Le “sirene” cinesi ammaliano Telecom

Per Telecom c’è un’importante offerta: quella del miliardario cinese Li Ka Shing, che contempla la fusione di Telecom con la sua H3G.

La trattativa con Li Ka Shing proseguirà su un via parallela. Prima c’è da capire come si andrà avanti per ciò che riguarda l’operazione dello scorporo sulla Rete.

Si ipotizza una quotazione della società della Rete con una quota dell’Ipo (offerta pubblica iniziale) riservata al Fondo Strategico. In questa maniera a determinare il valore dell’infrastruttura sarà direttamente il mercato. Ad essere scorporata e societarizzata, comunque, non dovrebbe essere l’intera rete, ma solo il cosiddetto “ultimo miglio”, quello che va dagli armadietti nelle strade fin dentro le case. Quanto può valere? Le stime che circolano sul mercato parlano di 14 miliardi, inclusi 10 miliardi di debito che dovrebbero essere trasferiti nella newco.

Il fondo, tuttavia, può soltanto acquistare quote di minoranza.

Tuttavia, scorporare la rete e quotarla successivamente sul mercato potrebbe complicare le cose. Se Li Ka Shing dovesse diventare il socio di maggioranza di Telecom, è palese che il governo non potrebbe comunque permettere che a controllare l’infrastruttura (anche con il 60%) fosse l’imprenditore cinese. Il punto è che una volta quotata la rete, l’unico modo per sottrarla a Li Ka Shing sarebbe una costosa offerta pubblica d’acquisto. La strada per l’integrazione di 3, insomma, sembra essere decisamente in salita.

 

L’Europa non è più una priorità per gli italiani

 Il 53% degli italiani non sente più l’appartenenza all’Unione Europea come un’opportunità di sviluppo, bensì come uno svantaggio. E un italiano su due teme che in futuro non sarà in grado di garantirsi «condizioni di vita dignitose».

Nel contempo l’Europa fatica a uscire dalle sabbie mobili. La crisi la consuma ormai da sei anni.

Nel frattempo l’indagine Ipsos-Publicis “Gli europei e la fine della crisi” commissionata da sei importantissimi quotidiani europei, Sueddeutsche Zeitung, Le Monde, Gazeta Wyborcza, El Pais e il Guardian, vede l’Italia come uno Stato immerso in un pessimismo più accentuato rispetto a quello che affligge i cittadini del resto d’Europa. E due italiani su tre non credono che le ricette adottate per superare la recessione saranno efficaci (nella Ue è il 58%). Il 73% pensa anzi che il nostro Paese ne uscirà «lievemente» o «fortemente» indebolito (contro il 66% della media europea).

Al di là della contingenza, del pessimismo delle prospettive a breve (il 26% pensa che peggioreranno «molto”, il 52% «lievemente») è come se si respirasse ovunque un clima da cambio di paradigma, da «fine dell’eta dell’oro». Soltanto l’Est Europa si salva dalla sensazione – ancora una volta più forte in Italia che negli altri 26 Paesi dell’Unione -. che stia tramontando un’era, che le generazioni future staranno peggio.

Sono cambiate molto anche le abitudini degli italiani, nel corso della Grande crisi. Consumano e sprecano meno. Tuttavia, tirano la cinghia ma non rinuncerebbero mai allo stipendio.

Prime richieste per il rimborso dei debiti delle Pubbliche Amministrazioni

 Un decreto stilato e firmato in fretta e furia quello che obbliga le Pubbliche Amministrazioni a pagare i debiti contratti nei confronti delle aziende e delle imprese italiane.

► Primi problemi per lo sblocco del pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni

Fin dall’inizio il decreto non ha riscosso molto consenso, né da una parte né dall’altra, ma, data la situazione critica in cui versa l’economia italiana, della quale le imprese sono la colonna portante, ci si è adattati e sono iniziate a pervenire le prime richieste di pagamento dei debiti contratti alla Cassa Depositi e Prestiti.

Lo fanno sapere dal Ministero del Tesoro che, in una nota di poche ore fa, riferisce  che sono già pervenute oltre 1.500 domande per un totale di circa 6 miliardi di euro da restituire.

Sul totale delle richieste pervenute la maggior parte è arrivata dalle Amministrazioni Comunali, 15 sono le domande presentate dalle Amministrazioni provinciali e 25 le richieste degli altri Enti locali.

► Chi pagherà i debiti delle imprese?

Questi soldi non ci sono tutti: il decreto prevede per il Fondo dedicato agli Enti locali risorse per un totale di 4 miliardi di euro da erogare in due anni, quindi, al momento, la soluzione è stata quella di dividere quanto disponibile tra tutti i richiedenti.

Le prime anticipazioni di liquidità saranno erogate entro il prossimo 15 maggio e  saranno effettuate a seguito del perfezionamento dei relativi contratti.

 

Calzedonia vuole acquistare La Perla

Le trattative sono partite bene, al punto che i due soggetti in questione (Calzedonia e La Perla) hanno diramato una nota congiunta rendendo pubblico il fatto di aver avviato un discorso “in esclusiva, diretto a definire termini e condizioni di un eventuale accordo di acquisizione”.

