Nessun prelievo sulle pensioni d’oro, lo dice la Consulta

 La tassa di solidarietà obbligatoria per le pensioni d’oro introdotta con il decreto legge n. 98 del 2011 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) è stata ritenuta incostituzionale. Lo ha deciso questa mattina la Corte Costituzionale, depositando la sentenza 116/2013.

► E se si tagliassero le pensioni d’oro?

La norma in questione prevede che, dal primo agosto 2011 fino al 31 dicembre 2014, le pensioni il cui importo lordo fosse superiore ai 90 mila euro, fossero soggette ad un contributo del 5% per la parte eccedente i 90 mila euro e fino ai 150.000 mila, del 10% per le pensioni tra i 150 e 200 mila e del 15% per quelle sopra i 200 mila euro.

Un magistrato della Corte dei Conti ha fatto ricorso contro questa norma, accolto dalla Consulta. La Corte dei Conti ha infatti deciso che questo contributo è di natura tributaria e se applicato secondo quanto predisposto dalla norma diviene discriminatorio perché colpisce la sola categoria dei pensionati, mentre alter categorie che hanno redditi molto alti non sono tassate.

I riferimenti normativi della sentenza della Corte dei Conti sono stati gli articoli 3 e 53 della Costituzione, rispettivamente sul principio di uguaglianza e sul sistema tributario.

► Il piano governativo per i giovani

Si tratta di una decisione che rimette in discussione quelli che sembravano essere dei punti fermi del programma del Ministro Giovannini che giorni fa aveva proposto proprio la tassazione sulle pensioni d’oro per trovare le risorse necessarie al rilancio dell’occupazione.

Pensioni light: i nuovi assegni in base alle tipologie di lavoratori

 In un futuro molto vicino, gli assegni Inps saranno più magri. Ma cosa cambia? Per capirlo, occorre fare una distizione tra le pensioni destinate ai lavoratori dipendenti e quelle destinate ai lavoratori autonomi.

Lavoratori dipendenti

I dipendenti di un’azienda privata, che non hanno un coniuge a carico e vanno in pensione tra il compimento del sessantacinquesimo anno e il compimento del settantesimo anno d’età, andati in pensione nel 2010 mediamente hanno ricevuto dall’Inps un assegno lordo uguale al 74% circa della retribuzione. Chi con gli stessi requisiti andrà a riposo nel 2020 percepirà il 69% dell’ultimo stipendio. Chi si ritirerà con lo stesso profilo nel 2050 non supererà il 63%.

Tenendo in considerazione gli importi netti dei salari e degli assegni Inps, tuttavia, la differenza diminuisce di gran lunga. Considerando ancora i requisiti di cui sopra, nel 2010 la pensione raggiungeva l’83% dell’ultimo stipendio mentre calerà al 78% nel 2020 e al 71% nel 2040, con una perdita del tenore di vita pari a quasi un terzo.

Lavoratori autonomi

Guai in vista anche per i lavoratori autonomi. Tenendo sempre in mente gli stessi requisiti, al lordo delle trattenute fiscali e contributive, coloro che sono andati a riposo nel 2010 hanno ricevuto un assegno Inps uguale in media al 73% dell’ultimo stipendio. Chi ‘rimarrà a casa’ dal 2020 guadagnerà invece un importo attorno al 51% dello stipendio mentre chi si ritirerà nel 2030 dovrà accontentarsi di una rendita lorda attorno al 47%.

Pensioni light

Perché saranno più leggere

I nuovi assegni in base alle tipologie di lavoratori

 

Pensioni light: perché?

 Gli assegni dell’Inps potrebbero essere più bassi da qui al futuro. Uno scenario che si profila alla luce del sistema previdenziale del nostro Paese.

Scenario attuale

Le riforme che sono state portate avanti negli ultimi tempi, inclusa quella approvata dal governo Monti, sotto la giurisdizione diretta dell’ex-ministro del welfare, Elsa Fornero, hanno contribuito alla sua formazione.

Successivamente all’estensione del metodo contributivo (in virtù del quale l’importo delle pensioni pubbliche sarà inerente esclusivamente ai contributi pagati durante la carriera e non dagli ultimi redditi ricevuti prima di concluderla) sono diversi i lavoratori italiani che devono prepararsi a tirare la cinghia nel corso della vecchiaia, ovvero a ricevere dall’Inps una rendita ben più bassa rispetto all’ultimo stipendio.

A pensarla così è il Rapporto della Ragioneria Generale dello Stato riguardante le tendenze di medio periodo del sistema pensionistico, che profila un quadro che molti esperti previdenziali hanno già ben in testa.

