L’Eurozona tra disoccupazione e inflazione

 L’ Istat ha recentemente pubblicato i dati relativi al tasso di disoccupazione presente oggi in Italia, che, rimasto invariato dallo scorso febbraio, si attesta attorno all’ 11,5% per il mese di marzo.

> I giovani disoccupati sono il 38,4%

Ma le cose, a dir la verità, non vanno meglio nell’ Eurozona. Per l’Unione Europea, infatti, la disoccupazione si attesta attorno al 12% per il mese di marzo, mese in cui, secondo i dati Eurostat, si sono potuti registrare 62 mila disoccupati in più rispetto al mese di febbraio 2013 e 1 milione 723 mila in più rispetto ad un anno fa.

Il quadro dell’ Eurozona, inoltre, viene ulteriormente aggravato da altri fattori negativi: tra questi spicca la brusca frenata subita dall’inflazione, che raggiunge un tasso superiore al previsto, seguita da una debolezza generale del mercato del lavoro.

Il potere d’acquisto crolla ai livelli del 1995

Per quanto riguarda l‘inflazione media dell’area euro, infatti, nel mese di aprile si è potuta registrare una decelerazione al più 1,2%, sintomo di un quadro economico in cui la dinamica dei prezzi al consumo risulta piuttosto debole.

L’insieme di questi fattori negativi che gravano sulle sorte dell’Europa potrebbe quindi indurre la Banca Centrale Europea ad operare – giovedì – quell’ atteso taglio dei tassi di interesse.

L’Ue è meno fiduciosa nell’economia

 La Commissione Europea ha pubblicato oggi i dati relativi al “sentimento economico” che si respira oggi e che si è respirato negli ultimi mesi nell’ Eurozona. Al centro della questione, dunque, il livello di fiducia nutrita dai cittadini dell’ Unione nei confronti dell‘economia europea.

La fiducia degli italiani sta peggiorando

Ebbene i dati hanno rilevato che proprio nel mese di aprile 2013 si è interrotto quel sentimento di fiducia che era tornato a crescere a partire dal mese di novembre scorso.

Il calo è stato in generale di 1,5 punti e l’ attuale quota rappresentativa si attesta dunque ad 89. Una analoga situazione di perdita di fiducia nell’ economia europea, si può rilevare anche nell’ Unione a 27 Paesi, che è passata dal 91,5 di marzo all’ attuale  89,7. L’Italia è stato uno dei Paesi particolarmente colpiti da questo fenomeno, dal momento che la quota nazionale ha raggiunto gli 83,4 punti.

L’Istat mostra l’aumento della fiducia dei consumatori

Anche sul fronte delle imprese, e non solo su quello dei consumatori, i dati europei non sono incoraggianti. Dopo quattro mesi di recuperi, infatti, il “business climate indicator” torna a calare: al centro delle preoccupazioni le questioni relative a ordini e produzione.

L’Italia, questo punto di vista, torna indietro ai livelli storici del 2003.

L’UE divisa sulla questione spagnola e non solo

 L‘Unione Europea soffre in questo periodo delle differenti situazioni economiche in cui versano molti stati che la costituiscono.

Agli occhi degli osservatori internazionali, infatti, non può passare inosservato come si vada sempre di più delineando quella Europa “a due velocità” in cui una parte dei Paesi sono ormai quasi schiacciati dalle politiche di austerity e ne auspicano un rallentamento, mentre dall’ altra vi siano realtà come quelle della Germania e della Gran Bretagna che consolidano la ripresa.

Angela Merkel sul problema dei tassi della Bce

E’ la situazione della Spagna, in particolare, che preoccupa gli osservatori europei, poiché nel corso di quest’ anno ci si aspetta un ulteriore calo del PIL dell’ 1,3% , che si associa anche ad un rinvio, ormai al 2016, della riduzione del deficit al 3% del Pil.

Il quadro della Spagna, dunque, sebbene accettato dall’ Ue, che ha apprezzato i tentativi di riforma e il programma di stabilità, è comunque quello di una situazione difficile, in cui bisogna fare i conti con 6 milioni di disoccupati, recessione economica in atto e sofferente mercato del lavoro.

