Disoccupazione italiana record a gennaio 2013

 L’Istat ha reso noti i dati relativi alla percentuale di disoccupati e degli occupati presenti nel nostro Paese in relazione al primo periodo del 2013, dunque al mese di gennaio.

Mario Draghi su occupazione e euro

La tendenza generale vede dunque un aumento dei disoccupati italiani del 3,8%, che così raggiungono esattamente i 2 milioni e 999 mila con un incremento di 110 mila unità rispetto al precedente mese di dicembre.

Per quanto riguarda il fenomeno della disoccupazione in Italia si registra quindi un aumento del 22,7% su base annuale, pari all’incirca alle 554 mila unità, tra le quali sono compresi sia individui di sesso maschile che individui di sesso femminile. In generale, quindi, il tasso di disoccupazione nel nostro Paese diventa pari all’11,7% con un incremento dello 0,4% rispetto al mese di dicembre e del 2,1% rispetto all’anno precedente.

> > Record di licenziamenti per il 2012

Per quanto riguarda invece i dati relativi all’occupazione, l’Istat  rileva che nel mese di gennaio 2013 gli occupati italiani erano 22 milioni e 688 mila con un calo dell’occupazione pari allo 0,4% rispetto al mese di dicembre che corrisponde a 97 mila unità in meno. Su base annuale questo dato si traduce invece in un calo dell’1,3% pari alle 310 mila unità.

Il tasso di occupazione del nostro Paese è dunque pari al 56,3% con cali dello 0,3% rispetto al mese precedente e dello 0,7% rispetto all’anno precedente.

La crisi economica e i rischi per l’Italia secondo i Servizi Segreti

 Quello che esce dalla Relazione 2012 sulla politica dell’informazione per la sicurezza degli 007 italiani sulle condizioni del paese e i possibili sviluppi futuri è davvero drammatico: la crisi economica che continua ad imperversare nel paese sta mettendo a serio rischio la stabilità sia dell’economia che quella sociale.

Secondo l’intelligence italiana, infatti, c’è la concreta possibilità di tentativi di assalto da parte di gruppi esteri industriali al “made in Italy”, di infiltrazioni mafiose all’Expo 2015 e nelle Grandi Opere.

In più, le difficoltà occupazionali e la crisi delle aziende stanno minando la fiducia dei lavoratori nei loro rappresentanti sindacali, dando così spazio a rivendicazioni dal basso e all’inserimento di gruppi antagonisti già territorialmente organizzati per intercettare il dissenso e incalanarlo verso ambiti di elevata conflittualità.

Un eventuale inasprimento delle tensioni sociali legate al perdurare della crisi potrebbe indurre le componenti eversive dell’estremismo marxista-leninista, oggi marginali, ad intensificare gli sforzi per superare divergenze e frammentazioni interne e a tentare di inserirsi strumentalmente in realtà aziendali caratterizzate da forti contrapposizioni per allargare l’ambito di influenza. Ciò in un ottica che individua quale potenziale e remunerativo bacino di reclutamento, oltre che la storica ‘classe operaia’, anche il ‘nuovo proletariato’, tra le cui file particolare attenzione viene riservata ai lavoratori extracomunitari.

Le componenti eversive ad oggi latenti, infatti, stanno approfittando della luce dei riflettori puntata sulla crisi economica per

alimentare una progressiva radicalizzazione delle istanze contestative, accreditare la diffusione di nuclei eversivi e verificare eventuali reazioni di ambienti ideologicamente contigui.

Terrorismo interno ed esterno, secondo il Dis, ma anche il solito problema dell’Italia e delle varie cosche malavitose presenti sul territorio, le quali, come è anche emerso più volte recentemente, stano lasciando i loro paesi di origine per spostarsi verso il Nord o per cercare, comunque, possibilità collusive con le pubbliche amministrazioni.

I gruppi criminali continuano a ricercare contatti collusivi nell’ambito della pubblica amministrazione, funzionali ad assicurarsi canali di interlocuzione privilegiati in grado di agevolare il perseguimento dei loro obiettivi economici e strategici, quali il controllo di interi settori di mercato e il condizionamento dei processi decisionali, specie a livello locale.

