Bilancio europeo bloccato a Strasburgo

 Il Parlamento di Strasburgo ha bloccatola proposta di bilancio dell’Unione Europea per il periodo 2014-2020 con una larga maggioranza: 506 voti contrari, 161 favorevoli e 23 astensioni.
► L’accordo europeo sui bilanci degli stati membri

Una bocciatura che arriva dopo l’accordo al quale erano giunti i capi di Stato e di governo al Consiglio Europeo all’inizio di febbraio, un bilancio che, per la prima volta, presenta anche dei tagli alle spese dell’Unione. I parlamentari approvano una revisione al ribasso per il bilancio, ma chiedono, comunque, ulteriori garanzie, non previste dalla proposta presentata.

La proposta sulla quale il Parlamento Europeo ha riflettuto a lungo proponeva un bilancio di 960 miliardi di euro di impegni e di 908,4 miliardi di spese effettive, troppo impegnativo da sostenere e, secondo gli europarlamentari, troppo poco flessibile in quanto manchevole della possibilità di una revisione del bilancio stesso nel corso dell’esercizio

Inoltre il Parlamento Europeo chiede l’introduzione nel bilancio di una clausola che permetta il trasferimento dei fondi non spesi da un anno all’altro e da una categoria di spesa all’altra. Le altre due condizioni poste dagli europarlamentari sono l’eliminazione della differenza tra impegni e pagamenti e, infine, un serio impegno degli stati membri nel sostituire una parte cospicua dei contributi degli Stati membri al bilancio Ue con “risorse proprie”.

► Olli Rehn ritratta sulla dilazione dei tempi per il pareggio di bilancio

Martin Schulz, il presidente del Parlamento, commenta così la decisione di bocciatura del bilancio:

Sono sicuro che la grande maggioranza dei cittadini europei non vuole che l’Ue entri in un sistema che ha condotto un gran numero di stati membri nella deprecabile situazione in cui sono: di prendere impegni di spesa e non avere abbastanza soldi per onorarli.

Germania contro la Banca Centrale Europea

Secondo il quotidiano liberalconservatore Frankfurter Allgemeine la Banca Centrale Europea sarebbe colpevole di temporeggiare sulla pubblicazione dei dati relativi ai patrimoni dei cittadini dei vari paesi dell’Eurozona, rimandando il tutto a dopo che sarà stata presa la decisione sul salvataggio di Cipro.

Il motivo di questo ritardo, secondo il quotidiano tedesco, sarebbe una volontà della BCE di evitare il cambiamento dell’opinione della Germania sulle reali condizioni dei paesi che dicono di trovarsi in difficoltà. Il principale indiziato è Cipro.

Il report del quotidiano tedesco prende spunto dai dati che emergono da alcune fonti che afferiscono alla Credit Suisse, secondo i quali molti dei paesi che hanno chiesto l’intervento dell’Unione Europea sono, in realtà starebbero molto meglio della Germania stessa. Nello specifico in Italia il patrimonio medio pro capite per ogni adulto è di 165mila euro, un patrimonio ben superiore a quello stimato per la Germania che è di 135mila euro.

Allo stesso modo anche Cipro è messa abbastanza bene, con 87mila euro pro capite, seguita da  Spagna (81), della Grecia (70) e
Secondo l’autore dell’articolo dell’editoriale che accompagna i dati, Holger Steltzner, membro della Direzione del giornale, la BCE  del Portogallo (60mila euro).

Apparementemente teme la protesta nei paesi pagatori netti se anche dati ufficiali della Bce provano che i presunti ricchi tedeschi, austriaci, olandesi o finlandesi in realtà non devono aiutare i ciprioti più poveri di loro. E cosa dovrebbero dire slovacchi o estoni veramente poveri, che già da lungo tempo hanno pagato per paesi molto più ricchi di loro e ‘Euroschuldensuender‘ come Spagna, Grecia, Portogallo o Irlanda?

 

Il carbone è la materia prima più richiesta

 I dati sono quelli dello studio del World Economic Forum che mette in evidenza la discrepanza tra l’attenzione mediatica e non solo allo sviluppo e implementazione di fonti di energia rinnovabili e l’effettivo andamento della domanda, che vede il carbone al primo posto della classifica delle materie prime più richieste.
► Quanto costeranno i contributi per le energie rinnovabili?

