Quali sono le banche più potenti al mondo?

Di questi tempi, chi ha più denaro comanda il mondo muovendo a proprio piacimento il corso degli eventi. Le banche, dunque, rappresentano un centro nevralgico della quotidianità in ogni parte del mondo. Piaccia o no, è così. Ma quali sono le banche più potenti al mondo? Chi ne può sfruttare le immense ricchezze per farne ciò che ritiene più opportuno?

Stando ad una recente inchiesta del giornale americano Forbes, fra le aziende più ricche del mondo, ai primi tre posti troviamo ben tre banche. Le prime due sono le cinesi “ICBC” e la “China construction bank”. Non a caso la Cina è lo Stato con il maggior tasso di crescita negli ultimi anni. La particolare situazione politica cinese, rende le banche soggette al controllo del potente Partito Comunista, il quale monitorizza gli investimenti e le vie dei capitali. La direzione del denaro è per lo più indirizzata verso uno scellerato capitalismo ormai definibile come post moderno, fatto di cemento e feroce aggressività borsistica, ma in qualche modo questo atteggiamento è pur sempre l’espressione della volontà di un popolo.

Sul gradino più basso del podio, complice l’ammontare di due trilioni di dollari, troviamo l’americana Jp Morgan Chase. In questa complicata classifica, seguono altre due banche di origine Occidentale i cui sguardi sono volti sempre più a Oriente. Libere dal lazzo dei governi democratici persi in una gigantesca crisi d’identità, l’inglese Hsbc e l’americana CitiBank aprono i loro forzieri verso Est, là dove il guadagno è rapido e immediato.

La disoccupazione cresce anche in Europa a maggio 2013

 Nel corso del mese di maggio 2013 l’ Istat ha rilevato, per il nostro Paese, l’ ennesimo aumento del tasso di disoccupazione, il quale ha raggiunto il livello del 12,1%, con un incremento addirittura del 18,1% rispetto all’ anno precedente. 

L’esercito dei freelance

 Secondo il “The Economist” sono i lavoratori della “nuvola”. Un vero e proprio esercito di freelance dell’economia globale mette a disposizioen del lavoro all’interno di un luogo di mercato digitale diffuso da siti quali oDesk , Elance e Mbo Partners .

Chi li ha fondati, come Gary Swart, ceo di oDesk, sostiene che l’impiego tradizionale non tornerà mai ai livelli pre-crisi e che, comunque vada, i datori di lavoro non potranno più concedersi il ‘lusso’ di assumere dipendenti.

Fabio Rosati, presidente e ceo di Elance, rammenta che fornire lo spazio fisico a un lavoratore può costare fino 10mila dollari a persona all’anno, un importo che si trasforma in grande risparmio quando il talento si può ingaggiare al momento del bisogno. Anche le grandi corporation come Ibm e Yahoo! ricorrono a collaboratori che possono assumere e licenziare al bisogno.

Daniel Pink, autore del saggio “Free agent nation, the future of working for yourself” l’aveva prefigurato già nel 2002 e adesso evidenzia il modo in cui le cause di questo fenomeno si siano moltiplicate negli ultimi tempi.

La tecnologia, infatti, ha diffuso maggiormente le piattaforme e le infrastrutture per collaborare. La tendenza è frutto anche di un cambio di mentalità più ampio. “Siti come Aibnb.com, – fa notare Sara Lacy, fondatore di PandoDaily.com , che fornisce news della Silicon Valley – hanno dimostrato che si possono trasformare degli asset in fonti di reddito». Amazon.com ci ha messo del suo, aggiunge ancora Rosati: “Ha insegnato che acquistare online sia una migliore esperienza di un negozio fisico e questa nuova mentalità abbraccia anche il talento, soggetto a una relazione on-demand”.

9 miliardi per il lavoro dei giovani dal vertice UE

 E’ soddisfatto il Presidente del Consiglio Enrico Letta a conclusione del vertice UE che si è tenuto in questi giorni a Bruxelles. L’ accordo è arrivato solo a notte inoltrata, ma la partita sull’ occupazione, e sull’ occupazione giovanile in particolare, sembra essere stata vinta nella direzione che l’ Italia si era prospettata. Anzi, addirittura per eccesso.

Il futuro dell’Euro secondo gli esperti

 L’economista Jacob Funk Kirkegaard, autorevole voce del Peterson Institute for International Economics (locato in Washington D.C. negli USA) ha dato la sua personale lettura dell’attuale crisi europea.