Gli obiettivi della criminalità organizzata di stampo mafioso sono l’Expo milanese del 2015, le grandi opere di edilizia pubblica, soprattutto le opere di riqualificazione delle rete stradale, autostradale e ferroviaria, e il settore delle energie rinnovabili

 

 

Agcom dà il via libera alla banda larghissima

 L’Agcom -Autorità garante delle comunicazioni- ha deliberato ieri dando il via libera alla banda larghissima in Italia. La delibera, molto probabilmente, non renderà felice Telecom, che ha visto abbassare i prezzi proposti per l’utilizzo delle sue infrastrutture da parte delle compagnie telefoniche concorrenti.

► Moody’s declassa Telecom

La delibera dell’Agcom, infatti, prevede che tutti gli operatori sappiano quanto dovranno pagare a Telecom per usufruire della sua rete, in modo da poter, anche loro, preparare le offerte da offrire agli utenti e, in secondo luogo, la possibilità per Telecom di estendere la sua offerta per la fibra ottica ad altre 30 città italiane, oltre alle quattro già servite (Roma, Milano, Napoli e Torino).

Perché, allora, Telecom dovrebbe non essere soddisfatta?

Il primo motivo è che il Garante ha nettamente abbassato il prezzo deciso da Telecom per l’accesso di virtual unbundling (Vula) agli armadi di strada con la fibra (tecnologia Fttc): una riduzione del 31% che porta il prezzo mensile per i concorrenti a  21,51 euro al mese.

Il secondo motivo è che l’Agcom ha abbassato anche i prezzi Telecom per l’accesso alla sua rete Ftth e , molto probabilmente, il Garante deciderà per nuove riduzioni del prezzo entro giugno 2013, per poi proseguire con una roadmap di riduzioni per i prossimi tre anni.

► Network Unico Compagnie Telefoniche Europee

In sostanza, quello che intende fare l’Agcom, con maggior decisione rispetto al passato, è di garantire una ampia concorrenza sui prezzi a favore di tutti i gestori, non solo per Telecom, favorita perché detentrice delle infrastrutture necessarie.

 

 

Standard&Poor’s sospende il rating della capitale

 L’agenzia di rating Standard & Poor’s ha preso la decisione di sospendere il giudizio su Roma e la sua situazione economica in quanto non in grado di poter emettere un giudizio sul suo debito per mancanza di informazioni.

► Per Moody’s l’Italia rischia il downgrade

In realtà Standar & Poor’s il suo giudizio lo ha emesso –BBB+ con outlook negativo– ma è l’ultimo se l’amministrazione della capitale non farà in modo di rendere accessibili le informazioni sul debito diretto. Il tempo a disposizione è di tre mesi, termine entro il quale Roma dovrà fornire le informazioni mancanti.

Ecco quanto si legge nella nota di S&P:

A causa della mancanza di sufficienti informazioni sulla maggior parte del debito diretto di Roma, rappresentate dalle passività attualmente gestite dall’ente pubblico Gestione Commissariale, abbiamo sospeso il rating sulla città” spiega l’agenzia.

Standard & Poor’s non può, in questa situazione, sorvegliare la situazione economico-finanziaria della capitale e, nel caso in cui nei tre mesi di tempo a disposizione, l’amministrazione competente non darà le informazioni richieste, molto probabilmente il rating verrà ritirato.

Reazioni contrastanti dai diretti interessati. Secondo Carmine Lamanda, assessore alle Politiche Economiche di Roma, quanto detto da S&P vuole dire semplicemente che, dopo aver dato il suo giudizio, l’agenzia si riserva del tempo per acquisire ulteriori informazioni per un giudizio sull’andamento della gestione commissariale.

► Usa fanno causa a Standard & Poor’s

Mentre per Alfredo Ferrari, vicepresidente della Commissione Bilancio del Comune, si tratta di una richiesta per nulla velata di una maggiore trasparenza per il debito della capitale:

Inaccettabile constatare che una agenzia di valutazione  sia costretta a ricercare le cifre perché l’amministrazione non le fornisce. È ora che Alemanno e il suo assessore al Bilancio, Carmine Lamanda, rendano note anche all’assemblea capitolina le informazioni che S&P chiedono. I cittadini non possono pagare la mancanza di trasparenza scelta dalla errata gestione del centrodestra.

