La Cina lascia l’Italia

 La crisi mina il giro di affari della comunità cinese insediata in Italia. Nelle maggiori città italiane, Roma e Milano in testa, il fenomeno è già molto evidente. Serrande chiuse nei quartieri a maggior concentrazione cinese, come già preannunciato dal Financial Times.

La ristorazione continua a tenere bene. A sentire il peso della crisi e delle rinunce degli italiani sono soprattutto i negozi di abbigliamento e di casalinghi. L’Italia, insomma, non è più l’Eldorado di qualche tempo fa, quando arrivarono i primi emigranti della profonda Asia, l’economia non gira e tenere un negozio aperto è un problema anche per i cinesi.

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Secondo le prime stime sul fenomeno, a partire per tornare in patria è la prima generazione di cinesi, i pionieri dell’emigrazione in Italia, che, in una buona percentuale, lasciano in Italia moglie e figli e si dirigono verso lo Zehjang, loro regione d’origine, attirati dalla situazione economica cinese e dal suo forte sviluppo.

I più giovani, invece, vanno a cercare altrove un’occasione di fare fortuna. Le mete predilette sono l’Africa e l’America Latina.

► Paesi in crescita nel 2013

Un dato accomuna tutti i cinesi che stanno andando via dall’Italia: nella maggior parte dei casi si tratta di un allontanamento momentaneo con previsione di ritorno non appena l’economia italiana riprenderà il suo corso.

Le rinunce degli italiani

 La situazione economica italiana, a detta degli esperti, dovrebbe iniziare a migliorare solo a partire dal 2014. Quindi anche quest’anno sarà costellato di sacrifici e rinunce che permetteranno, non sempre agevolmente, di arrivare fino a fine mese.

► Disoccupazione record dal 1992

Dopo il 2012 che ha visto una diminuzione record dei consumi, il trend continuerà ad essere lo stesso anche per questo anno in corso, quando circa la metà delle famiglie italiane si vedrà costretta non solo a rinunciare a ciò che può essere definito un lusso, ma anche a risparmiare il più possibile su ciò che serve per la vita di tutti i giorni.

Secondo l’indagine di Swg commissionata da Coldiretti il 48% delle famiglie italiane crede che la situazione economica sia destinata a peggiorare, il 42% non vede nessun miglioramento, e solo il 10% spera in una ripresa. E non si tratta solo di sensazioni, ma di dati reali che mettono ancora più in crisi un’economia che avrebbe bisogno, invece, di un’iniezione di fiducia e, soprattutto, di una buona dose di contante da spendere e da far circolare.

► Affittare camere per resistere alla crisi

Ma non c’è nulla di tutto questo e, per quest’anno, molti desideri diventeranno proibiti  Di seguito la lista delle rinunce di cui ci dovremo fare carico:

1. Abbigliamento: 53%
2. Viaggi o vacanze: 51%
3. Tempo libero: 48%
4. Beni tecnologici: 42%
5. Ristrutturazioni della casa: 40%
6. Arredamento: 38%
7. Auto/moto: 38%
8. Attività culturali: 37%
9. Generi alimentari: 17%
10. Spese per i figli: 9%

Come usare il Redditometro

A partire da quest’anno, il contribuente dovrà dimostrare che il proprio reddito è congruo a quanto stabilito dal livello di consumi controllato dal Fisco. È questa una delle priorità disciplinari alla base del nuovo Redditometro, strumento con il quale sarà applicabile la lotta anti evasione, a partire dal controllo delle dichiarazioni dei redditi firmate nel 2010.

COME FUNZIONA IL REDDITOMETRO

Evasione fiscale, a Marzo il nuovo Redditometro

Per ogni anno  da controllare, l’Agenzia delle Entrate sceglierà le categorie di contribuenti da prendere in considerazione e ne esaminerà le singole dichiarazioni. Mediante questa procedura gli ispettori utilizzeranno le banche-dati che compongono  l’Anagrafe tributaria.

