sentenza per rendere legittimo il licenziamento di un dipendente che timbra il cartellino di un collega. Accettare di fare la ‘cortesia’ al collega, secondo la sentenza 24796/2010 della Corte di Cassazione, vuol dire minare alla base il necessario rapporto di fiducia tra le parti.

Licenziamento per giusta causa: prolungamento delle assenze per inadempienze dell’azienda

Anche se il datore di lavoro non è in regola con i pagamenti dello stipendio, l’assenza prolungata del dipendente non può essere giustificata ed è passibile di licenziamento per giusta causa.

Il discrimine, in questo caso, è il confronto tra le due inadempienze. Nel caso specifico, che ha portato la corte di Cassazione alla sentenza n. 14905/2012, una donna si è rifiutata di tornare al suo posto di lavoro dopo la fine del periodo di maternità appellandosi al fatto che l’azienda non aveva ancora corrisposto l’ultima mensilità spettante.

La donna è rimasta assente dal lavoro per 40 giorni. Un periodo troppo lungo, secondo la Cassazione, per poter essere giustificato con una sola mensilità non pagata.

I motivi del licenziamento per giusta causa

Rallentamento del lavoro

Infedeltà all’azienda e scarso rendimento

Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati

Irreperibilità e cumulo di impieghi

Rifiuto del trasferimento

Outsourcing e ridimensionamento

Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro

Eccessi nella condotta professionale e privata

Uso improprio del telefono privato e aziendale

Altri motivi di licenziamento per giusta causa

Diritto alla disoccupazione una tantum per i lavoratori parasubordinati

 La Fondazione studi dei Consulenti del lavoro si è espressa sulla disoccupazione una tantum alla quale hanno diritto i lavoratori parasubordinati in caso di sospensione dell’attività lavorativa.

► Come richiedere l’ ASPI – Assicurazione Sociale per l’ Impiego

Partiamo dall’inizio e spieghiamo chi sono i lavoratori parasubordinati. Come dice il temine stesso, appartengono a questa categoria i lavoratori che hanno un rapporto di lavoro a metà strada tra il lavoro autonomo e il lavoro dipendente, ossia con forme di collaborazione continuative nel tempo ma senza vincolo di subordinazione (rientrano in questa categoria i lavoratori a progetto e i collaboratori occasionali).

Per questi lavoratori la legge 92/2012 prevede, in via sperimentale, un assegno di indennità di disoccupazione una tantum in caso di interruzione del rapporto lavorativo.

I requisiti per l’accesso al contributo di disoccupazione una tantum

La legge 92/2012 prevede che, per i tre anni di sperimentazione della disoccupazione una tantum per lavoratori parasubordinati, l’accesso sia ristretto a coloro che presentino la relativa domanda e rispettino congiuntamente i seguenti requisiti relativi all’anno 2012:

regime di monocommittenza

reddito lordo complessivo soggetto a imposizione fiscale inferiore a 20.000 euro

assenza di contratto di lavoro per un periodo ininterrotto di almeno due mesi

almeno tre mensilità accreditate presso la Gestione separata

e, per l’anno 2013, aver accreditato almeno una mensilità presso la Gestione separata.

► La certificazione dello stato di disoccupazione