Perché così tanta differenza tra pressione fiscale reale e pressione fiscale ufficiale?

 Molte notizie che si sono sentite anche in questi ultimi tempi danno l’Italia come il paese nel quale si pagano più tasse al mondo. Ma qual è il motivo per cui accade? E, soprattutto, per quale motivo c’è una differenza di dieci punti percentuali tra la pressione fiscale reale e la pressione fiscale ufficiale?

► Le strategie del Governo per allentare la pressione fiscale

Per capire questa discrepanza è necessario definire le due pressioni fiscali. La pressione fiscale ufficiale è quella che si ottiene dal risultato della divisione del totale delle entrate tributarie del paese per il Pil generato.

Nel caso dell’Italia questa divisione dà come risultato che la pressione fiscale ufficiale italiana e al 45%.

Però, i dati ci dicono che la pressione fiscale reale è al 55%. La motivazione di questa discrepanza così evidente sta nei 275 miliardi di euro che ogni anno vengono sottratti al paese dalla cosiddetta economia sommersa. Quindi, sempre riferendosi alla divisione precedente, il denominatore non sarà più il Pil, ma il suo valore meno l’economia sommersa.

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Questo fa sì che la pressione fiscale reale – ossia l’ammontare di tasse che realmente vengono pagate dai contribuenti, quelli in regola con fisco – sia più alta di 10 punti percentuali rispetto a quella ufficiale.

 

Le strategie del Governo per allentare la pressione fiscale

Senza ombra di dubbio, l’esecutivo guidato dal Premier Enrico Letta ha sin da subito inteso la pressione fiscale come un tema prioritario. Un nodo da sbrogliare nella matassa dei prossimi cinque anni di lavoro.

Messa in stand-by la prima rata dell’Imu di giugno sull’abitazione principale (C’è chi pagherà e chi non pagherà questo acconto), il Presidente del Consiglio e i suoi ministri stanno trattando tutti gli altri temi caldi giorno per giorno.

Uno di questi è senz’altro il discorso che verte sull’eventuale blocco dell’aumento dell’aliquota del 22% dell’Iva che a luglio, qualora non dovessero sorgere input governativi, dovrebbe salire al 23%.

Anche questo intervento, però, più che programmatico è dettato da un’urgenza.

Si tratta, dunque, sino ad ora di due punti atti all‘allentamento della pressione fiscale. Un rallentamento che in un simil periodo di crisi è fondamentale. Imu e Iva, infatti, rappresentano un cruccio per molte famiglie italiane e Letta e i suoi si sono messi subito di buona lena per dare una sterzata con due interventi.

Il Governo ha in mente una riforma più complessiva dell’imposizione fiscale, che poi è ciò che davvero serve.

Si tratta dunque di mettere in piedi un progetto immaginabile solo se si ragiona sul lungo periodo.

Il governo riuscirà ad inquadrarla? I dubbi sono molti.

Così, Letta e i suoi pensano ad una sorta di ‘compromesso’. Una via di mezzo. Si tratterebbe di una mini-riforma tale da incidere nello specifico sulle metodologie di contribuzione per le imposte. Una maniera per realizzare un piano meno aggressivo adatto a venire incontro alle numerose difficoltà finanziarie in cui attualmente molti nuclei familiari si dimenano.

Mini-riforma

Alcune misure potrebbero presto essere prese in considerazione. Si tratta, e si tratterà, di misure concernenti la riscossione dei tributi, che dunque andranno in particolar modo ad influenzare l’attività di Equitalia, che spesso in questi ultimi tempi è caduta nell’occhio del ciclone e al centro delle polemiche.

– In primo luogo il Governo vuole stabilire un limite al pignoramento che scatta sulla casa principale del contribuente inadempiente, quella in cui per intenderci egli abita, o, nel caso di un’azienda, sui beni funzionali all’attività.

L’idea è quella di permettere ancora il pignoramento dei beni o degli immobili per debiti superiori a 20 mila euro, ma non la loro vendita all’incanto. L’abitazione potrà insomma essere bloccata dal fisco, ma mai essere venduta all’asta dall’ente di riscossione, sia esso Equitalia o qualunque altro.

-Il governo desidera inoltre rivedere il cosiddetto principio del “solve et repete”, quello che impone al contribuente che vuole presentare un ricorso e avviare dunque un contenzioso con l’amministrazione fiscale, di versare comunque a priori un terzo del dovuto. Una prassi più volte contestate e che l’esecutivo vorrebbe abolire almeno per i contribuenti che non sono mai caduti nella rete delle contestazioni fiscali o in accuse di evasione.

– Consentire una maggiore diluizione dei pagamenti elevando i termini delle eventuali rateizzazioni è un’altra delle misure sulle quali si sta lavorando. In un periodo di crisi come questo sono diverse le famiglie che vorrebbero pagare eventuali arretrati fiscali, ma che sono impossibilitate a farlo per carenza di liquidità. L’idea dell’esecutivo è allora quella di aumentare il numero possibile di rate con cui pagare un debito, che oggi è fissato in 72, ossia in un termine temporale di sei anni. In questo contesto potrebbe essere modificata anche la norma che impone che il valore minimo di una rata sia pari a 100 euro, riducendo questo importo a valori anche più modesti.