La Perla è un brand di gran lusso, dotato però di una fragilissima struttura finanziaria e decisamente non in buona salute. Dal 2007 il gruppo è di proprietà del fondo di investimento americano Jh partners, ma l’intervento del partner finanziario (che ha investito circa 50 milioni di euro nella società) è riuscito a risollevare i conti del gruppo bolognese.

C’è di più, i numerosi tagli all’occupazione non si sono tradotti in un miglioramento del quadro generale, al punto che il fatturato è passato da 183 milioni pre-cessione agli attuali 107 milioni, a fronte di 70 milioni di debiti, bilanci in rosso da anni e molti dipendenti in cassa integrazione. Attualmente il grupo La Perla ha 1.400 dipendenti, di cui 590 solo nel sito bolognese. E proprio in questo settore di sono concentrate molte preoccupazioni per i risvolti di natura occupazionale, peraltro anche in seguito a relazioni con la proprietà non sono sempre semplici.

Attualmente, la possibile svolta potrebbe portare in ballo Calzedonia. Il brand veronese ha oltre 1.400 negozi in tutto il mondo, e 20 mila dipendenti, di cui 2.200 in Italia. Nelle trattative per rilevare La Perla è assistita da Goldman Sachs e dallo studio legale Latham & Watkins.

Una carta di credito per le spese dei deputati

 E’ questa la proposta fatta dal Movimento 5 Stelle durante l’incontro che si è tenuto oggi con il collegio dei questori alla Camera.

Come ha spiegato vicecapogruppo grillino, Riccardo Nuti, di tratterebbe di una carta di credito dedicata che i deputati potranno utilizzare per le spese di vitto e alloggio.

► Taglio dei costi della politica, si inizia dal Quirinale

In sostanza si tratta di sostituire la diaria che percepiscono i deputati con una carta di credito dedicata, che abbia un tetto di spesa massima prefissato. Grazie a questa innovazione, dicono i grillini, sarebbe possibile avere una rendicontazione in tempo reale delle spese sostenute e controllare, così, che tali spese rientrino effettivamente in quelle previste dalla diaria.

E’ una proposta, questa, che si inserisce nella battaglia che stanno conducendo i grillini per la riduzione dei costi della politica ed è anche una risposta alle ritrosie dei parlamentari sul taglio delle indennità e alla proposta del conto corrente fatta qualche giorno fa.

► Un conto corrente per versare le indennità dei grillini

Nuti, comunque, non manca di rilanciare un altra provocazione, ossia la  “riduzione dell’indennità” per tutti i deputati, che dovrebbero essere parametrate agli stipendi pubblici, e non a quelli dei magistrati, e con gli aumenti in base agli indici dell’Istat.

Il passaparola guida i consumi degli italiani

 Un approfondito sondaggio condotto dal gruppo Accenture, il Consumer Pulse Research Survey, ha recentemente indagato le scelte di consumo di 12 mila consumatori in ben 33 Paesi del mondo.

Dal survey internazionale è così risultato che il 78% degli italiani si affida, ormai, prima dell’ acquisto, al passaparola per informarsi su prodotti relativi a Ict, utility, finanza, assicurazioni, beni di consumo e turismo.

Il risparmio per i viaggi parte da internet

E questo, in Italia, a differenza di altri Paesi, avviene soprattutto in relazione agli acquisti che vengono effettuati attraverso il web.

In questo processo, ovviamente, ricoprono un ruolo fondamentale soprattutto i motori di ricerca e i social network. Questi ultimi, in particolare, offrono ai consumatori la possibilità di affidarsi sia alle opinioni delle persone che si conoscono, sia a quelle degli utenti che non si conoscono. Ad ogni modo i social sono per i consumatori un modo veloce per apprendere di più su ciò che si desidera acquistare.

Attenti alle compagnie assicurative false

Dal sondaggio internazionale, tuttavia, è risultato anche chiaro il fatto che il passaparola online interviene immediatamente anche in caso di problemi riscontrati con il customer service, sul quale molti utenti – circa l’ 80% – postano anche commenti online.

In ambito di CS, infatti, i consumatori italiani e non apprezzano molto affidabilità ed efficienza in relazione al cambio e alla fornitura di beni e servizi.

Le proposte di Confesercenti per il rilancio dell’economia

 Confesercenti ha commentato questa mattina la Risoluzione di maggioranza sul Def votata nelle ore precedenti da Camera e Senato, avanzando alcune proposte per il generale rilancio dell’ economia italiana.

L’ economia italiana, infatti, soffre da molto tempo di problemi di produttività e competitività delle PMI, affossate, oltre che dalla perdurante crisi, anche dall’ aumento della pressione fiscale, dal calo del potere d’ acquisto e da una serie di problemi strutturali e infrastrutturali.

> L’allarme di Confesercenti sui consumi

Per Confesercenti il nodo della questione risiede nella ripresa del mercato interno, che dovrebbe essere incentivato attraverso delle azioni mirate che vadano a intervenire in particolare su pressione fiscale e mercato del lavoro.