Scenario futuro

Volendo entrare nel particolare, le pensioni future potreebbero cambiare in seguito alle riforme avviate dagli anni ’90 fino al 2011, in maniera drasitca.

Per i futuri pensionati, in particolar modo per i lavoratori autonomi, non sarà un cambiamento positivo.

Questi ultimi, spesso e volentieri, riceveranno dall’Inps un assegno che non supererà il 50 o 60% dell’ultima retribuzione. Il calo, dunque, c’è.

Pensioni light

Perché saranno più leggere

I nuovi assegni in base alle tipologie di lavoratori

Tiriamo le somme sugli esodati: il secondo e terzo decreto

 Gli esodati sono stati un problema di non facile risoluzione per il governo Monti, che ha provveduto alla loro salvaguardia con l’emanazione di tre appositi decreti leggi per garantire a questi lavoratori di accedere alla pensione, anche senza avere i requisiti entrati in vigore con la Riforma Fornero.

Il primo decreto ha salvaguardato 62.000 esodati, ai quali si sono aggiunti i 55.000 del secondo e i 10.000 del terzo decreto.

Per ottenere le garanzie del secondo decreto le categorie di lavoratori sotto elencati hanno già presentato la domanda e sono in attesa di responso dall’Inps. Ecco chi sono:

40mila persone che hanno firmato un accordo per la mobilità o la cassa integrazione straordinaria entro il 2011 anche se, alla data del 4 dicembre (cioè prima della riforma Fornero), l’ammortizzatore sociale non era stato ancora attivato

7.400 lavoratori che, entro il 4 dicembre, hanno ricevuto l’autorizzazione alla prosecuzione volontaria dei contributi e che matureranno i requisiti pensionistici validi prima della riforma entro il 31 dicembre 2014

1.600 esodati a carico dei Fondi di Solidarietà

6.000 lavoratori che hanno firmato degli accordi collettivi o individuali per mettersi in mobilità secondo le disposizioni del decreto milleproroghe).

Altri 10.000 esodati sono stati salvaguardati con il terzo decreto, che hanno tempo fino al prossimo 25 settembre 2013 per presentare le domande. Possono fare domanda:

lavoratori che hanno lavorato fino al 30 settembre 2012 e collocati in mobilità ordinaria o in deroga a causa di accordi stipulati entro il 31 dicembre 2011

lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria del versamento dei contributi entro il 4 dicembre 2011

lavoratori che hanno ricevuto l’autorizzazione al versamento volontario dei contributi e sono state collocate in mobilità entro il 4 dicembre 2011, ma che devono attendere la fine del periodo di mobilità per eseguire i primi versamenti

lavoratori che hanno smesso di lavorare entro il 30 giugno 2013, in seguito ad accordi d’incentivo all’esodo firmati prima del 31 dicembre 2011.

Tiriamo le somme sugli esodati

Il primo decreto

Il secondo e il terzo decreto

Dall’estate il calcolatore online per la pensione, ma solo per gli over 58

 Una distinzione tra i lavoratori svedesi e quelli italiani? I primi conoscono già da vent’anni l’ammontare dell’assegno pensionistico. Gli italiani, invece, no.

In altri termini parliamo della ormai celebre “busta arancione” , che in Svezia rende nota ai lavoratori la pensione che riceveranno dallo Stato.

Nel nostro Paese farà il suo ingresso quest’estate, ma solo per gli over 58 e con un ritardo di oltre vent’anni in confronto con il Nord Europa.

Il via libera all’informativa, che giungerà in un primo tempo solo ai nati prima del 31 dicembre 1955, stando a quanto riferito dalla nota ministeriale dello scorso 20 marzo, è rinviato di qualche mese a seguito del cambio di governo, anche se il presidente dell’ente Antonio Mastrapasqua di recente ha assicurato che il semaforo verde arriverà entro i prossimi due – tre mesi.

Ma bisogna fare una precisazione. A differenza di quanto accade nei Paesi del Nord Europa, la “busta arancione” italiana non sarà inviata in formato cartaceo né via web: sarà più semplicemente un calcolatore online messo a disposizione sul sito dell’Inps, con cui i lavoratori a cinque anni dalla pensione, dotati di username e password, potranno via via conoscere l’ammontare del futuro assegno pensionistico.

