Decreto Imu-Cig: Confindustria chiede più attenzione verso la crescita

 Occorre mantenere un approccio più attento ai profili della crescita economica, in confronto a quanto stabilito nel decreto Imu-Cig.

Tale approccio sarebbe ottimo sia per i lavoratori che per le imprese. A pensarla così è il direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci, che si è espressa durante l’audizione di fronte alle commissione riunite Finanze e Lavoro della Camera sul decreto Imu-Cig.

Il termine stabilito dal decreto Imu-Cig al fine di realizzare la riforma totale della tassazione in relazione immobili «è molto breve e difficilmente renderà possibile un ripensamento complessivo della fiscalità del patrimonio immobiliare. Ciò non toglie che tale riforma possa essere avviata e che entro agosto possano essere attuati quantomeno alcuni obiettivi prioritari».

Gli immobili strumentali all’attività d’impresa non vanno trattati alla stregua patrimoni da tassare. L’imposta sugli immobili, attualmente, è penalizzante sia per le imprese, sia per le fasce meno abbienti della popolazione.

Nello specifico, per quanto concerne le aziende, Confindustria rammenta che da tempo chiede una revisione del carico fiscale che sgravi i fattori produttivi da un peso impositivo soffocante. Per tale motivo riteniamo indispensabile prevedere oggi, se non l’eliminazione, quantomeno un significativo temperamento dell’imposizione sugli immobili strumentali di impresa. Finora, ricorda Panucci, per esigenze di gettito, ci si è mossi nella direzione opposta.

Le novità al dl per lo sblocco dei pagamenti delle PA introdotte dal Senato

 Il termine ultimo per l’approvazione del decreto legge per lo sblocco del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione verso imprese, aziende e professionisti è fissato per la fine di questa settimana.

Il decreto è stato approvato questa mattina dal Senato, ma il testo ha subito delle importanti modifiche, che arrivano dopo gli emendamenti proposti ed approvati la scorsa settimana quando il decreto è stato revisionato dalla Camera.

► Approvato al Senato il decreto legge per lo sblocco dei pagamenti delle PA

Ora, prima di essere convertito in legge, il decreto per lo sblocco dei debiti delle pubbliche amministrazioni, dovrà passare per Montecitorio dove si dovrà decidere che fare delle ulteriori modifiche e poi giungere al testo definitivo.

Le novità introdotte dal Senato al Decreto Legge per lo sblocco dei pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni

Platea più ampia per la compensazione dei debiti: saranno compensati tutti i debiti tributari iscritti a ruolo entro il 31 dicembre, allungando così di 8 mesi la scadenza per la registrazione, fissata dal testo precedente ad aprile.

Proroga per la chiusura dei bilanci preventivi dei Comuni: la scadenza è stata prorogata al 30 settembre, prima era stata fissata al 30 giugno.

Estensione degli incentivi statali per le Regioni: il Patto Verticale è stato esteso fino al 2014. Provincie e Comuni avranno così la possibilità di rimodellare gli obiettivo del patto di stabilità interno con maggiore flessibilità.

Comunicazioni telematiche: la pubblica amministrazione dovrà comunicare ai creditori la data e l’importo esatto del pagamento del debito entro il 30 giugno e solo tramite posta elettronica certificata.

► Le novità del decreto legge sui debiti delle pubbliche amministrazioni

Convenzione Abi-Governo per il monitoraggio della destinazione della liquidità proveniente dal pagamento dei debiti.

30 giorni di tempo per saldare i debiti pagati con anticipazioni: le amministrazioni avranno l’obbligo di estinguere i debiti pagati con anticipazione di liquidità entro e non oltre 30 giorni dalla data dell’anticipazione.

Patto si stabilità più morbido per gli enti virtuosi: gli enti che sforeranno i limiti del patto di stabilità per il pagamento dei debiti andranno incontro a sanzioni meno severe.

Stato garante dei debiti maturati fino al 2012: in questo modo si potrà procedere più velocemente al pagamento dell’intero stock del debito.