-Dovrebbe poi essere prevista una maggiore tolleranza nei confronti dei pagamenti mancati. Oggi se si salta il versamento di due rate consecutive, si decade automaticamente dal beneficio della rateizzazione. Secondo i progetti del governo questo limite dovrebbe essere aumentato a tre, con l’aggiunta però di un limite complessivo di cinque rate eventualmente non pagate nell’arco dell’intero periodo di rateizzazione.

-Potrebbe essere rivalutata, stavolta con un occhio di favore a chi deve incassare, la norma che elimina la riscossione coatta per i crediti inferiori a 2.000 euro. Tenendo infatti presente che in questo limite ricadono tutte le multe e gran parte delle imposte comunali, attualmente i sindaci rischiano di vedersi tagliata una grossa fetta dei propri introiti. Si tratterebbe dunque di una misura di perequazione, che in definitiva andrebbe comunque a favore dei contribuenti onesti.

Riforma del catasto

Il tema è stato posto con forza qualche giorno fa dal direttore dell’Agenzia delle entrate Attilio Befera che ha definito l’attuale sistema di rendite iniquo. Un problema per il quale il governo ha subito dimostrato attenzione, anche se i tempi di una tale riforma sono stati valutati dallo stesso Befera in almeno cinque anni, uno spazio temporale fuori dalla portata dell’attuale esecutivo, che potrà dunque eventualmente solo iniziare il processo di riforma.

Equitalia

Il tanto contestato ente di riscossione dal prossimo 30 giugno abbandonerà l’attività di recupero crediti per conto dei Comuni. Solo 2.000 sindaci su 8.000 hanno però adottato contromisure adeguate. Il governo ha deciso allora di prorogare fino alle fine dell’anno l’obbligo di riscossione di Equitalia in quei Comuni ancora sprovvisti di un sistema alternativo.

Imu

Successivamente al congelamento della rata di giugno sulle prime case, rimane ancora da risolvere la questione relativa ad un’eventuale totale abolizione dell’imposta sugli immobili, almeno per quanto concerne le abitazioni principali. Per il momento il governo ha procrastinato la soluzione di questo nodo, che certamente presto tornerà d’attualità. A settembre infatti dovrebbe esserci il pagamento della seconda rata, e per allora i contribuenti dovranno sapere se pagare oppure no.

I Paesi con il miglior Better Life Index

Di questi tempi tutto, ma proprio tutto, si misura con un indicatore. A partire dal Pil, naturalmente. Il Prodotto interno lordo, però, non basta più per valutare quanto un Paese sia sano, solido e sulla via del progresso, poiché ne considera solo l’aspetto economico. Il Buthan ha pensato di integrarlo con il Fil. Tale misura, sigla di Felicità interna lorda, è un altro indicatore atto a calcolare il benessere della popolazione in virtù dell’aria e della sua eventuale qualità, della salute degli abitanti, del livello di istruzione e della quantità di rapporti sociali.

In Francia si parla di Bli, inteso come Benessere interno lordo, mentre in Inghilterra è stato introdotto il Gwb (General Wellbeing). Due elementi tali da fungere ancora una volta come integraxione del suddetto Prodotto interno lordo, così da offrire una visione globale dello stato di salute di un Paese.

Per ‘tagliare la testa al toro’, L‘Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha introdotto il Better Life Index: traduciamolo con “Indice di vita migliore” e consideriamolo come la nuova misura per valutare una Nazione. Come alla luce di 24 indicatori suddivisi in 11 diverse categorie:

abitazione;

– reddito;

– lavoro;

– partecipazione civile;

– istruzione;

– ambiente;

– amministrazione;

– salute;

– soddisfazione personale;

– sicurezza ed equilibrio tra lavoro e privato.

L‘Ocse, con questo indicatore, vuole aiutare i cittadini a ricercare in virtù di preferenze personali qual è il Paese in cui si vive meglio.

Ne viene fuori che le statistiche del Better Life Index non sono poi così distanti da quelle che si basano sul Pil.

In altri termini, i Paesi in cui si sta meglio sono a conti fatti sempre Stati Uniti, Canada, Svezia, Australia e Svizzera.

I Paesi in cui si sta peggio, a loro volta, rimangono invariati e sono sempre Messico, Turchia, Brasile, Portogallo.

Niente di nuovo sotto il sole degli indicatori.

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5 miliardi di rimborsi Iva alle imprese

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 Dopo gli ultimi dati recentemente diffusi da Standard & Poors in merito alla stretta creditizia delle banche italiane, arrivano anche le stime della Banca d’ Italia a confermare la gravità della situazione dei flussi di credito nel nostro Paese.

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 Quella del Redditometro che debutterà proprio nei prossimi giorni è stata già ribattezzata da molti “versione soft”, cioè una variante decisamente addolcita di quella che era stata inizialmente prospettata mesi addietro.