Edilizia, persi 500.000 posti di lavoro in 4 anni

Non c’è pace per il settore dell‘edilizia. Da più parti sentiamo dire che si tratta di uno di quei comparti destinati a trainare l’economia italiana, sempre più soggetta ad una crisi di natura morale e occupazionale.

Il mercato immobiliare, però, stenta a decollare e, anzi, finisce sempre più in un baratro dal quale non si vede neanche un minimo spiraglio di luce.

La Cgil ha ben fotografato la situazione in corso, in un quadro che si protrae da ben quattro anni.

Il verdetto, sempre più definitivo e sempre meno provvisorio, è il seguente: il settore dell’edilizia italiana appare stremato, al capolinea e senza possibilità di sbocchi positivi per le costruzioni in virtù di una mancanza sempre più significativa della domanda.

Non c’è da girarci intorno più di tanto, giacché la causa principale della forte inversione di tendenza che si verifica da quattro anni a questa parte per un settore che fino al 2008 era lanciatissimo, è sempre la stessa. Parliamo, naturalmente, della crisi economica. Una fase di collasso che implica da ormai qualche tempo a danni di ordine strutturale e congiunturale.

Così, il settore costruzioni, si avvia inesorabile a concludere anche il 2012 in peggioramento, e senza grossi lasciare spiragli per il prossimo anno.

Chiaro e conciso l’attacco di Schiavella della Cgil alle istituzioni. “La situazione è preoccupante – afferma uno dei massimi esponenti del sindacato – e il governo continua a non azzeccarne una per rilanciare il settore”.

L’edilizia perde colpi su colpi, in particolar modo nelle regioni del Sud. Oltre a ciò, va fatta la conta dei danni anche per quanto riguarda il marcato apporto del comparto all’occupazione. Il record del crollo dei posti di lavori si registra in Sardegna nella provincia di Sassari, dove si è giunti ad un pesante passivo (-47%).

Conferma il triste dato, allargandolo a tutta la Penisola, la Cgia di Mestre, secondo la quale nell’anno che volge al termine sono rimaste senza lavoro più 600mila persone.

Evasione fiscale, a marzo il nuovo redditometro

La lotta all’evasione fiscale procede spedita. Così come nel 2011, sono stati introdotti anche quest’anno nuovi strumenti atti a combattere chi non paga le tasse.

Tra questi c’è l’ormai famoso redditometro, il quale sarà attivo tra marzo e aprile 2013.

Uno strumento semplice e semplificato, in linea con una serie di adempimenti che l’anno prossimo dovranno essere migliorati o drasticamente eliminati. Gli ultimi dodici mesi per l’Agenzia delle Entrate sono stati intensi intensi, carichi di lavoro e densi di polemiche. Polemiche pericolose che hanno messo amministrazione fiscale e opinione pubblica spesso agli antipodi.

Dal punto di vista dei risultati, però, l’anno si chiude molto positivamente per quanto concerne la lotta all’evasione.

Giulio Lampone, direttore centrale dell’Accertamento, parla di ottimi recuperi, pari a circa 11 miliardi di euro.

Negli ultimi anni, in generale, si è verificato un importante progresso degli importi recuperati dalla lotta all’evasione fiscale. Nel 2007 i miliardi entrati si aggiravano complessivamente intorno ai 6,4, l’anno dopo sono stati raggiunti i 7. Tre anni fa è stato fatto registrare un significativo passo in avanti, grazie a 9,1 miliardi in cassa, e poi ancora progressi Si è arrivati a 11 miliardi nel 2010 e a 12,7 lo scorso anno. Quella di quest’anno è una leggerissima flessione, dovuta anche ai rapporti con Equitalia per il disbrigo di alcune pratiche.

Autostrade più care dal primo gennaio 2013

In arrivo per i pedaggi c’è un aumento medio del 3,90%. L’aumento potrebbe anche essere più elevato, al punto da toccare in Valle D’Aosta il 14% e in Veneto il 13%. Tutto è disciplinato nei decreti ministeriali, che fungono da lasciapassare per i rincari chiesti dalla Società Autostrade. Rincari obbligatori, per via degli investimenti fatti dalle concessionarie negli ultimi tempi.

Ecco, dunque, un’altra piccola stangata per le tasche degli italiani, con particolare riferimento a coloro che sono soliti viaggiare per raggiungere il proprio posto di lavoro. Il rincaro è ormai tradizione, da tre anni a questa parte. Il bacino degli aumenti varia rispetto alla zona.

In media l’aumento sarà del 3,55% sulla Milano-Roma-Napoli, omogeneo visti gli accordi tra le concessionarie.

