Decreto del fare: le novità per il Durc

 Il Durc – documento unico di regolarità contributiva – è la documentazione che le imprese devono presentare all’Inps, all’Inil e alla Cassa Edile per attestare l’adempimento degli obblighi legislativi e contrattuali.

Necessario per tutti gli appalti e subappalti di lavori pubblici, per i lavori privati soggetti al rilascio della concessione edilizia o alla DIA, per le attestazioni SOA, è stato sottoposto a delle importanti modifiche nella bozza del decreto del fare, che sarà oggi all’attenzione del Consiglio dei Ministri.

Se la bozza non verrà modificata, le novità previste sono l’allungamento dei tempi di validità del documento e la responsabilità sociale dell’appaltatore.

Validità del Durc estesa a 180 giorni

La validità del Durc per i lavori privati in edilizia viene raddoppiata, passando dagli attuali 3 mesi ai 6 mesi (180 giorni).

Con questa nuova versione del Durc, inoltre, le imprese, diversamente da quanto accadeva in precedenza, potranno compensare i debiti contribuitivi con i crediti vantati con la Pa.

Responsabilità solidale e Durc

L’appaltatore non sarà più sottoposto alla responsabilità solidale fiscale per il versamento all’Erario delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell’Iva dovuta dal subappaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nel contratto di subappalto.

Decreto del fare

Le novità per Equitalia

Le novità per il Durc

Le novità per le PMI

Le novità per i cittadini

Decreto del fare: le novità per Equitalia

 Equitalia è uno dei principali problemi per le imprese e per i cittadini italiani che si trovano, spesso, a dover pagare delle cifre astronomiche anche per della piccole inadempienze. Un salasso che mette in ginocchio famiglie e imprenditori anche perché fino adesso la società di riscossione dei tributi poteva provvedere all’esproprio degli immobili, sia ai cittadini che alle imprese.

Se la bozza del decreto non verrà modificata, Equitalia non potrà più farlo. Ecco quali sono i cambiamenti previsti.

Nessun esproprio se l’immobile è la prima casa o l’unico bene dell’imprenditore

La prima importante novità del decreto del fare per quanto riguarda i poteri di Equitalia riguarda gli espropri degli immobili dei contribuenti inadempienti: la società non potrà procedere se il contribuente è proprietario solo di quell’immobile che utilizza come abitazione principale e dove detiene la sua residenza anagrafica.

Unica deroga per l’espropriazione è per gli immobili di lusso, ossia quelli accatastati nelle categorie  A1 (abitazioni di tipo signorile ), A8 (ville) e A9 (castelli e palazzi di eminenti pregi artistici o storici).

Per capannoni e macchinari delle imprese, il pignoramento è possibile solo fino a un quinto e i beni saranno  dati in custodia all’imprenditore debitore.

Inoltre, il recupero coattivo scatta sopra la soglia dei 50.000 euro non pagati (prima era di 20.000) e la revoca della possibilità di rateizzazione avverrà solo dopo il mancato pagamento della quinta rata, non più a partire dalla seconda.

Decreto del fare

Le novità per Equitalia

Le novità per il Durc

Le novità per le PMI

Le novità per i cittadini

Decreto ‘del fare’, oggi al vaglio del Consiglio dei Ministri

 Oggi pomeriggio il Consiglio dei Ministri si riunisce per dare il via libero definitivo al decreto del fare, il progetto che ha messo a punto il g0verno Letta per provvedere al rilancio dell’economia italiana.

► Le misure contro la disoccupazione nel Decreto del fare

Nel decreto sono contenute diverse misure urgenti sia per le imprese che per i cittadini che hanno lo scopo, oltre che di dare un nuovo slancio all’immobile economia italiana, di ridefinire il rapporto tra il fisco e i contribuenti e semplificare la burocrazia italiana.

Tra le principali misure contenute nella bozza del decreto – che non dovrebbe subire nessuna modifica – ci sono il ridimensionamento dei poteri di Equitalia che non potrà più espropriare immobili quando risultano essere l’unico bene posseduto dal contributore inadempiente, il finanziamento di 6.000 cantieri nei piccoli comuni e con il parziale definanziamento di Tav, ponte sullo stretto e Terzo valico e il taglio dei costi delle bollette elettriche.