Un aumento da capogiro per il carbone che negli ultimi dieci anni è stata la materia prima più richiesta in assoluto, con una domanda ben dieci volte superiore a quella delle fonti rinnovabili, il cui peso non supera l’1,6%, due volte quella del gas e tre volte quella del petrolio.

L’abbandono delle fonti fossili, secondo lo studio del WEF, non potrà avvenire prima di altri 20 anni, un periodo in cui le diverse fonti di energia giocheranno ruoli diversi, ma saranno comunque presenti. Come evidenziato da Roberto Bocca, responsabile per il World economic forum del settore Energy Industries:

Il convincimento generale è che si vada verso un mondo dominato dalle rinnovabili. Invece, sorprendentemente, la transizione sarà differente rispetto al passato e si andrà da un mix di poche fonti a un mix di molte fonti e molto differenziate tra loro.

A chiedere di più il carbone sono soprattutto i paesi emergenti, e il motivo è presto spiegato: rispetto alle altre fonti di energia il carbone ha un costo nettamente inferiore. E sarà proprio il fattore costo a determinare quale sarà la fonte di energia che useremo nei prossimi decenni.

Troppe poche donne nei cda europei

 Nei 27 paesi dell’Unione Europea ci sono troppe poche donne che figurano nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa: solo una su ogni dieci uomini.
► Nel 2012 è stato boom di donne imprenditrici

E’ questo il risultato dello studio della Commissione Europea sulla composizione dei board delle spa europee. Un dato che fa parecchia impressione, soprattutto se visto in percentuale: 10,2% di donne contro il 97,6% di uomini. Percentuali che, come fa notare la Commissione Europea nella nota di accompagnamento della ricerca, non prende in considerazione il fatto che i motori del cambiamento sono proprio quei dove le ‘quote rosa’ imposte per legge.

Come in Italia, paese che la Commissione prende ad esempio dal momento che dopo l’entrata in vigore della legge del luglio 2011 il numero delle donne presenti nei consigli di amministrazione è passato dal 5,6% di ottobre 2011 all’11,0% di ottobre 2012.

Nello studio è stata fatta una distinzione fondamentale tra tra membri esecutivi e ‘non esecutivi’ dei board. Prendendo come riferimento solo questa ultima figura la media europea di presenze femminile migliora e si allinea con quelle degli altri paesi. In Europa sono il 16,8%, come negli Stati Uniti. Percentuale appena più bassa per l’Australia(15%) poi segue il  Canada (10%) e la Cina (9%).

► A Yahoo! piacciono le donne

A chiudere la classifica India, Russia e Brasile con solo il 5% ed il Giappone che arriva appena all’1%.

Draghi allunga i tempi di attesa per la fine della crisi

 Un anno in più, dunque.

Tutti avevamo iniziato a sperare che la crisi che ci tormenta ormai da diversi anni e che in questo 2012 ha affondato i denti in tutta l’Europa sarebbe finita al massimo entro la fine del 2013. Ma, invece, non sarà così, almeno a detta di Mario Draghi, numero uno della Banca Centrale Europea, che, in un intervento di questa mattina, ha annunciato che la ripresa arriverà per il 2014.

► Mario Draghi su occupazione e euro

A conferma di quanto detto da Mario Draghi sono arrivate anche le correzioni per le previsioni di crescita della zona dell’Euro, naturalmente riviste al ribasso: per il 2013 il Pil atteso è negativo (una percentuale compresa tra il -0,9% e il -0,1%), mentre per il 2014, l’anno che dovrebbe essere portatore della ripresa, il Pil atteso è tra 0 e 2%.

Le cause di questa revisione al ribasso sono da rintracciare nella lentezza delle riforme che, di conseguenza, rallenta anche la ripresa di fiducia da parte dei mercati e il persistere ancora del problema della disoccupazione.

Mario Draghi ha anche voluto rassicurare tutti coloro che vedono nell’esito delle elezioni italiane un altro problema di cui tutti potrebbero risentire. Secondo il capo dell’Eurotower, infatti:

► La BCe acquista 103 miliardi di bond

I mercati sanno che viviamo in sistemi democratici e sul risultato delle elezioni politiche italiane sono meno impressionati rispetto ai media ed ai politici. L’Italia in ogni caso prosegue il consolidamento dei conti pubblici e gli aggiustamenti strutturali dell’economia, come se ci fosse una sorta di pilota automatico.