Entrando nel dettagli, Autostrade per l’Italia controlla alcune società e gestisce concessioni particolari, le quali faranno si che ci sarà una particolare tipologia di aumenti per quattro zone. Le zone in questione sono:

– Tangenziale di Napoli;

– Traforo del Monte Bianco;

– Autostrade Meridionali;

– Raccordo della Valle d’Aosta (in quest’ultimo caso, in base alle richieste di una delle concessionarie valdostane si registrerà un incremento attorno al 14%.

Per quanto concerne, invece, l’autostrada tirrenica l’aumento dovrebbe oscillare tra il 4 e il 5%.

Queste sono le richieste formalizzate, ora bisogna vedere se sarà effettivamente così dal primo gennaio 2013.

Italia, il 70% delle imprese ha problemi di liquidità

Il male comune che affligge il 70% delle imprese italiane è la mancanza di liquidità. La causa di ciò è il ritardo dei pagamenti, che provocano perdite per mancati incassi pari a 40,5 miliardi di euro su base annua. Una prassi tipicamente italiana, presa in considerazione dalla Cgia di Mestre per spiegare l’altra faccia della crisi.

Un problema che si verifica spesso e che trova alla sua radice una particolarissima metodologia di pagamento. Le transazioni commerciali con altre imprese e con la Pubblica amministrazione hanno tempi complicati e prassi ortodosse.

Ci vogliono ad esempio 96 giorni prima di effettuare una transazione commerciale con altre imprese. Il saldo arriva dunque dopo più di tre mesi. Quando di mezzo ci sono le pubbliche amministrazioni si aspetta anche fino a 6 mesi.

Non migliora la situazione se si considera il rapporto tra aziende italiane e partner economici che afferenti all’Unione Europea.

Le imprese che ne escono peggio sono senza dubbio le piccole e le medie. Un malcostume che però dovrebbe terminare a breve, quello italiano. Giuseppe Bortolussi, Segretario Cgia, spera nella Direttiva Europea che combatte il ritardo dei pagamenti.

Questa disciplina pone il committente nel vincolo di pagare l’azienda entro trenta giorni dal momento in cui riceve la merce o dal momento in cui l’azienda emette fattura. 

Bortolussi non accetta compromessi o anomalie: “Chi lavora deve essere pagato in tempi certi e ragionevoli. Chi, invece, non rispetta gli accordi subirà delle sanzioni economiche di tutto rispetto”.

 

Bollette, da gennaio aumenta il gas e diminuisce la luce

Per il prossimo gennaio c’è una cattiva e una buona notizia. Quella cattiva è che le tariffe del gas aumenteranno. La buona è che in compenso diminuiranno quelle della luce. Nel primo caso la decisione è giunta dall’Autorità per l’energia. La tariffa aumenterà dell’1,7% (22 euro in più all’anno). La tariffa della luce diminuirà invece di 7 euro su base annua, in percentuale dell’1,4%.

Per quanto riguarda la diminuzione dell’1,4% dell’energia elettrica la molla è scattata in virtù della riduzione del 3,6% della componente energia (in termini di produzione, dispacciamento e commercializzazione) grazie ai significativi ribassi del prezzo nel mercato all’ingrosso, iniziato nell’ottobre scorso.

Di contro, però, segnaliamo un aumento di 0,5 punti delle tariffe di rete, nonché da un aumento di 1,7 punti in percentuale per quanto riguarda l’adeguamento degli oneri generali. Tra questi la copertura degli incentivi per le fonti rinnovabili e assimilate. Una novità che si sapeva già da qualche mese.

Aumento Gas

Per quanto riguarda il gas, sull’aumento dell’1,7% hanno influito l’incremento dell’1,4% per l’upgrade delle tariffe di distribuzione, misura, trasporto e stoccaggio e l’aumento dello 0,5% circa per l’aggiornamento degli oneri di natura generale. C’è per fortuna un minimo controbilanciamento, proveniente dalla riduzione dello 0,2% circa per l’aggiornamento della materia prima, che è diminuita rispetto al quarto trimestre 2012 come riflesso degli andamenti pregressi delle quotazioni dei prodotti petroliferi sui mercati internazionali. Ulteriori cali potranno essere conseguiti con la riforma della componente materia prima gas, rispetto alla quale l’autorità ha già messo in consultazione i propri orientamenti.

 

Piazza affari, anno positivo grazie a Monti

Il Governo guidato da Mario Monti ha nettamente contribuito alla risalita di Piazza Affari. Lo conferma Borsa Italiana, la quale ha erogato gli ultimi dati annuali, aggiornati allo scorso 21 dicembre. Dati che che parlano di un netto recupero per quello che concerne il mercato meneghino. Si tratta di un aumento significativo, di ben nove punti di valore.

Cosa è cambiato? Cosa è migliorato? Lo storico indice Ftse Mib ha fatto registrare un rialzo del 9,79% rispetto 2011. Nell’anno in corso, il Ftse Mib ha toccato il picco più alto in data 19 marzo 2012.

