Olli Rehn ritratta sulla dilazione dei tempi per il pareggio di bilancio

 Il patto di stabilità non cambia. Questa la dichiarazione di Olli Rehn a proposito di quanto detto ieri sulla possibilità di una dilazione dei pareggi di bilancio per i paesi in difficoltà. Quello che sembrava un ammorbidimento delle posizioni del Commissario Ue agli affari economici è durato il tempo di una notte. Solo un malinteso: i vincoli di bilancio per i Paesi in crisi rimangono quelli decisi dal patto di stabilità.

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Il problema, secondo il portavoce del commissario Simon O’Connor, è stata nell’interpretazione che hanno dato i ministri delle finanze a cui era indirizzata la lettera di ieri di Rehn. Nessun cambiamento di rotta, solo la reiterazione di posizioni consuete.

Quindi Rehn non ha detto che in una situazione di peggioramento delle condizioni economiche di un paese, questo ha la possibilità di ottenere un rinvio dei tempi per conseguire i suoi obiettivi di risanamento dei conti, ma che la dilazione dei tempi di risanamento è possibile solo se la crescita si deteriora in maniera imprevista e a patto che abbia effettuato gli sforzi di risanamento richiesti.

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Gli occhi di tutti si sono rivolti verso Parigi. E’ la Francia, infatti, che potrebbe, a breve, rivedere in peggio anche gli obiettivi di crescita previsti per l’anno in corso e non raggiungere, quindi, i limiti fissati dall’Unione Europea. L’obiettivo della Francia per il 2013 è di ridurre il deficit al 3%, impossibile da attuare vista la situazione dell’economia del paese, ma il premier Jean-Marc Ayrault ha assicurato che il pareggio sarà raggiunto solo alla fine del quinquennio di presidenza di Hollande.

 

G20 di Mosca pronto al via

 Il primo ricevimento ufficiale al Cremlino domani, poi, tra sabato e domenica, il G20 di MOsca entrerà nel vivo delle discussioni. I rappresentanti delle 20 economia mondiali più importanti saranno chiamati a confrontarsi sui due temi più caldi del panorama economico-finanziario attuale: da un lato la guerra delle valute-chiamando in causa, prima di tutti, il Giappone- e la riforma del Fondo Monetario Internazionale.

Giappone e guerra delle valute

Poco tempo fa il primo ministro giapponese Shinzo Abe ha dato il via ad un processo di svalutazione dello yen, con l’obiettivo di risollevare un’economia allo stremo, che ha scatenato la paura di tutti i mercati finanziari per una possibile guerra delle valute.

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Un tema, quindi, che riguarda tutti i partecipanti che si stanno preparando per richiamare l’attenzione dei paesi coinvolti nelle svalutazioni monetarie a evitare processi del genere che possono portare alla destabilizzazione dell’economia globale.

La riforma del Fondo Monetario Internazionale

Tema che sta particolarmente a cuore a Putin che preme per accelerare il processo di riforma dell’FMI soprattutto per quanto riguarda la nuova formula di ripartizione delle quote, processo del quale il presidente russo vuole, a tutti i costi, una road map.

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Impresa quasi impossibile, visto che già dall’inizio i negoziati per questa riforma si sono rivelati più difficili del previsto e gli analisti prevedono che una risoluzione potrebbe arrivare non prima della fine dell’anno.

Proposta della Commissione Europea per la Tobin Tax

 La Commissione Europea ha presentato la sua proposta per la Tobin Tax, per la quale si stima un introito pari a 35 miliardi di euro.11 i paesi interessati –Italia, Francia, Germania, Belgio, Portogallo, Slovenia, Austria, Grecia, Spagna, Slovacchia ed Estonia– che saranno interessati dalla tassa sulle transazioni finanziarie attraverso l’attivazione della procedura di cooperazione rafforzata che ha l’obiettivo di porre un freno alla volatilità e ai giochi del mercato.

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La prima novità proposta dalla Commissione è quella del principio del luogo di emissione che prevede che tutti gli strumenti finanziari emessi dai paesi interessati saranno tassati anche se poi gli scambi avvengono al di fuori dei loro confini. Questo tipo di tassazione è reso legittimo dal principio di residenza, che prevede il pagamento dell’imposta indipendentemente da dove l’operazione ha luogo.