Rehn e Constancio aprono a un rallentamento dell’austerity

La Spagna, tuttavia, non è l’unica nazione ad aver chiesto delle proroghe sulla riequilibrazione dei conti pubblici: Portogallo e Francia versano in simili situazioni.

Usavano le associazioni di beneficenza per evadere il fisco

Creavano un “offshore trust”, un fondo di investimenti collocato nei pressi di uno dei molteplici paradisi fiscali esistenti e successivamente nominavano in qualità di beneficiario un’associazione di carità. Con questo meccanismo riuscivano a sfuggire alla maggior parte dei controlli delle autorità del Regno Unito, nonché di altri Stati e dunque a non pagare le casse.

Ecco la truffa che ha coinvolto a loro insaputa numerose associazioni di beneficenza, tra le quali contempliamo tre associazioni italiane.

Evasori fiscali hanno usato il loro nome in maniera tale da occultare i propri fondi all’estero e non pagare le tasse.

L’inchiesta condotta dal Sunday Times, successivamente all’arrivo di una soffiata di natura anonima fatta da un informatore, è riuscita a portare a galla due milioni e mezzo di documenti, provenienti da uno dei paradisi fiscali sfruttati da qualche grande evasore.

Le associazioni menzionate nei documenti quali beneficiarie non ne erano a conoscenza, e in più di conseguenza non percepivano nessuna cifra in denaro dall’offshore trust. Non percepivano insomma neanche il becco di un quattrino.

Le vittime del raggiro

Ad essere state imbrogliate sono anche grosse associazioni quali Croce Rossa, Amnesty International, Greenpeace, Cancer Research. Ma il Sunday Times ha rivelato che nei documenti che gli sono arrivati anche tre associazioni di carità italiane sono rimaste implicate: si tratta de l’Unione Italiana Ciechi, il Centro Bambino Maltrattato e della Lega Italiana per la Lotta all’Aids.

Tutte e tre, interrogate dal giornale britannico, hanno dichiarato che non erano a conoscenza del “trust” generato a loro presunto beneficio e che non hanno mai ricevuto da esso alcuna donazione.

Al pari di Croce Rossa, Amnesty e Greenpeace, scrive il Sunday Times, anche le tre associazioni di beneficenza italiane stanno attualmente valutando l’opportunità indire azioni di natura legale per chi si è appropriato indebitamente del loro nome e anche per vedere se, a questo punto, è possibile reclamare almeno una parte dei fondi nascosti a questo modo.

Elezioni Islanda: vincono gli antieuropeisti

La vittoria alle elezioni del centro-destra, da sempre antieuropeista, pesa in Islanda. La coalizione, negli ultimi quattro anni all’opposizione, torna al potere approfittando delle riforme sull’austerity sancite dal governo di sinistra. Un nuovo cambiamento, dunque, che allontana ulteriormente l’Islanda dall’Europa.

Alla guida del Partito dell’Indipendenza c’è Bjarni Benediktsson, quarantatré anni. Benediktsson si dice pronto a guidare il governo. Un governo di coalizione con il Partito del Progresso. I due partiti hanno nello specifico guadagnato 19 seggi a testa in Parlamento. La sinistra, al potere dal 2009, esce male da questa tornata elettorale. Colpa di una rigida politica che ha deluso l’elettorato. La sconfitta della sinistra ha un significato anche più profondo: con la destra nuovamente al potere l’Islanda non si candiderà per l’adesione all’Unione europea.

C’è da dire che la politica di sinistra, votata all’austerity ha concesso all’Islanda di uscire dalla recessione, con un Prodotto Interno Lordo in salita e una disoccupazione in calo. Gli elettori, però, sono stremati.

Alle urne si è recata l’83 per cento della popolazione avente diritto.  I conservatori del Partito dell’Indipendenza (di destra) che hanno guadagnato il 26,7% dei consensi, con 19 seggi al Parlamento. I centristi del Partito del Progresso, invece, hanno raccolto il 24,4% e adesso possono contare ugualmente su 19 deputati. La coalizione di centro-destra avrà dunque 38 seggi su un totale di 63.