Pensioni certe ma più leggere

 Anche in virtù degli effetti dell’ultima riforma, varata alla fine del 2011, la spesa per pensioni in rapporto al Prodotto interno lordo può essere considerata sotto controllo. Tuttavia, alla sostenibilità del sistema, la quale mostra una buona tenuta soprattutto in confronto alla transizione demografica negativa, saranno corrisposti in futuro assegni più soft. Ciò si evince dal Rapporto della Ragioneria generale dello Stato in relazione alle tendenze di medio periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario, pubblicato oggi.

Al termine di una fase iniziale di crescita della spesa attribuibile solo ed esclusivamente alla recessione economica, la quale è prevista proseguire anche nel 2013, la spesa per pensioni in rapporto al Pil flette gradualmente sino al raggiungimento del 14,8% nel 2029. Negli anni successivi sarà l’inizio di una nuova fase di crescita che condurrà il rapporto al suo massimo relativo, uguale a circa il 15,6%, nel triennio 2044-2046.

Da qui in poi si diminuisce rapidamente, con un rapporto che si attesta al 15,3% nel 2050 ed al 13,9% nel 2060, con una decelerazione che dovrebbe essere costante. L’Italia farà meglio degli altri paesi del Vecchio Continente. Infatti, a fronte di un valore della spesa pensionistica che cresce in media, per l’insieme dei paesi dell’Unione europea (e la Norvegia), di 1,4 punti percentuali nel periodo 2010-2060, nel nostro caso il rapporto scende di 0,9 punti percentuali, e questo nonostante il più forte invecchiamento demografico e le più elevate aspettative di vita.

Tra i più potenti stabilizzatori della spesa pensionistica il rapporto rammenta l’aumento dei requisiti di pensionamento per vecchiaia e la chiusura delle uscite per anzianità, il passaggio pro quota al contributivo come criterio unico di calcolo delle pensioni e l’aggiornamento dei coefficienti di trasformazione.

E se si tagliassero le pensioni d’oro?

 Il Ministro Giovannini aveva solo accennato a questa possibilità, ma, dato che la ricerca delle risorse necessarie per il rilancio dell’occupazione e dell’economia italiana fanno fatica ad essere trovate, potrebbe anche succedere che davvero arrivi un taglio alle pensioni d’oro, ossia le pensioni erogate dall’Inps che superano i 3.000 euro al mese e che comportano un grave esborso per le sue casse.

► Il piano del Governo per pensioni ed esodati

Le pensioni superiori ai 3.000 euro al mese erogate dall’Inps ogni mese sono circa 700 mila, il che equivale ad un esborso per l’ente di previdenza pari a circa 40 miliardi di euro all’anno.

Non è certo un’idea nuova, prima di Letta e Giovannini sono intervenuti sulle pensioni d’oro il Governo Berlusconi – contributo di solidarietà del 5% sulle rendite Inps superiori a 90mila euro e del 10% sulla quota che oltrepassa i 150mila euro – poi il Governo Monti, con il taglio del 15% degli assegni superiori a 200mila euro.

Ora, l’ipotesi ventilata di un possibile taglio agli assegni dell’Inps, potrebbe colpire anche le pensioni non proprio d’oro, ma quelle che vanno dai 3.000 euro in su. A fare qualche calcolo sono stati Tito Boeri e Tommaso Nannicini, economisti del sito LaVoce.info, che ipotizzano un risparmio per l’Inps di circa 1,5-2 miliardi di euro all’anno.

► Pensioni: come sono adesso e come potrebbero diventare

I due economisti hanno pensato a questi possibili scenari: contributo del 2% su tutti gli assegni pensionistici che superano i 2mila euro; contributo dell’1% per gli assegni tra 2.000 e 2.500 euro, più un contributo del 2% per le pensioni tra 2.500 e 3.000 euro e un taglio del 3% per le rendite sopra i 3.000; o, ancora un contributo del 2% per gli assegni tra 2.000 e 3.000 euro e di un taglio del 3% per le rendite sopra i 3.000 euro.

 

Le novità sull’Estratto Conto Integrato

 Novità in vista per i nuovi servizi telematici dell’Inps per la pensione. Con il messaggio 8822 del 30 maggio, l’Istituto nazionale di previdenza, infatti, ha ufficializzato l’allargamento della platea dei contribuenti che potranno accedere al servizio dell’Estratto Conto Integrato.

► I nuovi servizi Inps per i pensionati

Con questa implementazione i contribuenti che hanno maturato contributi in diverse casse previdenziali che potranno consultare l’ECIEstratto Conto Integrato – passano da circa 100 mila ad milione di persone: i 650 mila contribuenti attualmente iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, ai fondi sostitutivi o alla gestione separata dell’Inps, i 150 mila iscritti alla gestione dipendenti pubblici, i 20 mila lavoratori dello spettacolo e i 180 mila iscritti ad altri enti previdenziali.