Dopo il come, passiamo al quanto. Le aliquote minime proposte dalla Commissione Europea sono dello 0,1% per azioni e obbligazioni (compresi i titoli di Stato sul mercato secondario) e dello 0,01% per i derivati. Unica eccezione alla tassazione la BCE, Efsf e Esm e i titoli di stato emessi per il rifinanziamento del debito dei paesi.

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Ora, il problema si trova proprio nella tassazione delle transazioni che vengono effettuate sul mercato secondario. L’Italia è contraria a questa imposizione, perché rischia di mettere ancora più in difficoltà il debito sovrano dei paesi in crisi, e il compito che spetta ai delegati del nostro paese sarà proprio quello di convincere gli altri 10 a sostenere la causa.

 

 

Moody’s conferma l’outlook negativo sugli Stati Uniti

 Moody’s, che proprio ieri ha declassato Telecom, oggi ha diramato un’altra nota in cui ha fatto sapere che l’outlook per gli Stati Uniti d’America rimane negativo.

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La ripresa è appena iniziata ma la strada è ancora lunga e costellata di difficoltà, soprattutto per i forti dubbi che si profilano per la stabilizzazione del settore pubblico. Il problema, nonostante i provvedimenti anche dolorosi presi negli ultimi mesi, è la discontinuità delle entrate fiscali e sulle spese per il sistema di assistenza sanitario Medicaid.

Lo stesso vale per le manovre di riduzione del deficit federale che, invece di apportare benefici all’economia statunitense, potrebbero rivelarsi una barriera alla crescita del paese.

Secondo Kimberly Lyons, assistant vice president and analyst di Moody’s, però, anche se i rischi sono più che tangibili, l’economia americana può contare sul sostegno di

economie diverse e grandi, da un basso livello del debito rispetto ad altri settori globali e da una forte flessibilità fiscale contro i rischi economici.

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E’ dal 2008 che l’outlook di Moody’s sul settore pubblico americano è negativo e la stessa agenzia sottolinea che, se si vuole che torni positivo, è necessario che la crescita economica sia costante e che i piani fiscali pubblici tornino ad essere bilanciati a livello strutturale. Inoltre, deve essere risolta la questione dei tagli delle spese federali sulle economie degli Stati e sulle finanze rispetto alle attese attuali.

28 miliardi di dollari per il ketchup

 Warren Buffet, il miliardario imprenditore americano, famoso anche per il suo supporto ad Obama, ha voluto fare un acquisto di gusto.

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La Holding di cui è a capo, la Berkeshire Hathaway, insieme alla società di private equity 3G Capital vuole acquistare una delle più importanti etichette di ingredienti per la cucina, il ketchup Heinz. La notizia è stata riportata questa mattina dal Wall Street Journal, che definisce anche alcuni dettagli dell’operazione.

In primo luogo il costo dell’operazione: 23 miliardi di dollari, ai quali si aggiungono 5 miliardi per l’acquisizione del debito, per un totale di 28 miliardi di dollari.

L’accordo è stato approvato all’unanimità dal consiglio di amministrazione di Heinz. Un accordo nel quale si definisce che agli azionisti della società saranno corrisposti 72,50 dollari per azione, con un premio del 20% rispetto alla chiusura di ieri 13 febbraio 2013.

Soddisfatto l’amministratore delegato di Heinz William Johnson che ritiene l’operazione un’ottima opportunità per il marchio Heinz, anche perché sembra che cambierà poco dell’assetto societario e il quartier generale di Heinz sarà mantenuto nella sua sede storica di Pittsburgh.

Secondo Warren Buffett, ad di Berkshire Hathaway

Heinz ha un forte e sostenibile potenziale di crescita basato su standard di alta qualità, innovazione continua e un eccellente management.

Tagli 2.400 posti di lavoro ING

 Il colosso finanziario olandese ING, punto di riferimento in Italia per Conto Arancio, ha terminato il quarto trimestre del 2012 con un utile netto di 1,43 miliardi di euro che in altri termini rappresenta un significativo 0,38 euro per azione. Si tratta di una crescita in confronto al corrispondente dato del 2011, che era di 1,18 miliardi di euro. Un dato che è però al di sotto delle aspettative degli analisti.