Taglio dei fondi per le imprese per il finanziamento dei Comuni che hanno avuto tagli di risorse a causa dell’Imu: si tratta di circa 400 milioni di euro.

Stop all’Imu su immobili categoria D: impianti sportivi, teatri e capannoni di proprietà dei comuni non saranno soggetti all’Imu.

Tagli: al fine di reperire la liquidità necessaria la pagamento dei debiti saranno tagliati i fondi dei ministeri dell’Economia, del Lavoro e degli Affari esteri, il fondo per gli interventi strutturali di politica economica, i fondi per l’editoria e le risorse anche per le fonti rinnovabili.

Sono invece stati esclusi dai tagli previsti dal testo del decreto legge la scuola, la ricerca, l’Expo 2015 e i fondi per la cooperazione internazionale, anche se sono state introdotte delle riduzioni per le indennità di servizio all’estero per il personale delle ambasciate.

► Gli otto miliardi della fine della procedure di deficit devono andare alle imprese

Crediti certificabili anche per i professionisti.

Società in house: questo tipo di società potranno utilizzare la liquidità che arriva dal pagamento dei loro crediti per pagare quelli che hanno accumulato a loro volta verso imprese e professionisti.

Proroga per Equitalia: le amministrazioni potranno rivolgersi ad Equitalia per la riscossione delle imposte, compresa la Tares, fino al 1 gennaio 2014, termine entro il quale dovranno rendersi autonome.

 

 

Approvato al Senato il decreto legge per lo sblocco dei pagamenti delle PA

 Il Decreto legge per lo sblocco dei pagamenti alle pubbliche amministrazioni ha ricevuto questa mattina il sì del Senato – 247 voti a favore, 7 astenuti e nessun contrario – dopo che qualche giorno fa sono stati discussi e approvati alla Camera gli ulteriori emendamenti proposti.

► Le novità del decreto legge sui debiti delle pubbliche amministrazioni

Ora, il decreto legge dovrà tornare a Montecitorio per la terza lettura e per l’approvazione definitiva, il tutto entro la fine della settimana.

Gli emendamenti approvati

Il testo arrivato al Senato conteneva molti emendamenti proposti dai vari relatori, per la maggior parte, però, sottoposti a revisione:

pagamento dell’intero debito delle pubbliche amministrazioni entro il 2014 attraverso anticipazioni del sistema creditizio nazionale e internazionale con garanzia dello Stato;

esonero per i comuni dal pagamento dell’Imu sugli immobili di loro proprietà;

proroga di sei mesi dei poteri di Equitalia per la riscossione delle imposte contestate per conto dei Comuni;

eliminazione della riserva dello Stato sull’Imu sugli immobili di categoria D di proprietà dei Comuni;

revisione dei criteri di ripartizione del fondo sperimentale di riequilibrio e la semplificazione dei criteri per il fondo di solidarietà comunale per il 2013.

► Gli otto miliardi della fine della procedure di deficit devono andare alle imprese

 

 

Enrico Bondi futuro commissario dell’ ILVA

 Secondo il decreto salva – Ilva, proprio questo pomeriggio sul tavolo del Consiglio dei Ministri, il commissario straordinario dello stabilimento, al massimo per i prossimi 3 anni, sarà Enrico Bondi,  che deterrà, nei confronti dell’ impresa, pienezza di poteri e di funzioni, al fine di traghettare l’ acciaieria di Taranto verso tempi migliori. 

Raddoppia il fabbisogno dello Stato

 Luce rossa fissa per i conti pubblici dello Stato italiano. Dall’ inizio dell’ anno ad oggi, infatti, il divario tra le entrate e le uscite è sostanzialmente raddoppiato rispetto all’ anno precedente, passando dai 4,3 miliardi del 2012 agli 8,8 miliardi del 2013

Per il mattone è crisi nera

 Il mercato degli immobili fatica terribilmente a ripartire. Con il crollo dei prezzi, negli ultimi due anni è sparito un terzo del valore di mercato degli appartamenti. Eppure le transazioni non ripartono: Nel 2006 Si vendevano un milione di case l’anno. Ora se ne vendono la metà.