Supponiamo, ad esempio che da questa verifica balzi fuori un acquisto esorbitante rispetto al reddito dichiarato da un contribuente. Cosa succede?

Visto e considerato un siffatto dato, gli ispettori capiranno come ricostruire il profilo del contribuente riempendo le caselle inerenti alle 56 voci di spesa del Redditometro.

COME LEGGERE LE VOCI DI SPESA

Sono cinquantasei. Analizziamo le prime 30 e poi le successive 26:

In merito alle prime 30voci, il Fisco avrà a disposizione statistiche fornite dalle banche-dati. Volendo fare un esempio per i consumi elettrici assumerà i dati dalle bollette.

Le ltre 26 voci di spesa sono così contemplate: il Fisco confronterà, se esistono, eventuali dati provenienti dall’Anagrafe tributaria con le medie dell’Istat relative al tipo di famiglia cui appartiene il contribuente e alla sua area geografica (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud o Isole), tra i due dati sarà preso per buono il più alto; se il dato disponibile è solo quello presuntivo dell’Istat, terrà conto di questo.

Diminuiscono i costi pubblici

Continua il trend positivo dei conti pubblici, i quali sono in netto miglioramento. A rilevarlo è l’Istat, la quale ha fornito i dati del terzo trimestre del 2012.

Le statistiche parlano di un indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche in rapporto al Prodotto interno lordo (parliamo dei dati grezzi) il quale è stato pari all’1,8%, facendo dunque scaturire un risultato inferiore di 0,7 punti percentuali rispetto a quello del corrispondente trimestre di due anni fa.

Un ottimo passo in avanti, dunque, si è verificato tra il 2011 e il 2012.

Nei primi nove mesi dello scorso anno è stato raggiunto un rapporto tra indebitamento netto e Pil uguale al 3,7%, in diminuzione di 0,5 punti percentuali rispetto al corrispondente periodo dell’anno 2011. Il dato ingloba revisioni al ribasso di tale rapporto, in rapporto alla precedente stima, di 0,3 punti percentuali per il primo trimestre e 0,4 punti per il secondo.

L‘Istat ragguaglia anche sulle cifre generali del terzo trimestre concernenti il saldo primario (ovvero l’indebitamento al netto degli interessi passivi), il quale e’ sembrato positivo e pari a 11.548 milioni di euro (+7.023 milioni di euro nel corrispondente trimestre del 2011).

Nei primi nove mesi dello scorso anno, in forma di incidenza sul Prodotto Interno lordo il saldo primario positivo e’ stato pari all’1,6% del Pil, con un miglioramento di 1,1 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2011.

Saldi principali città italiane

Si è verificato un discreto inizio per i saldi invernali. Il primo fine settimana si è concluso con un calo molto ridotto degli acquisti rispetto alle previsioni. In totale ci si aggira tra il 5 e il 10% in meno rispetto allo stesso periodo del 2012. Gli economisti pensavano che la situazione fosse peggiore.

Facciamo una panoramica delle principali città italiane.

MILANO

Il calo è molto ristretto. Lo scontrino medio si aggira intorno ai 100 euro, con una riduzione del 5% rispetto al 2012. Gli sconti arrivano fino alla metà del prezzo iniziale. I prodotti di abbigliamento più acquistati dai clienti rimangono pantaloni e maglioni. E’ la clientela che frequenta assiduamente i negozi la prima ad acquistare. Il contributo degli stranieri, in particolar modo di quelli provenienti da Russia e Oriente, è però fondamentale.

BOLOGNA

Le statistiche di Bologna parlano di uno scontrino medio intorno ai 100 euro, con una riduzione del 15% rispetto allo scorso anno. Non proprio positive, insomma queste prime giornate di saldi nella città emiliana. Sconti fino al 50% e abbigliamento come primo prodotto venduto nei negozi, anche dai turisti.

ROMA

Anche nella Capitale il primo week-end è andato discretamente. Si registra un ottimo bilancio, sempre per effetto (dei turisti stranieri, sempre più desiderosi di fare shopping nel mentre visitano la città.