Sondaggio Confesercenti su crisi

Per questo motivo Confesercenti ha elaborato una serie di 4 proposte per promuovere il rilancio dell’ economia del Paese. Le proposte prevedono quindi di:

  1. abolire definitivamente l’ aumento dell’ aliquota dell’ IVA previsto per il mese di luglio 2013;
  2. riportare il valore dell’ aliquota dell’ IVA al 20% in modo tale da non deprimere ulteriormente i consumi ma di incentivarli;
  3. ridurre al più presto la pressione fiscale su famiglie e imprese, incentivando politiche di taglio delle spese pubbliche attraverso ulteriori interventi di spending review;
  4. ridurre il costo del lavoro in modo da incentivare l’ occupazione e incrementare i livelli di produttività.

In crescita il numero dei fallimenti in Italia

 A partire dall’ inizio del 2013 sono state circa 42 al giorno le imprese italiane costrette al fallimento dalla morsa della crisi economica che ha investito il Paese. 

I dati relativi ai crack e alle chiusure sono andati, infatti, decisamente peggiorando da gennaio ad oggi. Lo rileva Cerved Group, che per il Sole 24 Ore monitora ogni giorno la precaria e ormai compromessa situazione dell’ imprenditoria italiana, prevedendo che, qualora non si verificassero alterazioni in quello che sembra ormai essere un trend di stagione, il numero delle imprese fallite entro fine 2013  ammonterebbe a più di 14 mila unità, cioè circa 2000 realtà in più rispetto ai numeri del 2012. 

> La fiducia delle imprese manifatturiere in calo

Il numero dei fallimenti in Italia è dunque in crescita del 12,2% e, solo nelle ultime settimane, addirittura del 16,2% rispetto ai dati relativi all’ anno precedente.

> Imprenditoria femminile in calo

Le cause di questo preoccupante fenomeno sono da rintracciare, però, in una serie congiunturale di elementi negativi, che disegnano un quadro sicuramente non entusiasmante dell’ intera economia italiana: il costante calo della produzione industriale che dura oramai da molti mesi consecutivi, la pesante riduzione dei consumi e degli investimenti produttivi, la frenata nel settore delle esportazioni, l’ incremento delle ore della cassa integrazione e i blocchi ancora operanti sulla concessione del credito.

L’allarme di Rete Imprese per le imprese italiane

 Rete Imprese lancia un appello al Governo e alla politica tutta per ciò che sta succedendo alle imprese italiane: nel 2013 potrebbero chiudere 250mila attività commerciali e dell’artigianato con la perdita di 650mila posti di lavoro, fatto che si aggiunge alla perdita di 26,6 miliardi di Pil e 22,8 miliardi di consumi.

Una situazione gravissima generata da una crisi che si è trasformata in una recessione che intrappola le imprese sulle quali, inoltre, pesa un carico fiscale ormai intollerabile, la mancanza di credito e anche la macchinosa burocrazia italiana.

Le imprese italiane, denuncia Rete Imprese, a causa di questa situazione, non possono essere competitive sul mercato internazionale, come dimostra la perdita, negli ultimi sei anni, della competitività.

Una situazione che, però, può ancora essere invertita, ma solo se si riuscirà ad evitare il balzello fiscale previsto per l’estate che prevede l’aumento dell’Iva, la Tares e l’Imu. Il governo deve agire in fretta, commenta Carlo Sangalli, presidente di Rete Imprese Italia, e il fisco è la prima delle quattro priorità per il salvataggio delle imprese italiane che prevedono, dopo la riduzione delle tasse, la concessione di maggiore credito, la semplificazione e gli incentivi al lavoro.

Calano il fatturato e gli utili di Enel

 In Italia il primo trimestre del 2013 si è chiuso con una netta diminuzione delle vendite di energia elettrica, che hanno comportato, di conseguenza, un calo del fatturato e degli utili del gruppo Enel.

Le vendite di energia elettrica in questi ultimi tre mesi hanno infatti subito un decremento del 7,1% in relazione al mercato italiano, francese e spagnolo, mentre gli utili netti (852 milioni di euro) hanno visto una diminuzione del 26,2%, accompagnato da una perdita del’ 1,5% nel fatturato.

Cresce l’utile di Enel Green Power

Al calo della domanda di energia in Italia e in Spagna ha fatto poi seguito anche un calo della produzione della stessa pari all’ 8,9% , sia per quella estera che per quella italiana, e  un calo della distribuzione.

> Enel Energia cerca agenti

La situazione che sta interessando il gruppo Enel può essere dunque letta in questo modo: il calo dei ricavi del gruppo è imputabile principalmente al calo dei ricavi dalla vendita di energia che non sono stati sufficientemente compensati dai ricavi del trasporto dell’ energia e da quelli derivanti dalla sua produzione.

Infine l’ Ebitda, cioè il margine operativo lordo del primo trimestre del 2013 (4.077 milioni di euro) segna una contrazione del 4,2% rispetto all’analogo periodo del 2012 e riflette la riduzione del margine di generazione in Italia e Spagna.