Ottima anche la risalita dell’indice All Share, che ha fatto registrare un grossissimo aumento dell’8,74%. Basti pensare che nel 2011, per quanto riguarda il Ftse Mib si era di fronte a un incredibile calo del 25,28% (parliamo in questo caso di dati aggiornati al 23 dicembre 2011, rilasciati sempre da Borsa Italiana) mentre il calo era intorno al 12% nel 2010.

Borsa Italiana, dunque, fa registrare una capitalizzazione complessiva del 22,5% del Prodotto Interno Lordo, che si porta a quota 364,1 miliardi di euro.

Numeri senz’altro positivi e ottimo anno, in sostanza, per Piazza Affari. L’unico problema? le imprese italiane che hanno aperto un capitale di mercato nel 2012 sono calate. Quest’anno sono infatti 323 le società quotate, cinque in meno rispetto al 2011.

Un ottimo risultato, dunque, per l’esecutivo Monti, quello della rinascita di Piazza Affari. Il segnale proveniente dal mercato milanese è positivo e fa ben sperare per il 2013.

 

Pompe “bianche” e GDO per rompere l’oligopolio dei carburanti

 Il prezzo dei carburanti aumenta costantemente e anche per il 2013 sono stati previsti dei nuovi aumenti a causa del prezzo elevato con cui questo bene viene scambiato nelle piazze internazionali. Prezzi sempre più alti che mettono in difficoltà i consumatori.

Ma la possibilità di risparmiare c’è, facendo rifornimento alle pompe bianche, cioè a quelle che non hanno nessun marchio che sono intorno alle 2000 sul territorio, o a quelle della Grande Distribuzione (86 punti vendita), che mettono a disposizione il carburante a prezzi molto più bassi, fino a 13 centesimi al litro. Per questo l’Antitrust ha avviato un’indagine per capire come rafforzare i meccanismi della libera concorrenza anche in questo mercato che da sempre è governato da un regime di oligopolio.

Sono due le compagnie petrolifere che hanno le quote di mercato più ampie e sono più efficienti (Eni ed Esso) e proprio su queste due, insieme alle altre cinque di maggior rilievo – 22.000 punti vendita sul territorio nazionale – si è concentrata l’attenzione del garante del mercato che ha evidenziato come la loro presenza sul mercato potrebbe essere nata da un accordo collusivo tra i diversi operatori teso a eliminare la concorrenza. Nella pratica non sono state trovate delle prove a sostegno di questa tesi, ma l’Antitrust chiede che siano emesse delle leggi più chiare ed efficaci per combattere questo regime di oligopolio.

Per ora la situazione italiana in merito al prezzo di vendita dei carburanti si presenta piuttosto diversificata in base alle zone di riferimento –  Sud con prezzi sempre più elevati, Nord Est ed il Nord Ovest con i prezzi più bassi e il Centro con prezzi intermedi – ma la situazione cambia se si prendono in considerazione i prezzi applicati dai singoli operatori presenti sul mercato: le pompe della Grande Distribuzione sono quelle che riescono a fare i prezzi più bassi solo se hanno il marchio esclusivamente il marchio del distributore, mentre se sono in co-branding hanno maggiori difficoltà a mantenere i prezzi bassi.

I distributori più economici, comunque, sono le pompe bianche, che riescono a praticare prezzi più bassi di almeno due centesimi per litro rispetto alla Grande Distribuzione. Il problema, però, di questi operatori, è la scarsa presenza sul territorio, che rende impossibile una situazione di concorrenza.

L’Antitrust evidenzia anche che la situazione potrebbe cambiare già nel breve termine, con alcuni operatori che non saranno più concorrenziali e usciranno dal mercato, mail processo è ancora lungo e, per giungere ad una situazione in cui i distributori di carburanti si contendano il mercato in regime di concorrenza reale, e non più di oligopolio, è necessario affrontare i seguenti step:

agevolare lo sviluppo di operatori indipendenti efficienti;
– per la grande distribuzione preferire il modello di vendita con il solo marchio dell’operatore e non il co-branding:
– incentivare lo sviluppo di infrastrutture logistiche e di raffinazione coerenti con una presenza uniforme sul territorio delle cosiddette pompe bianche:
ampliare i controlli sui distributori con la creazione di una banca dati dei prezzi praticati da ogni singolo distributore, che servirebbe anche per aumentare la percezione, da parte dei consumatori, di una reale opportunità di scelta tra prezzi diversificati;
– cercare maggiore spazio per le pompe bianche con lo sfruttamento del mercato all’ingrosso dei prodotti petroliferi liquidi;
– creare delle misure che favoriscano l’ingresso degli operatori indipendenti nel mercato dei carburanti per migliorare le condizioni di accesso ai servizi di stoccaggio e mantenere costante il grado di liquidità del mercato all’ingrosso dei prodotti petroliferi.