Finita l’operazione di emissione dei Monti Bond

 Una nota del Monte dei Paschi di Siena ha reso noto che è stata completata l’operazione di emissione dei Monti Bond. Quindi l’indiscrezione di Bloomberg di ieri mattina -secondo la quale l’emissione dei titoli sarebbe stata rimandata al nuovo governo- si è rivelata totalmente priva di fondamento, come confermato durante la serata.

► Confermata l’emissione dei Monti Bond entro il primo marzo

Secondo quanto riportato dalla nota di MPS l’ammontare complessivo dell’emissione è stato di di 4,071 miliardi di euro. Di questi 1,9 miliardi  per la sostituzione totale dei Tremonti Bond emessi nel 2009 e i 171 milioni sono i titoli emessi come pagamento anticipato al Ministero dell’Economia per gli interessi maturati sino al 31 dicembre 2012 sui Tremonti Bond.

Ma la vicenda della banca senese non si conclude certo così. Questa mattina è stato ascoltato l ‘ex presidente Giuseppe Mussari dalla Guardia di Finanza di Salerno, insieme a Franco Ceccuzzi, ex sindaco di Siena, entrambi indagati per concorso in bancarotta.

► Bankitalia e il prestito segreto a MPS

Nessun dei due ha voluto rilasciare dichiarazioni in merito a quanto chiesto dal sostituto procuratore Vincenzo Senatore e dal tenente colonnello Antonio Mancazzo, che, una volta finito l’interrogatoria, hanno secretato gli atti che riguardano il caso del prestito di 19 milioni di euro concesso alla famiglia Amato.

In Italia arriva la Tobin Tax

 Ci siamo, alla fine la Tobin Tax verrà applicata anche in Italia. C’è chi esulta e chi, invece, piange, ma ormai il dado è tratto e da domani primo marzo saranno tassate molte delle società italiane quotate in Borsa.Al momento questa tassazione è applicata da Italia, Francia, Germania, Spagna, Austria, Belgio, Portogallo, Grecia, Slovenia, Estonia e Slovacchia.

A cosa serve la Tobin Tax

L’inventore della Tobin Tax ha ricevuto anche un premio Nobel per questa sua idea, non tanto per la questione delle tasse ma per il fatto che i ricavi sarebbero dovuti essere impiegati per combattere la fame nel mondo. Forti dubbi che i ricavi che si otterranno in Italia andranno per questo nobile scopo.

Lo Stato prevede di raccogliere almeno un miliardo di euro entro la fine del 2013, ma gli analisti non sono d’accordo su questa stima. Sono infatti in molti coloro che credono che la Tobin Tax potrebbe rivelarsi un bel nulla di fatto per le casse dello Stato, in quanto quello che si guadagna da questa imposta sarà compensato da minori entrate derivanti dall’imposta sul capital gain.

A parte il dato prettamente economico, lo scopo ufficiale della Tobin Tax sarà quello di frenare le operazioni di High frequency trading.

Come funziona la Tobin Tax

La Tobin Tax sarà applicata a tutte le società italiane quotate in Borsa con una capitalizzazione superiore ai 500 milioni di euro alla data del 30 novembre 2012.

Il costo sarà a carico dell’acquirente dei titoli, ovunque sia residente e a prescindere dal Paese di provenienza dell’ordine, con un‘aliquota pari allo 0,12% sul controvalore delle operazioni di giornata e solo per le operazioni che avranno un saldo positivo rispetto al giorno precedente.

La Tobin tax sui derivati

La tassazione sui derivati sarà effettiva a partire dal primo luglio 2013 con un’aliquota variabile in base al tipo di strumento derivato -acquistato o  venduto- e in base a diversi scaglioni sul valore.

Su quali operazioni non si applica la Tobin Tax

Oltre alle società quotate con capitalizzazioni inferiori ai 500 milioni di euro, la Tobin Tax non sarà applicata a fondi, Sicav, obbligazioni, Etf, Etc e valute (Forex) e sui trasferimenti di di proprietà per successione o donazione.