Grazie all’Estratto Conto Integrato, che fa parte di un più ampio progetto dell’Inps, partito in via sperimentale alla fine del 2011, questa tipologia di lavoratori avrà la possibilità di controllare la propria situazione contributiva consultando un solo file, nel quale saranno indicati tutti i contributi versati a suo favore nelle diverse casse.

► Il piano del Governo per pensioni ed esodati

Si accede al servizio direttamente dal portale dell’ultimo Ente in cui si è stati iscritti o dai portali degli enti che forniscono le informazioni previdenziali al Casellario dei Lavoratori Attivi, istituito presso l’Inps (Inps, Enasarco e Casse previdenziali degli ordini professionali).

Modifiche alla riforma Fornero per risolvere il problema esodati

 Già da alcuni giorni l’ esecutivo – i tecnici del Ministero del Lavoro in particolare –  è a lavoro per risolvere in via definitiva il problema degli esodati, coloro che, in seguito alla riforma Fornero, si sono trovati nella scomoda posizione di non percepire più un reddito, ma di non poter accedere neanche ai contribuiti pensionistici.

> Il piano del Governo per pensioni ed esodati

Il Governo Letta avrebbe quindi intenzione di apportare delle modifiche al testo  della riforma in modo da permettere la risoluzione del problema e di favorire un migliore turn over generazionale.

Per Giovannini è necessario ragionare ancora su risorse e misure per il lavoro

Le modifiche alla riforma Fornero riguarderebbero, in particolare, il limite dell’ età pensionabile, che vorrebbe essere abbassata all’ età  di 62 anni, prevedendo, però, delle penalizzazioni sul calcolo dell’ assegno per chi usufruisce dell’ anticipo.

Il Ministro del Lavoro Enrico Giovannini avrebbe infatti allo studio una versione del sistema che prevede 62 anni e 35 di contributi, e per quanto riguarda l’ entità delle penalizzazioni per chi volesse lasciare prima, si parla dell’ 1% per ogni anno di anticipo e del 2% per ogni anno superiore ai primi due. 

Nell’ attuare queste modifiche, tuttavia, l’ obiettivo rimane quello di trovare soluzione al problema degli esodati e di cercare, al tempo stesso, di incidere il meno possibile sul problema della disoccupazione giovanile. Ma la strada delle soluzioni è ancora lunga.

Pensioni: come sono adesso e come potrebbero diventare

 Occupazione giovanile e pensioni vanno di pari passo. Se si innalzano i requisiti anagrafico e contributivo l’Inps e i vari enti previdenziali risparmiano, ma i giovani non hanno modo di accedere al mondo del lavoro. Che fare?

► Le proposte del governo per il rilancio dell’occupazione giovanile

I ministri Giovannini e Saccomanni propongono più flessibilità, da entrambe le parti. E’ possibile?

Forse sì, l’importante è capire come intervenire e il nodo cruciale è la pensione anticipata.

Ad oggi, dopo l’entrata in vigore della Riforma Fornero, per andare in pensione anticipata è necessario un monte contributivo troppo alto: 42 anni e 5 mesi per gli uomini e 41 e 5 mesi per le donne. Se questo requisito è raggiunto dopo che si sono compiuti i 62 anni di età allora si può accedere alla pensione piena, ma se si decide di andarci prima si incorre in una decurtazione dell’assegno (1% della quota di pensione calcolata con il sistema retributivo per ogni anno di età mancante tra i 60 e i 62, al 2% per ogni anno di età mancante ai 60).

La dimostrazione che questo sistema non ha funzionato sta nei dati dell’Inps: dall’entrata in vigore della riforma delle pensioni solo 8.000 lavoratori in totale – tra chi aveva anche 62 e chi no – hanno deciso di uscire dal lavoro prima di avere accesso alla pensione di vecchiaia.

► Pensioni, Governo lancia turnover tra senior e giovani

Che fare quindi?

Allo studio del Parlamento c’è già un disegno di legge che ha dei requisiti meno stretti per l’accesso alla pensione anticipata: il requisito anagrafico rimane lo stesso, 62 anni, ma si abbassa sensibilmente il requisito contributivo, che scenderebbe a 35 anni. La penalizzazione prevista è del 2% in meno per ogni anno che manca al raggiungimento dei 66, quindi al massimo l’assegno si abbasserebbe dell’8%.