Da Venezia al Mondo

La città che soffre di più è Venezia. Ma in tutta Europa il settore, reo secondo gli economisti di aver distrutto l’economia mondiale, soffre. Non sono qui da noi.

Fine di un’epoca

Il crollo del comparto immobiliare e delle costruzioni, il cui ciclo è connesso a doppio nodo al ciclo del credito, è stato il primo segno della fine di un’era. Anche in Italia, un Paese dove non si può parlare, come in altri, dell’esplosione di una bolla che aveva drogato la crescita degli anni precedenti, la caduta è stata rovinosa e, ad oggi, densa di conseguenze per gli effetti di avvitamento che rischia di avere per l’intera economia.

45 miliardi bruciati

Il bilancio di cinque anni, tra minuscoli segni di ripresa, che avevano dato speranze nel 2009 nella fine della discesa, e il nuovo crollo intervenuto negli ultimi due anni, è solo l’ultima disfatta.

Sono 45 i miliardi di euro persi, un terzo del valore perso fino al 2012, con la prospettiva di un 2013 che non andrà molto meglio.

Inoltre, nel 2006 le compravendite erano state poco più di un milione di case, oggi sono ridotte a 530 mila. Dimezzate, dunque.

I prezzi sono stati tagliati di un terzo, in Italia e nelle grandi città. Circa mezzo milione di invenduto nelle nuove costruzioni tra i 60 e i 70 miliardi di euro fermi. Riprendere tutto con questo arretrato è cosa ardiua. A ciò si aggiunga una caduta di investimenti nel settore delle opere pubbliche, e il quadro (tragico) è completo.

Ecco quanto ci costa mantenere gli onorevoli

 Il processo di abolizione del finanziamento pubblico ai partiti è iniziato, anche se sarà spalmato in tre anni. La dieta dei soldi ai politici, dunque, è stata avviata.

Ma la strada da fare per diminuire i costi degli organi costituzionali è interminabile.

Si pensi, nello speficio, ai costi sostenuti dai contribuenti per il funzionamento della Camera e del Senato.

Durante lo scorso anno, il Parlamento nel suo insieme è costato al bilancio dello Stato un miliardo e mezzo di euro. Si tratta in altri termini dello 0,1% del Pil se ne è andato per il funzionamento delle due assemblee legislative. Troppo.

Il cambiamento, tuttavia, è nell’aria. A partire dal fatto che i presidenti Boldrini e Grasso appena insediati si sono tagliati lo stipendio del 30 per cento.

Sono arrivati anche, presso la Camera, tagli sulle cariche interne dei deputati e sui contributi finanziari ai gruppi parlamentari per 8,5 milioni di euro. Ma in sostanza ancora si risparmia solo l’1 per cento. Una goccia nel mare.

Dal 2013 rispamio secco del 5 per cento. Occorre solo questo per parlare di rivoluzione copernica per i costi della politica? Assolutamente no. Le misure sono fragili, con scarso valore.

Camera e Senato costano ancora troppo e sono molte le ricerche che dimostrano che il nostro Parlamento costa il doppio rispetto alle assemblee dei nostri partner europei.

In soldoni ciascun addetto alla Camera, dal barbiere, all’autista, al commesso fino al segretario generale ha uno stipendio medio annuo lordo di oltre 150mila euro. Diecimila euro al mese per 15 mesi. Nessuna impresa privata o pubblica al mondo si può permettere il ‘lusso’ di pagare ogni dipendente una cifra così alta.

Se, poi, agli stipendi sommiamo i contributi il costo è di 287 milioni. Sommando anche pensioni degli ex-dipendenti, che costano altri 216 milioni, il prezzo sale a 500 milioni di euro. Un’enormità.