Elenco delle società sulle quali si applica la Tobin Tax
A2A
Acea
Amplifon
Ansaldo Sts
Atlantia
Autogrill
Autostrada Torino Milano
Azimut
Banca Carige
Banca Generali
Banca popolare dell’Emilia Romagna
Banca popolare di Milano
Banca popolare di Sondrio
Banco Popolare
Beni Stabili
Brembo
Brunello Cucinelli
Buzzi Unicem
Campari
Cattolica assicurazioni
Cir
Credem
Credito Bergamasco
Danieli & C risparmio
Danieli & C
De Longhi
Diasorin
Ei towers
Enel green power
Enel
Eni
Erg
Exor priv
Exor
Fiat industrial
Fiat
Finmeccanica
Fondiaria Sai
Gemina
Generali
Hera
Ima
Impregilo
Indesit
Interpump
Intesa San Paolo risparmio
Intesa San Paolo
Iren
Italcementi
Lottomatica
Luxottica
Mediaset
Mediobanca
Mediolanum
Milano assicurazioni
Mps
Parmalat
Piaggio
Pirelli
Prysmian
Rcs Mediagroup
Recordati
Saipem
Salvatore Ferragamo
Saras
Sias
Snam
Sorin
Telecom Italia risparmio
Telecom Italia
Tenaris
Terna
Tod’s
Ubi banca
Unicredit
Unipol

La crisi ha colpito anche i redditi dei parlamentari

 Silvio Berlusconi si conferma comunque il leader politico italiano più ricco di sempre, anche se le sue entrate sono diminuite di circa 13 milioni di euro rispetto al 2011. Dopo di lui, nella classifica dei Paperoni della politica Mario Monti, ma con una dichiarazione dei redditi che è di circa un trentesimo rispetto a quella del Cavaliere.

► La Germania chiede di non votare Berlusconi

Sono questi i primi dati che emergono dalla lettura delle dichiarazioni dei redditi 2012, relativa, quindi, al periodo d’imposta 2011, di tutti i senatori e dei componenti del Governo diffusa oggi da palazzo Madama.

Berlusconi, quindi, si piazza primo con oltre 35 milioni di euro dichiarati -sui quali ha pagato 15 milioni 227mila euro di Irpef- seguito dal misero milione di Mario Monti (in calo di circa 400 mila euro a causa della gestione patrimoniale della Deutsche Bank). Chiude il podio dei Paperoni della politica Walter Veltroni con 235 mila euro dichiarati nel 2012.

► Mediobanca calcola il costo delle promesse elettorali

Di seguito il dettaglio dei redditi dei politici italiani

1. Silvio Berlusconi 35.439.981
2. Mario Monti 1.092.068
3. Walter Veltroni 235.063
4. Renato Schifani 222.547
5. Angelino Alfano 189.428
6. Antonio Di Pietro 174.864
5. Ignazio La Russa 166.133
7. Massimo D’Alema 164.870
8. Roberto Maroni 162.164
9. Umberto Bosso 161.542
10. Giorgia Meloni 160.940
11. Gianfranco Fini 157.549
12. Lorenzo Cesa 148.310
13. Enrico Letta 141.697
14. Pierluigi Bersani 137.973
15. Italo Bocchino 125.592
16. Pierferdinando Casini 116.074

 

Giorgio Squinzi chiede azioni forti al nuovo governo e boccia Grillo

 Un governo forte e subito. Questa è la richiesta di Giorgio Squinzi alle forze politiche che formeranno il nuovo esecutivo. Il paese non può assolutamente rimanere in una situazione di stallo che metterebbe a dura prova la resistenza dei nostri mercati agli attacchi speculativi di quelli internazionali.

► Ultimatum di Squinzi ai politici: ora servono i fatti

Giorgio Squinzi lancia un accorato appello ai vincitori delle elezioni, anche se definirli tali è improprio: un governo forte e stabile che ponga la crescita come priorità del paese. A tale scopo servono

forti interventi sul cuneo fiscale e sull’abolizione progressiva dell’Irap, in seguito saranno necessarie riforme profonde sul fisco e sulla revisione del titolo quinto della Costituzione.