Prodotti di abbigliamento più venduti: giubbotti e cappotti.

NAPOLI

Non proprio confortanti i dati rilevati nel capoluogo campano. A Napoli i saldi sono iniziati il 2 gennaio. In media, lo scontrino si attesta intorno ai 70 euro, con una riduzione del 10%. Qui, però, la fanno da padrona i capi low-cost, da sempre nelle preferenze della clientela.

Nel 2012 diminuzione record dei consumi

 I dati della Confcommercio parlano chiaro, nei primi 11 mesi del 2012 c’è stata una diminuzione dei consumi del 2,9%, che nei servizi arriva al 3,6%. Una diminuzione record quindi che non si era registrata.

Secondo la Confcommercio si dimostra come

il 2012 si avvii a essere ricordato come l’anno più difficile per i consumi del secondo dopoguerra. La riduzione è, infatti, la più elevata registrata dall’inizio delle serie storiche.

► Disoccupazione record dal 1992

La situazione emerge evidentemente dalla crisi che sta vivendo l’Italia e da una sorta di preoccupazione diffusa tra gli italiani. Anche le questioni della disoccupazione e della paura di perdere il lavoro, che spesso è precario, si legano alla contrazione dei consumi.

La Confcommercio ha detto:

Il permanere di dinamiche congiunturali negative, anche nei mesi finali dell’anno, continua a segnalare, unitamente agli altri indicatori congiunturali, come la crisi sia ancora ben presente all’interno del sistema economico. Difficilmente la nostra economia, ed i consumi in particolare, potranno cominciare a mostrare, nel breve periodo, segnali di un significativo miglioramento.

► Partono i saldi in Campania, Basilicata e Sicilia

La ripresa non è quindi prevista nel breve periodo ed è chiaro che la diminuzione dei consumi esprime la situazione di crisi che in Italia è ancora importante.

L’Ue precisa sulle critiche all’Imu

 Ieri sembrava che l’Unione Europea criticasse l’Imu perché aumenta le disuguaglianze sociale ed è quindi, in un certo senso, iniqua.

► Per l’Ue l’Imu è inutile

Dall’Ue è arrivata però subito la precisazione. La critica riguarda l’Ici e non l’Imu. La precisazione sembra dovuta più a fattori politici per la verità. Infatti, la questione dell’Imu è argomento di campagna elettorale in Italia e a volerla è stato il governo di Mario Monti, cioè un europeista convinto e uno che ha l’obiettivo non solo di salvare l’Italia ma anche quello di salvare l’Europa.

Ieri sembrava quindi che secondo l’Ue l’Imu provocava un aumento della povertà in Italia, ma ora si precisa che la causa del leggero aumento della povertà in Italia è l’Ici. È questo quanto si può leggere nel rapporto sull’occupazione realizzato dalla Commissione europea. Nel rapporto si precisa che la questione “riguarda la situazione nel 2006 e non la nuova tassa”. È questo quanto affermato in una nota dal portavoce del Commissario Ue all’Occupazione Laszlo Andor.

► Imu sì o Imu No? Il duello Monti-Berlusconi

L’Imu quindi non è bocciata e per l’Ue non incide sulla povertà. In particolare, la Commissione europea in una nota ha detto che la tassa sugli immobili che è stata analizzata ha avuto un “impatto molto contenuto (0,1%) e molto inferiore a quello della tassa inglese sulla proprietà”.

Affittare camere per resistere alla crisi

 In realtà non si tratta di un piccolo budget. Secondo le stime fatte da Immobiliare.it, infatti, affittare una delle stanze della propria abitazione può fruttare tra i 170 e i 500 euro.

Una buona entrata a cui gli italiani che hanno uno spazio in più in casa stanno ricorrendo sempre più spesso. Rispetto allo scorso anno, infatti, le famiglie che decidono di cedere privacy e spazio in cambio del pagamento dell’affitto sono cresciute del 14%, percentuale che raddoppia se confrontata con il numero relativo al 2011.