Partita Iva, non ci sarà la ‘Stretta-Fornero’

Elsa Fornero, Ministro del Lavoro, parte piano. L’azione di contrasto delle false partite Iva partirà in maniera soft. I lavoratori che di fatto aprono una posizione Iva per fingere di essere lavoratori autonomi in contesti che in realtà sono di collaborazione coordinata e continuativa o di lavoro subordinato, per il momento non vengono puniti.

Il decreto del Ministero, unitamente alla circolare diramata dall’Ufficio ispettivo dello stesso Ministro Fornero, elenca i casi in cui non si applicherà la presunzione di ‘falsa partita Iva’.

– Qualora la prestazione è svolta da un iscritto a un Ordine professionale;

– Qualora il lavoratore è in possesso di una specifica “competenza”, che (secondo la circolare) può derivare anche dal possesso di una laurea o di un diploma di scuola superiore (liceo o istituto professionale).

I controlli partiranno comunque tra du anni, esattamente il 18 luglio 2014. Perché tutto questo tempo?

Devono per forza trascorrere ben due anni prima che la riforma del lavoro (la cosiddetta legge 92/2012) entri in vigore.

La Riforma ci mette due anni per controllare se sia presente una prestazione di eccessiva prevalenza da parte del lavoratore e resa a un committente soltanto, in esclusiva o in ampissima parte. Lo prevede l’articolo 69/bis. Per ora dunque non ci sarà alcuna Stretta Fornero.

Tutti i numeri della Crisi del Sud

Confindustria, nel suo studio ‘Check up Mezzogiorno’, senza mezzi termini osserva che la crisi si sente maggiormente al Sud.

I dati interni all’analisi sono chiari ed evidenti. Negli ultimi 4 anni la situazione è a dir poco degenerata. Il Pil è calato del 6,8%. Negli ultimi 4 anni è sceso di quasi 24 miliardi di euro.

Le Regioni del Sud non versano in buone condizioni, ragion per cui l’intero Paese conferisce poco peso alle imprese meridionali. L’istat parla del peggior dato storico dal 2006.

Tra Sud e Centro-Nord le differenze continuano ad essere tantissime. Il Sud è sempre più al buio, con la recessione che galoppa. Negli ultimi cinque anni sono crollati posti di lavoro al sud e sono aumentati di 32.000 unità al Nord. Le aziende attive al Sud sono diminuite di gran lunga, facendo registrare un’incredibile contrazione. Il divario con il resto d’Italia, dove c’è un sostanziale equilibrio tra le imprese nate e quelle chiuse, è nettissimo.

La Regione meridionale che se la passa peggio? Sicuramente la Campania. Confindustria rileva che sia questo il territorio in cui si registra la maggior parte di perdita dei posti di lavoro.

Non sono molto da meno le altre regioni.

Le famiglie continuano a impoverirsi. Povertà assoluta. Difficile dunque auspicare un momento di ripresa economica.

Per tutta l’Europa la crescita è lontana, dunque figuriamoci al Sud. Le aziende italiane sono pessimiste e non vogliono puntare sul Meridione. L’Istat fa registrare proprio a dicembre di quest’anno il punto più basso per quanto concerne l’indice di fiducia delle imprese.

 

La Crisi si sente maggiormente al Sud

Grave crollo del Pil del Sud. In quattro anni, dal 2007 al 2011, è diminuito di circa 24 miliardi di euro. Un considerevole meno 6,8%. I dati provengono da uno studio di Confindustria dal titolo “Check-up Mezzogiorno”.

Che la crisi si sente maggiormente al mezzogiorno non è una novità. Il problema è che oltre al danno si è aggiunta anche la beffa. 16.000 imprese hanno chiuso negli ultimi 4 anni, causando una perdita del lavoro per 330.000 persone. Metà delle imprese in questione hanno chiuso in Campania. Nel 2012, inoltre, il tasso medio di disoccupazione è ulteriormente salito dal 13,6% al 17,4%.

Confindustria rileva che la crisi persiste per via del forte calo degli introiti provenienti dagli investimenti pubblici e da quelli privati. 7 miliardi in meno negli ultimi quattro anni, e 8 miliardi di euro in meno per quanto riguarda gli investimenti fissi lordi nello stesso periodo.

Il Sud dunque è in situazioni drammatiche dal punto di vista occupazionale. Molti giovani decidono di lasciarlo per andare a vivere al Centro, al Nord, o all’estero. Due anni fa 110.000 persone hanno optato per questa (amara decisione). Il capitale umano che rimane sul territorio, però, è inutilizzato.

Confindustria lascia anche un dato che funge da ‘magra consolazione’. L’export del Sud è tornato ai valori pre-crisi, aumentando del 7%. Una cifra superiore del doppio rispetto a quanto accaduto al centro-nord.