Ne viene fuori un parere totalmente diverso rispetto agli altri. In sintesi “Non solo il bicchiere non è rotto, ma nemmeno mezzo vuoto”. A ben vedere, sarebbe mezzo pieno almeno per cinque buone ragioni:

1) La Banca Centrale Europea va sempre più configurandosi come una Banca Centrale:  fornisce liquidità alle Banche sia acquistando ( sul mercato secondario e quindi non in maniera diretta) i Titoli di Stato dei Paesi in difficoltà come Spagna e Italia. Un Istituto ormai capace di imporre austerità fiscali e riforme agli Stati più refrattari. Insomma una visione più ampia della stabilità finanziaria che procede oltre il mandato di tenere sotto controllo l’inflazione. Anche se ovviamente c’è ancora molta strada da fare prima di arrivare ad interventi tipo FED ( la Federal Reserve, la Banca centrale degli USA).

2) La strada verso l’integrazione fiscale, necessaria a rendere più omogenee le economie dell’area euro e quindi più compatibili con la moneta unica sembra essere in ‘discesa’: Urgono regole comuni sul Bilancio degli Stati, nonché controlli centralizzati a livello europeo. Un cammino non facile e molto lungo, ma alcuni passi quali l’istituzione di un fondo per venire incontro agli Stati e/o Banche in difficoltà sono stati già fatti.

3) Riforme ‘work in progress’ per aumentare concorrenza, competitività, apertura di mercati prima chiusi, ridurre il ruolo dello Stato, nei paesi Mediterranei: prima di questa crisi era impensabile. Ora tali riforme aiuterebbero l’Europa, nel suo insieme, a prevenire le crisi del futuro.

4) Cambiamento culturale che pone al centro la sostenibilità finanziaria delle politiche fiscali, economiche e del welfare.

5) Larghe intese su politiche di tagli alla spesa pubblica e ai sistemi di welfare (pensioni ad esempio) che in altre epoche avrebbero creato non pochi problemi.

In sostanza, e in conclusione, Jacob Kirkegaard ha una certezza: “L’Europa ha molta strada da fare, ma sta usando bene la crisi”. Se lo dice lui…

Anche S&P taglia le stime italiane

 Se proprio nelle ultime ore il Centro studi della Confidustria ha rilasciato stime non troppo entusiasmanti sull’ andamento dell’ economia italiana nei prossimi mesi del 2013, anche sul fronte internazionale le cose non vanno poi così bene.

La sola politica monetaria non genera crescita

 Il Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, si è trovato in questi giorni a ribadire la posizione e l’ operato dell’ Eurotower nei confronti della crisi economica che ha investito l’ Europa. 

La Germania si protegge nel caso di ritorno alla lira

 A giudicare dai dati emersi da uno studio di Mediobanca, l’Italia dovrà ancora affrontare la vera tempesta. Lo studio evidenzia che le probabilità di un cambiamento dello scenario politico sono molte. La maggioranza stabile nel Paese è ancora in bilico. Ciò contempla più opzioni. Una di queste potrebbe scaturire in un ritorno alle urne a fine anno.

A ciò si aggiunga la possiiblità di un prestito di una sezione italiana dell’azienda tedesca Daimler (Mercedes Benz Financial Services Italia), la quale nei giorni scorsi ha erogato un prestito obbligazionario particolare. Tale prestito prevede infatti una clausola di protezione nel caso in cui l’Italia uscisse dall’Euro. Già, perchè c’è da tenere in considerazione anche questa prospettiva. La Faz (Frankfurter allgemeine zeitung) sostiene che al bond aziendale, per un importo di 150 milioni di euro, é stato dato dall’agenzia di rating Moody’s un valore “A3”, uguale a quello riservato all’azienda automobilistica tedesca.

Il titolo contempla un tasso di interesse variabile, con scadenza nel 2015. La clausola di emissione statuisce che, se entro la suddetta data il nostro Paese dovesse uscire dall’euro, gli interessi e l’ammortamento verrebbero versati nella valuta legale esistente in quel momento in Italia. In questo modo, stando a quanto scrive la Faz, diminuirebbe di gran lunga il rischio che l’affiliata italiana dell’azienda tedesca debba remunerare le proprie obbligazioni nel più caro euro nel caso in cui l’Italia dovesse abbandonare la moneta unica ed introducesse una nuova lira con un tasso di cambio più debole.

Ritorno alla lira: un possibile scenario

La disoccupazione in Francia continua a crescere

 Ancora problemi sul fronte economico e su quello del mercato del lavoro per la Repubblica francese, che, nonostante le ottimistiche previsioni del suo Presidente, Francois Hollande, non sembra ancora in grado di uscire dalla recessione che l’ ha avvolta. 

Il credit crunch della Cina preoccupa l’ Europa

 Fino ad oggi l’ Eurozona è stata interessata e preoccupata dai problemi di liquidità delle banche di casa propria, che nel corso dei rovesci della crisi hanno a volte sperimentato l’ impossibilità di far fronte alle richieste di credito che le venivano sottoposte.