► Per l’Ue l’Imu è inutile

Secondo l’amministratore delegato di Immobiliare. it Carlo Giordano, la crescita del numero delle stanze in condivisione è un fenomeno che si può far derivare dall’Imu che ha imposto un costo aggiuntivo sulle abitazioni. Le famiglie hanno quindi deciso di dedicarne una parte per produrre reddito aggiuntivo.

► Troppe tasse scoraggiano acquisto immobili

Un fenomeno, quello delle stanze in affitto, che si mostra più frequentemente tra i lavoratori fuori sede che non tra gli studenti, in quanto questa soluzione permette di risparmiare tra i 50 e i 75 euro al mese rispetto all’affitto di una stanza in un appartamento in condivisione senza il proprietario di casa.

Ma c’è anche il rovescio della medaglia: circa la metà di questi affitti sono in nero, ossia non sono regolati da un contratto e il ‘guadagno’ delle famiglie non figura tra i redditi dichiarati

 

Per l’Ue l’Imu è inutile

Il Rapporto Ue 2012 su Occupazione e sviluppi sociali parla chiaro, l’equità per l’Imu si lega ad un reale effetto redistributivo e dovrebbe essere modificata in senso più progressivo.

Secondo gli economisti dell’Unione Europea, una modifica dell’Imu potrebbe avere un impatto apprezzabile sulle disuguaglianze se l‘imposta si basasse sul valore dell’affitto dell’immobile invece che sul valore catastale. In questo senso si considererebbe il valore di mercato dell’immobile e quindi la tassa sarebbe più equa.

► Imu sì o Imu No? Il duello Monti-Berlusconi

L’Ue non parla più specificatamente di politiche economiche sulla tassazione degli immobili perché l’Imu è argomento in Italia della campagna elettorale.

Nel rapporto dell’Ue, con riferimento al caso italiano, la Commissione europea si riferisce alcuni aspetti che dovrebbero essere migliorati per quanto riguarda le tasse sulla proprietà. L’Ue parla dell’aggiornamento dei valori catastali, della definizione delle residenza primaria e secondaria e delle deduzioni che non sono legate alla capacità dei contribuenti a pagare la tassa sul reddito.

► Dichiarazione interattiva Imu: il modello da compilare

L’aumento del valore degli affitti si spiegherebbe con la diminuzione della disuguaglianza di reddito che deriverebbe dal passaggio dalla considerazione dei valori catastali a quelli di mercato degli appartamenti.

Diminuzione inflazione 2013

Il 2012 è stato archiviato e a livello economico le notizie preoccupanti non sono mancate. È stato un anno di crisi e di rischio fallimento per l’Italia. Una crisi che ha toccato molti settori e ambiti, con grandi influenze sulla vita sociale delle persone. Dall’aumento della disoccupazione agli stipendi bloccati, e anche l’inflazione è cresciuta. Questa situazione ha portato all’aumento delle tasse per evitare che la situazione diventasse incontenibile.

Per il 2013 ci sono buoni segnali per l’inflazione, ma il potere di acquisto delle famiglie è ancora debole come dimostra Unioncamere. Per quanto riguarda l’inflazione, nel 2012 è stata in media tra il 3% e il 4,3% sui generi alimentari. Un livello alto che non si registrava dal 2008. Per il 2013, sempre secondo Unioncamere e il suo Osservatorio “Prezzi e mercati”, l’inflazione dovrebbe scendere sotto il 2%. La situazione però non è del tutto facile, in quanto a metà anno è previsto l’aumento dell’Iva che dovrebbe fare rialzare i prezzi.

I prezzi dovrebbero quindi abbassarsi per poi alzarsi per effetto dell’aumento dell’Iva che pè una misura che era stata già prevista.

Unioncamere ha affermato che “Il 2012 sarà ricordato come l’anno di recessione più profonda per i consumi delle famiglie dal secondo dopoguerra”. Una situazione che ha visto un problematico rapporto tra la capacità di spesa e i prezzi e che dovrebbe interrompersi nei primi mesi del 2013. Poi l’aumento dell’Iva come detto potrebbe cambiare la situazione.