I cittadini, se quanto contenuto nella bozza non verrà modificato, potranno accedere ad un’Anagrafe nazionale degli assistiti (Ana) unica, che monitorerà sulle prestazioni erogate dalle asl per rendere più facile la vita degli assistiti, e avranno la possibilità di chiedere una casella di posta elettronica certificata contestualmente alla carta d’identità elettronica. A questo si aggiunge la scomparsa di tutta una serie di certificati medici necessari per determinate attività.

► Pensioni: come interverrà il governo su esodati, perequazione e ricongiunzione?

Altre novità sono previste per le PA, che saranno sanzionate per i giorni di ritardo nella conclusione dei procedimenti amministrativi, poi è prevista l’estensione della validità del Durc a 180 giorni e, infine, per le università e gli enti di ricerca.

Dall’inizio dell’anno chiuse migliaia di imprese

 17.088 imprese, tra bar e ristoranti, da inizio 2013, hanno abbassato definitivamente le saracinesche. Se il ritmo delle chiusure delle attività commerciali delle città italiane mantiene lo stesso ritmo registrato per i primi quattro mesi del 2013 si rischia che le nostre città diventino una lunga vetrina di negozi chiusi.

► Quanto costa la burocrazia per le piccole e medie imprese italiane

Lo dice la Confesercenti. 17.088 bar e ristoranti significa una contrazione del 5% del totale delle imprese registrate nel settore, ma alle imprese che operano nell’abbigliamento potrebbe anche andare peggio: da inizio anno sono state chiusi 11.328 esercizi, l’8% del totale.

Si salva solo il settore alimentare che vede una contrazione minore, registrando la chiusura di ‘solo’ 4.701 unità, con una variazione negativa del 3% sul 2012.

Secondo la Confesercenti alla fine del 2013 il rapporto tra aperture e chiusure di imprese che operano nell’abbigliamento potrebbe essere di 2 a 7, mentre per il resto delle attività il rapporto medio aperture-chiusure si attesterebbe sul’1 a 3.

Una situazione, questa, che si registra in tutte le regioni d’Italia ma che colpisce in modo più marcato soprattutto il sud della penisola. Nel settore alimentare la situazione peggiore si riscontra in Sicilia, dove apriranno 288 attività commerciali a fronte della chiusura di 1.080.

► Il programma di Letta per il rilancio delle imprese

L’abbigliamento soffre di più in Basilicata: 240 chiusure e solo 84 nuove aperture, per una perdita del 10% dei negozi del territorio. L’Abruzzo farà invece segnare il record di chiusure per i ristoranti: 144 aperture e 534 chiusure.

Quanto costa la burocrazia per le piccole e medie imprese italiane

 La burocrazia lenta e farraginosa tipica del nostro paese è uno dei problemi più pesanti per le piccole e medie imprese italiane che, ogni anno, sono costrette a pagare il peso di questa maglia di regole, norme e tasse nella quale sono ingabbiate.

► 288 nuove norme fiscali in 5 anni

Secondo i dati riportati dalla Cgia di Mestre, calcolati su base annua e sono aggiornati al 31 dicembre 2012, la burocrazia italiana costa alle imprese 31 miliardi di euro ogni anno, 7.000 euro circa per ogni impresa.

Ad incidere di più su questa spesa sono il costo del lavoro e della previdenza che richiedono la tenuta dei libri paga, comunicazioni per assunzioni o cessazioni e dei dati mensili di retribuzione e contribuzione etc, che nel complesso costa alle Pmi  9,9 miliardi di euro all’anno.

Altro costo per le imprese è quello della sicurezza: 4,6 miliardi di euro per valutazione dei rischi, piano operativo di sicurezza, formazione obbligatoria etc, che pesano per 1.053 euro annui su ogni impresa.

► La burocrazia italiana frena gli investimenti stranieri per le rinnovabili

Poi ci sono i costi da sostenere per l’area ambientale (3,4 miliardi di euro l’anno), quelli per le dichiarazioni dei sostituti di imposta e le comunicazioni periodiche ed annuali Iva (2,7 miliardi all’anno) e i costi per la contabilità aziendale, per i quali le piccole e medie imprese sborsano ogni anno circa 632 euro.

