La sentenza è la 18211 della Corte di Cassazione, che nasce da un caso specifico: un portiere di notte è stato licenziato dopo aver chiesto, causa patologie lavoro correlato, uno spostamento in turni diurni. L’azienda, non avendo ulteriori disponibilità di orari, si è vista costretta a licenziare il portiere.
Secondo la Cassazione, che non contesta il licenziamento, l’azienda è però tenuta a risarcire al lavoratore 70mila euro, di cui 25mila per danno biologico.
La sentenza si basa sulla differenza che esiste tra il lavoro discontinuo e il lavoro effettivo. Nello specifico, il portiere di notte non può essere considerato lavoro discontinuo (che, in base alla sentenza è stato definito come un lavoro caratterizzato da attese non lavorate durante le quali il dipendente può reintegrare con pause di riposo le energie psicofisiche consumate), ma bensì un lavoro effettivo, intervallato, semmai, da momenti di minore attività durante i quali, però, il dipendente non può disporre liberamente del proprio tempo.
Riferendosi poi ad una precedente sentenza (la n. 21695 del 2008) la Cassazione aggiunge:
l’orario di lavoro deve rispettare i limiti imposti dalla tutela del diritto alla salute, si applica anche alle mansioni discontinue o di semplice attesa.
In base a queste valutazioni, l’azienda che ha deciso di licenziare il portiere di notte, pur non essendo obbligata al reintegro, è tenuta a pagare un risarcimento di 47mila euro di straordinari notturni e mancate ferie, più 25mila euro per danno biologico accertato nella misura del 15%.