Anche l’Austria abbandonerà il segreto bancario

 La notizia è stata data dal cancelliere austriaco Werner Faymann. L’Austria ha ceduto alla pressione sul segreto bancario e, ultimo paese dei 27 dell’Unione Europea, sceglie di aderire allo scambio automatico di informazioni concernenti i conti bancari detenuti in paesi esteri.

► Niente più segreto bancario per San Marino

Dopo il Lussemburgo, che ha iniziato il cambiamento e che si allineerà al resto alle richieste entro il 2015, l’Austria era rimasta la sola a mantenere ben saldo il principio del segreto bancario e questa notizia, che arriva a pochi mesi dalle elezioni politiche nel paese, è un’importante cambiamento di rotta per il paese che, assicura il cancelliere, non avrà ripercussioni significative sul settore bancario austriaco, settore che sostiene l’economia del paese.

Nei depositi bancari austriaci si stima che la percentuale dei depositi bancari appartenenti a non austriaci siano una fetta molto sostanziosa del totale, circa 53 miliardi su un totale di 350 miliardi di euro totali, il 25% del Pil del paese, che, una volta ratificato lo scambio automatico delle informazioni, potrebbero essere spostati su conti di paesi che hanno condizioni più favorevoli.

► Lussemburgo pronto a rinunciare al segreto bancario

Quello che si attende ora, dopo che tutti i paesi dell’Unione hanno aderito allo scambio automatico delle informazioni, è la direttiva Ue con le nuove linee guida per la tassazione dei depositi dei non residenti.

Trattativa Fiat-Chrysler: la palla passa ai sindacati

 Fiat potrebbe essere costretta a versare più dei 139,7 milioni di dollari offerti al fine di esercitare la call option e acquistare una quota del 3,3% di Chrysler di proprietà del Veba, il fondo del United Auto Workers (Uaw), il sindacato dei metalmeccanici americano.

Il giudice della corte del Delaware, Donald Parsons, pare infatti intentzionato alla valutazione del Uaw, in base al quale la quota vale almeno 342 milioni di dollari.

La decisione della corte sul prezzo della call option, che dovrebbe arrivare entro giugno, potrebbe influenzare il prezzo d’acquisto complessivo dell’intera quota del 41,5% di Chrysler che fa capo al Veba e che Fiat è intenzionata a comprare.

Le voci di corridoio relative ad un’accelerazione del piano di fusione Fiat-Chrysler si sono moltiplicate nelle ultime settimane, facendo volare il titolo del Lingotto, salito oggi in Borsa del 3,8%. Durante l’udienza di oggi in tribunale, il giudice Parsons ha dichiarato di essere “intenzionato” nella direzione del Veba.

In base le stime di JPMorgan, notiamo che la quota di Chrysler oggi in mano al Veba ha un valore che oscilla fra i 3 e i 4 miliardi di dollari. Una cifra alla quale Fiat può fronteggiare utilizzando i suoi asset, come Ferrari e Maserati, al fine di assicurarsi un finanziamento dalle banche per 2,9 miliardi di dollari.

Fiat, stando alle indiscrezioni, sarebbe in trattative avanzante con un gruppo di banche al fine di ottenere un finanziamento per l’acquisto del 100% di Chrysler.

Francia interviene sul libero scambio

Quando siamo ormai vicinissimi al negoziato tra Unione europea e Stati Uniti relativo ad un accordo di libero scambio, libero scambio la Commissione di Bruxelles spera di avviare prima dell’estate con l’obiettivo di un’intesa entro la fine del 2014, la Francia scende con decisione in battaglia. Parigi formula la richiesta di escludere esplicitamente l’industria culturale, e nello specifico il cinema e l’intero settore degli audiovisivi, dal testo del mandato negoziale affidato al commissario Karel De Gucht. Al momento la versione stilata lo scorso 13 marzo, contempla invece cinema e audiovisivi.