Più della metà degli italiani non andrà in vacanza

 A dirlo è il Codacons che, come ogni anno in questo periodo, ha pubblicato i dati relativi alle vacanze degli italiani. Quest’anno, causa crisi e rincaro dei prezzi, saranno più della metà dei cittadini a non potersi permettere il meritato riposo: 33 milioni in tutto, il 55% della popolazione totale, 6 milioni in più rispetto allo scorso anno.

► Prestiti per le vacanze ripagati in 3 anni

Ma anche chi potrà permettersi di partire dovrà fare i conti con la crisi: i giorni di villeggiatura saranno di meno e anche la spesa prevista è stata ridotta all’osso. La maggior parte degli italiani, poco più del 50%, farà vacanze della durata 7/10 giorni, il 35% potrà permettersi di stare fuori casa per un periodo di tempo di 14/15 giorni e solo il 15% potrà andare oltre la soglia delle due settimane.

Si parte ma si spende di meno: se lo scorso anno la media di spesa per un giorno di vacanza si attestava intorno ai 104 euro, per quest’anno la spesa è stata ridotta di circa il 7%, arrivando ad un massimo di 97 euro al giorno per persona.

► I vantaggi della carta di credito in vacanza

In questi 97 euro ci si dovranno far rientrare i costi di trasporto (auto, treno o aereo), i soggiorni, le spese per l’alimentazione, per i servizi balneari, per lo svago e l’intrattenimento e altro.

Cresce il debito pubblico italiano

 Il debito pubblico italiano a gennaio ammontava a 2.022 miliardi di euro. A febbraio sembrava fosse successo il miracolo e il debito era sceso di ben 5 miliardi, arrivando così a 2.017, per poi, però, risalire immediatamente dopo, con i 2.034 miliardi di marzo e il nuovo record che ha toccato ad aprile del 2013, con il raggiungimento dei 2.041,3 miliardi.

► L’ Italia virtuosa stia attenta al disavanzo

A dirlo è il bollettino statistico stilato da Bankitalia che spiega questa nuova impennata con l’aumentato fabbisogno delle pubbliche amministrazioni, che negli ultimi quattro mesi hanno avuto necessità di 46,6 miliardi di euro, una cifra che supera di 0,5 miliardi il fabbisogno registrato nello stesso periodo dello scorso anno.

Ad incidere di più sull’aumentato fabbisogno delle pubbliche amministrazioni hanno contribuito quelle locali, con una richiesta maggiore da parte delle Regioni, il cui debito è salito a 46,7 miliardi, in aumento di 1,37 miliardi rispetto al mese precedente.

Meglio le Provincie, che hanno visto calare il debito a 8,26 miliardi dagli 8,5 di marzo, mentre particolarmente virtuosi si sono dimostrati i Comuni che hanno diminuito il loro debito di 1 miliardo di euro.

► Gli otto miliardi della fine della procedure di deficit devono andare alle imprese

Bankitalia, inoltre, evidenzia che nei primi quattro mesi del 2013 sono aumentate le entrate tributarie: +1,58% rispetto allo stesso periodo del 2012.

L’Antitrust multa i traghetti per la Sardegna

 L’AGCMAgenzia Garante della Concorrenza e del Mercato – ha deciso che Moby, Snav, Gnv e Marinvesto dovranno pagare una multa di circa 8 miliardi di euro per aver stretto un accordo fra di loro allo scopo di aumentare i prezzi dei viaggi da e verso la Sardegna. Il periodo al quale si riferisce il garante è il 2011 e le rotte incriminate sono rotte Civitavecchia-Olbia, Genova-Olbia e Genova-Porto Torre.

► Otto compagnie assicurative nel mirino dell’ Antitrust

In quel periodo e per quelle tratte i prezzi dei viaggi sarebbero aumentati anche del 65% senza che ci fossero motivi reali per farlo.