Interventi, questi, che si pongono come unico mezzo di salvataggio dell’economia italiana, altrimenti destinata al declino, secondo gli obiettivi fissati da Confindustria: crescita del 2% annuo, riduzione del rapporto debito/pil al 100% e crescita del peso del manifatturiero al 20% del pil.

Le potenzialità per farlo ci sono ma è il nuovo governo che deve fare tutto il possibile perché queste si possano trasformare in realtà, con interventi decisi e coraggiosi che devono essere fatti subito, non oltre i primi cento giorni di vita del nuovo esecutivo.

► Per Confindustria il Pil peggiora nel 2013

Squinzi auspica una grande coalizione alla guida dell’esecutivo composta da Pd, Pdl e Monti. Chiusura totale a Grillo e alla sua politica:

Se applicassimo il programma di Grillo l’industria italiana sarebbe finita. Diventeremmo un Paese tra l’agreste e il bucolico. Grillo vuole bloccare le infrastrutture, noi pensiamo che si debba colmare un grave ritardo infrastrutturale.

Cessione di La7 in via di ufficializzazione

 La vicenda della cessione di La7 sembra essere giunta ad un punto di svolta. Infatti, in serata, si dovrebbe concludere il cda di Telecom che ufficializza la cessione dell’emittente televisiva all’imprenditore Urbano Cairo, patron di Cairo Editore.

► Umberto Cairo e le difficoltà del risanamento di LA7

Si tratta di una conclusione che arriva dopo un lungo periodo di trattative che hanno coinvolto, oltre a Cairo, il fondo Clessidra di Claudio Sposito e Diego Della Valle, anche se quest’ultimo è arrivato troppo tardi per poter essere preso in considerazione.

 

L’accordo per la cessione di La/ ad Urbano Cairo dovrebbe prevedere una dotazione di 95 milioni di euro, dei quali 88 relativi alla gestione industriale e 7 a costi per i dipendenti. Telecom rinuncia  ai 63 milioni di crediti che può vantare verso la controllata TiMedia relativi a La7.

L’accordo prevede che i Multiplex rimangano di proprietà di TiMedia ma che il loro affitto sia abbassato e che i contratti pubblicitari rimangano tali almeno fino al 2019. Alla fine a Telecom potrebbe non rimanere nulla in tasca nonostante fosse stato preventivato un guadagno di circa  450 milioni dall’operazione di cessione.

► Della Valle non conquista Bernabè

Se l’accordo passerà il cda, comunque, ci sarà ancora da aspettare in quanto, dovrà prima passare al vaglio di Antitrust e Agcom.

 

 

Mancati pagamenti delle imprese italiane a quota 40 miliardi di euro

 Il Pil continua a scendere e la produzione industriale cala. A questo si aggiungono previsioni per il futuro tutt’altro che rosee. La conseguenza di questi fattori è che le imprese, in modo particolare quelle più piccole, non riescono a far fronte ai pagamenti, mettendo così nelle stesse difficoltà le imprese creditrici.

► Italia, il 70% delle imprese ha problemi di liquidità

Secondo quanto osservato dal rapporto di Euler Hermes Italia (gruppo Allianz) nel 2012 sono oltre 3 milioni le aziende che soffrono di problemi di liquidità per i debiti non onorati. Il rapporto analizza la situazione del debito delle imprese secondo due parametri: la frequenza e la severità.

La frequenza dei debiti non pagati nel mercato interno è aumentata del 15% rispetto al 2012, mentre la severità (termine con il quale si indica l’ammontare dei debiti non pagati) è scesa del 3% rispetto allo scorso anno. Va notato, però, che la situazione è esattamente all’opposto se si analizzano le aziende che operano all’estero: in questo caso la frequenza è scesa del 3% ma la severità è aumentata del 16%.

► Piccole e medie imprese schiacciate dalla pressione fiscale: più della metà chiede prestiti

I settori che soffrono di più per i mancati pagamenti sono quello dell’alimentare penalizzato dall’aumento dei costi di produzione e dall’inefficienza della catena distributiva, quello dei trasporti, sul quale incide il costante aumento del prezzo dei carburanti, e quello delle automobili, che soffrono il calo della domanda. Si salva solo il sistema casa grazie alla spinta dei prodotti high-tech.