Pagamento deputati

Continuando, tra indennità e pensioni, per il pagamento dei deputati la Camera spende 300 milioni. Di conseguenza, del miliardo che lo Stato mette a disposizione ogni anno, 800 milioni servono solo a pagare stipendi e pensioni (d’oro entrambe a deputati e dipendenti).

La strada per diminuire i costi della politica è, come ben vediamo, infinita.

Tagliare le spese per 60 miliardi: ecco la soluzione per salvare l’Italia

 Uscire dalla crisi. Non si parla d’altro. C’è chi crede che il viatico sia costituito dagli eventuali quattro miliardi spesi per l’Imu sulla prima casa che, una volta restituiti agli italiani, rappresenterebbero una strategia per tornare ai bei tempi.

Con ogni probabilità, però, non basteranno. Rappresentano anzi soltanto lo 0,5% in relazione a un bilancio Statale di 800 miliardi.

Il Pil ha fatto registrare durante lo scorso anno un crollo di 2,4 punti percentuali e le stime Ocse fanno presente un -1,8% per l’anno in corso. A ciò si aggiunga che dal 2007 il crollo della ricchezza italiana si è aggirato in media a 160 miliardi di reddito nazionale in meno.

La domanda interna è caduta in soli dodici mesi del 4%, 3 milioni di disoccupati, le aziende chiudono, la produzione industriale è calata del 25% dall’inizio della crisi e 60 miliardi di credito negato a imprese e famiglie solo nell’ultimo anno, sono una goccia nel mare.

La verità è che al fine di cambiare marcia e lasciare il baratro al quale è destinato il Paese bisognerebbe avere ben altro. Servirebbe un drastico allentamento della pressione fiscale che restituisca soldi a famiglie e imprese. Difficile prevederlo. Solo il taglio dell’enorme cuneo fiscale che grava su imprese e lavoratori, il taglio dei contributi previdenziali del 2,5%, graverebbe allo Stato di ben 16,7 miliardi.

Per avere impatti significativi il taglio dovrebbe collocarsi almeno al 5% e quindi con un costo di 33 miliardi. Una manovra che permetterebbe a un lavoratore di 50 anni con un reddito di 50mila euro lordi di avere 833 euro in più in busta paga e consentirebbe al datore di lavoro di risparmiare 1.600 euro su quel lavoratore.

63 anni per l’uscita dalla crisi

 E’ un Paese che auspica di riprendersi economicamente nel 2014. Lo dicono i maggiori istituti di statistica.

Ma in realtà, per tornare ai livelli pre-crisi (quelli del Pil del 2007) ci vorrebbero 13 anni.

E ci vorrebbero ben 63 anni per tornare al Pil dell’occupazione.

Lo rivela Riccardo Sanna, in uno studio effettuato dall’Ufficio economico della Cgil intitolato “La ripresa dell’anno dopo – Serve un Piano del Lavoro per la crescita e l’occupazione”. In altre parole solo nel 2076 si tornerebbe alle 25.026.400 unità di lavoro standard nel 2007.

La ricerca propone alcune ipotesi di ripresa, nell’ottica del trend attuale e senza prevedere cambiamenti significativi di natura economica. Né cambiamenti a livello italiano o europeo. Il tutto ai fini di esporre l’urgenza di un cambio di programma che parta dal lavoro per produrre crescita.

Lo studio muove dalla situazione di contesto. Dal 2008 il Prodotto interno lordo, come afferma lo studio, ha perso in media 1,1 punti percentuali ogni anno mentre i posti di lavoro sono calati di oltre 1,5 milioni rispetto al 2007.

I salari lordi sono giù dello 0,1% ogni anno (quelli netti lo 0,4%), la produttività è mediamente in rosso del -0,2%, così come gli investimenti calano, sempre in media, di 3,6 punti l’anno.

Ecco, dunque, spiegato il quadro di riferimento sul quale innestare le previsioni macroeconomiche dell’Istat, a prescindere dalla congiuntura internazionale, e calcolare di conseguenza quanto tempo ci vorrà ancora per parlare di ripresa e recuperare il livello pre crisi.