Il problema non è solo l’aumento dei biglietti, ma il fatto che gli aumenti si sono verificati parallelamente per tutte le compagnie indicate dall’Antitrust, quando, nei periodi precedenti, le compagnie avevano sempre definito i prezzi dei viaggi seconde le regole della libera concorrenza.

Nello specifico gli aumenti registrati dall’Antitrust sarebbero stati del 42% sulle rotte Civitavecchia-Olbia (da 35 a 49 euro) e Genova-Olbia (da 57 a 81 euro) e del 50% sulla Genova-Porto Torres (da 65 a 98 euro).

► L’Antitrust indaga su Ferrovie dello Stato dopo la denuncia di Ntv

Secondo l’Antitrust si hanno tutti i presupposti per pensare alla creazione di un cartello dal momento che in quel periodo non sono state riscontrati aumenti del carburante né perdite in bilancio delle compagnie tali da poter giustificare in altro modo un aumento dei prezzi così omogeneo.

Aumento dell’Iva: quanto costa alle famiglie e quanto ne guadagna lo Stato

 Il Governo sta ancora discutendo per capire se ci sono le possibilità per evitare, o almeno per posticipare, il famigerato aumento dell’Iva che arriverà dal primo luglio 2013. L’Imposta sul valore aggiunto passerà dal 21 al 22% su una larga fetta dei generi di consumo e si prospetta come l’ennesimo salasso per le famiglie italiane.

► Cosa aumenta e cosa no con l’aumento dell’Iva

Sono state fatte diverse stime su quanto costerà effettivamente alle famiglie questo aumento e, secondo la CGIA, la Confederazione degli Artigiani di Mestre, nei prossimi sei mesi gli italiani spenderanno tra i 44 euro e i 51,5 euro in più, in base al numero dei componenti del nucleo famigliare.

Questo aumento dell’Iva non è stato voluto dall’attuale Governo, ma era stato già previsto dal precedente, ossia dal governo dei tecnici guidato dal Professor Monti.

L’obiettivo dell’aumento dell’Iva è quello di recuperare risorse per lo Stato. Si stima che potrebbero arrivare alle Casse dell’Erario circa 4 miliardi di euro.

► L’aumento dell’Iva potrebbe essere rinviato di tre mesi

È possibile? Forse sì, se la situazione economica dovesse migliorare ma le esperienze precedenti ci dicono che si tratta di una possibilità piuttosto remota: lo scorso anno l’Iva era stata già aumentata ma il gettito per le casse dello Stato, invece di aumentare di pari passo, è diminuito di 3,5 miliardi di euro, a causa del crollo dei consumi delle famiglie.

 

Cosa aumenta e cosa no con l’aumento dell’Iva

 La maggior parte dei beni di consumi vedranno aumentare il loro prezzo dal primo luglio, giorno in cui è previsto l’aumento dell’Iva di un punto percentuale, che passerà, quindi, dall’attuale 21% al 22%. Non tutti i beni di consumo saranno interessati da questo aumento, infatti si salveranno i beni di prima necessità la cui imposta agevolata attualmente vigente resterà invariata.

► Per il blocco dell’ Iva servono 8 miliardi

Tra questi generi di consumo ci sono gli alimenti come pane, pasta, formaggi e verdura e gli immobili adibiti a prima abitazione, che conserveranno l’aliquota al 4%.

Aliquota Iva invariata al 10% anche per beni e di servizi definiti intermedi come la carne, il pesce, i medicinali o il caffè del bar.

A subire il balzello dell’Iva che si riverserà sul costo del prodotto finale saranno i generi non di prima necessità, tra i quali figurano elettrodomestici, vino, oggetti hi-tech, vestiti e veicoli a motore.

Facendo un rapido calcolo, quando si acquisterà, dopo il primo luglio, una bottiglia di vino dal costo unitario, prima dell’aumento dell’Iva, di 10 euro, il prezzo da pagare sarà di 10,8 euro. Un televisore da 500 euro ne arriverà a costare 504 euro.

► L’aumento dell’Iva potrebbe essere rinviato di tre mesi

Sembra poco, ma se si sommano tutti gli acquisti che deve fare una famiglia ogni giorno si ha la misura del peso che gli italiani dovranno sopportare.