Occorre ricordare che proprio la Francia ha inventato il concetto di “eccezione culturale” traducendolo in norme e regolamenti, al fine di difendere appunto la propria industria culturale – cinematografica in primis nonché l’industria musicale dall’invasione statunitense. Una battaglia iniziata già nel dopoguerra, dal ministero della Cultura con allora a capo André Malraux, ma che si è tradotta in una strategia organica nei primi anni 90, quando all’Eliseo c’era François Mitterrand.

D’un lato in virtù del sostegno pubblico al comparto e dall’altro con il sistema delle quote. I provvedimenti sono molti. Ecco i più importanti e simbolici:

– istituzione di un fondo di finanziamento della produzione cinematografica alimentato da un prelievo dell’11% su ogni biglietto e dal versamento di una parte del loro fatturato da parte delle società televisive (più oneroso per le pay tv), per un totale di circa 700 milioni all’anno;

– l’obbligo per gli operatori tv di destinare una parte dei loro ricavi alla produzione di film francesi ed europei (fondi che rappresentano in media il 35-40% del budget)

– obbligo di quote di diffusione di musica francese ed europea e di film francesi ed europei da parte di radio e televisioni;

– la nascita di una specie di super cassa integrazione per i lavoratori dello spettacolo nei periodi in cui non ricevono una retribuzione.

Due anni di tempo in più per aggiustare i conti spagnoli

 La Spagna avrà due anni di tempo in più per raggiungere il pareggio di bilancio. Lo fanno sapere da Bruxelles dove i programmi di riforma e di stabilità messi a punto dal governo spagnolo per il paese sono stati accolti con favore. Dal centro nevralgico dell’Unione Europea fanno sapere, inoltre, che il termine ultimo per raggiungere l’obiettivo di rientro del deficit al 3% è spostato di due anni, dal 2014 al 2016.

► Record di disoccupati in Spagna

La richiesta era arrivata dalla governo spagnolo stesso e gli analisti europei hanno deciso di concedere altro tempo al paese onde evitare  misure troppo drastiche che avrebbero potuto, almeno nel breve periodo, creare ulteriori scompensi al paese, che già sta vivendo una situazione al limite del collasso.

Ma il tempo in più concesso dovrà essere fatto fruttare: il paese necessita di portare avanti

un percorso fiscale nel programma di stabilita si basi su ipotesi macroeconomiche prudenti e un numero sufficiente di interventi strutturali e di alta qualità.

► La Spagna non centra gli obiettivi nel 2013

Secondo Bruxelles la Spagna ha le carte in regola per raggiungere l’obiettivo, ma l’ultima parola ora spetta all’Ecofin, il Consiglio dei ministri di Economia e finanze dei Paesi membri.

Il 2013 sarà l’anno di Samsung?

 Finire bene e iniziare ancora meglio. Si riassume in questa frase il passaggio dal 2012 al 2013 per quanto concerne Samsung. Durante il primo trimestre dell’anno i conti del comparto Electronics, in virtù del boom delle vendite degli smartphone Galaxy S3 e del Galaxy Note 2, promossi nel 2012, sono impennati.

Il colosso sudcoreano, leader mondiale di memory chip per computer e smartphone, ha fatto registrare utili netti per 7.150 miliardi di won (pari a 6,44 miliardi di dollari) a gennaio-marzo, in aumento del 42% sui 5.050 miliardi di 12 mesi fa. I guadagni sono aumentati a 52.870 miliardi (+16,8%) e gli utili operativi a 8.780 miliardi (+54,35%), congruenti con le stime diffuse a inizio mese. Il gruppo, dopo tale trimestre, ha guadagnato punti nella battaglia che l’oppone all’americana Apple.

Da Cupertino, infatti, martedì scorso sono giunte notizie di un pesante calo da parte dell’utile netto di Apple. Il primo grande calo da dieci anni a questa parte.

Samsung, dunque, non può che gioire, facendo registrare performance operative impressionanti, inclusi i margini, suo tallone d’achille tradizionale rispetto ai più grandi rivali.

Samsung ha approfittato della comunicazione del bilancio trimestrale per lanciare la sua nuova versione dello smartphone Galaxy: il Galaxy S4.