Time Warner e Axel Springer puntano tutto sul digitale

 Il business dei colossi dell’editoria, sia in America che in Europa, si muove lungo la stessa direzione: quella del digitale. E lo fa, ovviamente, anche a spese del cartaceo.

Proprio questa mattina, infatti, il colosso americano dell’editoria Time Warner ha pubblicamente annunciato la sua decisione di scorporare il settore dell’editoria, quello del cartaceo, rappresentato dalla storica Time Inc., cui appartengono prestigiose riviste come Time, Fortune, People, Sport Illustrated e Marie Claire.

Il Time è in crisi e vende People

Il Time verrà dunque venduto e la nuova società verrà quotata entro la fine dell’anno. La direzione aziendale ha motivato la scissione dichiarando di voler concentrare i propri investimenti nel settore dell’intrattenimento, cioè nel cinema e nei programmi televisivi, che in questo momento rappresentano migliori aspettative.

A RCS tira aria di crisi

Una mossa simile, del resto, è in procinto di verificarsi anche dall’altra parte dell’oceano, nella vecchia Europa. Axel Springer, infatti, il primo editore europeo, ha annunciato che nell’anno a venire ci potrebbe essere una contrazione degli utili lordi fino al 10% in vista di una riorganizzazione dell’intero gruppo, che ha intenzione di investire ulteriormente nella divisione digitale. 

La divisione digitale ha prodotto, infatti, durante lo scorso anno un incremento delle vendite pari al 22%, mentre la divisione del cartaceo ha perso un 3,3%. Il digitale traina dunque il fatturato.

Londra contro legge superbonus

 L’intenzione delle banche del Regno Unito e della City londinese, che rappresenta il cuore pulsante della finanza europea, è quella di fare causa all’UE stessa, nella speranza di non vedere operanti le norme che prevedono un tetto ai bonus dei manager e dei supermanager di Londra.

> Bruxelles pronta a mettere un tetto ai bonus dei manager

Lo rivela il Financial Times, che parla di una consulenza legale che sarebbe stata chiesta dai rappresentanti delle banche del Regno Unito allo studio Shearman & Sterling per invalidare la nuova normativa comunitaria, sulla base del fatto che quest’ultima sarebbe in realtà contraria al trattato che vieta la regolamentazione dei salari negli Stati appartenenti all’Unione Europea.

La normativa europea sulla limitazione delle parti variabili delle remunerazioni, inoltre, secondo gli stessi legali, sarebbe contraria a quanto affermato nelle costituzioni di alcuni stati membri, come Austria, Germania e Polonia.

Sui tetti ai superstipendi parla l’SPD

L’opinione pubblica inglese, tuttavia, non sembra essere dalla parte delle banche né condividere questa loro presa di posizione, ma anzi sembra vedere di buon occhio l’iniziativa comunitaria di imporre un tetto ai bonus dei manager sulla base di limitazioni analoghe che diventeranno presto legge in Svizzera, in seguito al recente referendum, e in Germania.

Wegelin pagherà una multa di 74 milioni di dollari per evasione fiscale

 74 milioni di dollari. Questo è l’ammontare della multa che gli Stati Uniti ha deciso di far pagare alla Wegelin di San gallo, la più antica banca svizzera, per aver aiutato molti facoltosi americani ad evadere il fisco.
► Gli accordi fiscali con la Svizzera

La sentenza è arrivata da Jed Rakoff, giudice distrettuale di Manhattan, ed è la prima volta che gli Stati Uniti prendono una tale decisione, che ha anche rilevanza penale, contro un istituto di credito estero. Secondo il giudice che ha emesso la sentenza la banca svizzera si sarebbe comportata in modo riprovevole.

Un duro colpo per una banca, la Wegelin, che è sempre stata considerata come la punta di diamante degli istituti svizzeri, presa ad esempio anche da tutti gli altri e guidata da un personaggio particolarmente carismatico che ha sempre difeso il modello fiscale svizzero.

Le banche svizzere aspirano i soldi dagli altri Stati. Sono consapevole che non si tratta di un atteggiamento democratico, ma non lo è neppure quello di molti Paesi, nei confronti dei loro contribuenti.

► La legge svizzera contro gli stipendi dei manager

Questo il principio che ha spinto la Wegelin, nel 2009, ad elaborare un sistema fiscale grazie al quale gli americani potevani depositare i loro soldi nella banca elvetica senza essere in alcun modo controllabili dalle istituzioni Usa. Ma alla fine è stato scoperto e ora la banca dovrà pagare 74 milioni di dollari agli Stati Uniti.

Forbes ha stilato la classifica degli uomini più ricchi del mondo

 Forbes ha pubblicato la sua classifica degli uomini più ricchi del mondo. Una serie di nomi -in totale sono 1426– che spaziano per tutti i cinque continenti e che generano una ricchezza pari a 5.400 miliardi di dollari.

La maggiore concentrazione di paperoni è negli Stati Uniti con un totale di 442 miliardari, al secondo posto l’Asia, paese che si distingue sempre di più per l’emergere dei nuovi ricchi, grazie ad una economia in forte espansione, con 386 super ricchi e al terzo posto troviamo Europa con 366.

La classifica di quest’anno vede degli interessanti rivolgimenti rispetto al passato. Primo fra tutti la caduta dal podio di Warren Buffet, che quest’anno è solo quarto, superato da Amancio Ortega. Carlos Slim è, invece, sempre fermo lì al primo posto per il quarto anno consecutivo, ma quest’anno sono entrati dei nuovi nomi a rincorrerlo: parliamo di Renzo Rosso, Bruce Nordstrom e Tory Burch.

La classifica dei 10 più ricchi del mondo secondo Forbes

1   – Carlos Slim 73 miliardi di dollari
2   – Bill Gates 67 miliardi di dollari
3   – Amancio Ortega 57 miliardi di dollari
4   – Warren Buffett 53,5 miliardi di dollari
5   – Larry Ellison 43 miliardi di dollari
6   – Charles Koch 34 miliardi di dollari
6   – David Koch 34 miliardi di dollari
8   – Li Ka-shing 31 miliardi di dollari
9   – Liliane Bettencourt 30 miliardi di dollari
10  – Bernard Arnault 29 miliardi di dollari

E gli italiani? Per arrivare a vedere un nome italiano nella classifica di Forbes si deve arrivare fino alla 23° posizione, dove si piazza Michele Ferrero con 20,4 miliardi di dollari.

Gli italiani più ricchi del mondo secondo Forbes

23 – Michele Ferrero 20,4 miliardi di dollari
49 – Leonardo Del Vecchio 15,3 miliardi di dollari
78 – Miuccia Prada 12,4 miliardi di dollari
131 – Giorgio Armani 8,5 miliardi di dollari
175 – Patrizio Bertelli 6,7 miliardi di dollari
189 – Stefano Pessina 6,4 miliardi di dollari
194 – Silvio Berlusconi 6,2 miliardi di dollari
195 – Paolo & Gianfelice Mario Rocca  6,1 miliardi di dollari

La Germania vuole seguire la Svizzera e mettere un tetto agli stipendi dei manager

 Una corrente di rivolta contro gli stipendi a troppi zeri dei manager si sta alzando con forza dal cuore dell’Europa. La Svizzera ha già deciso e dal 2012 sarà in vigore una legge contro gli stipendi iridati dei manager che riporterà le remunerazioni degli business man a livelli più coerenti con la crisi economica che stiamo vivendo.
L’Ue approva il tetto per gli stipendi dei dirigenti di banca

68% di favore alla proposta di legge del deputato indipendente Thomas Minder, che ha avuto grande eco nella vicina Germania, dove il partito socialdemocratico, il principale partito di opposizione ad Angela Merkel, cheide che anche in terra teutonica si segua l’esempio della Svizzera, ponendo, con un’apposita legge, dei limiti agli stipendi ed ai bonus di manager bancari ed industriali. Un appello, questo, che sembra trovare riscontro anche tra la Cdu della Merkel e i suoi partner di governo.

Il referendum svizzero è un passo giusto e importante nella direzione giusta per porre un freno all’avidità e alla smania di guadagni super dei manager e di altri. Il risultato dovrebbe indurci a pensare a una direttiva simile e unica a livello europeo, valida per tutta la Ue.

ha commentato il vice capogruppo parlamentare socialdemocratico Joachim Poss.

► Ancora nulla di fatto sul patto Italia-Svizzera

Ma non c’è solo questa possibilità a mettere in difficoltà i manager. Dopo la ratifica dell’accordo anti-evasione, infatti, le banche svizzere stanno insistentemente chiedendo ai loro clienti tedeschi di autodenunciare i possedimenti depositati nelle banche elvetiche alle autorità del proprio paese.