Il ramo assicurativo ha raggiunto redditi da premi lordi per 4,66 miliardi di euro, ponendosi dunque in calo in confronto ai 4,75 miliardi del quarto trimestre 2011. Il margine di interesse delle operazioni bancarie fa registrare una flessione da 3,04 a 2,84 miliardi di euro, mentre aumentano le commissioni da 845 a 878 milioni di euro. La voce Total Investment&other income frutta 1,23 miliardi di euro contro i 490 milioni di euro del quarto trimestre 2011 portando in territorio positivo i risultati del gruppo.

I risultati del gruppo finanziario tengono anche in considerazione numerose e importanti cessioni che la ING sta sostenendo per ripagare il costo del salvataggio pubblico da parte dello Stato olandese. ING ha dichiarato che taglierà più di 1.400 posti di lavoro in Olanda nonché altre 1000 posizioni in Belgio.

Già durante lo scorso novembre era stato annunciato il taglio di 2.350 posti di lavoro nelle unità di banca commerciale e nella divisione assicurativa. Il costo di questi tagli dovrebbe aggirarsi intorno ai 452 milioni di euro dopo le imposte, ma ridurre i costi annuali di circa 1 miliardo di euro entro il 2015.

La congiuntura economica, come ha evidenziato il management, rimane sfidante. Il core tier 1 ratio della banca è sceso dal 12,1% di fine settembre all’11,9% di fine dicembre 2012.

Ocse paradisi fiscali

 Urge un’azione globale per eliminare la sistematica elusione fiscale contemplata dalle multinazionali, le quali sfruttando cavilli normativi, seppur tenendosi ai confini della legalità. Le multinazionali riescono sempre a spuntare livelli di tassazione di appena il 5 per cento, laddove piccole e medie imprese devono sobbarcarsi fino al 30 per cento.

Il vantaggio delle multinazionali

A sostenerlo è l’Ocse, tramite uno studio pubblicato in vista del G20 delle finanze, che si terrà questa settimana a mosca, in cui evidenzia la sempre più frequente pratica delle multinazionali di fare ricorso a strategie che permettono loro di pagare anche solo il 5% in tasse societarie mentre le aziende più piccole, tipicamente nazionali, pagano il 30%. “Molte delle regole in vigore mirate a proteggere le multinazionali dal pagare due volte le tasse, troppo spesso permettono loro di non pagarle affatto”, in ogni caso non mettono in evidenza l’integrazione economica globale e conferiscono alle big corporation un considerevole vantaggio competitivo rispetto alle Pmi, danneggiando oltretutto la crescita e l’occupazione, sottolinea l’Ocse.

Come diminuire la tassazione

Ma non finisce qui: le pratiche alle quali le multinazionali fanno ricorso per diminuire la tassazione sono diventate più aggressive nell’ultimo decennio. Basta creare numerose filiali off shore in qualche paradiso fiscale dove finiscono opportunamente gli utili, mentre alle sedi nei paesi con alta tassazione rimangono immancabilmente spese e aggravi.

I dati Ocse

La ricerca messa in nuce dall’Ocse evidenzia che con questo stratagemma alcuni piccoli Stati ricevono una quota di investimenti esteri diretti (Fdi) del tutto sproporzionata in confronto ai paesi maggiori. Nel 2010, volendo fare un esempio, le Barbados, le Bermuda e le Isole Vergini hanno ricevuto più Fdi (5,1% del totale mondiale) della Germania (4,7%) o del Giappone (3,7%) e durante lo stesso anno i tre paradisi caraibici hanno fatto più investimenti (4,54%) nel mondo della Germania (4,28%).

Il paradosso delle Isole Vergini

Secondo lo studio pubblicato dall’Ocse, le Isole Vergini appaiono essere il secondo investitore mondiale (14%) in Cina, dopo Hong Kong (45%) e di gran luga davanti agli Usa (4%), mentre le mauritius sono al top come investitore in India (24%) e Cipro non ha rivali negli investimenti in russia (28%).

Vi sono poi i casi degli Stati europei, fiscalmente vantaggiosi, all’interno dei quali si aprono veicoli societari ad hoc, con pochissimi o senza dipendenti, il cui unico ruolo è quello di fungere da holding.

Ad esempio lo stock degli investimenti in Olanda nel 2011 riportava nel complesso 3.207 miliardi di dollari usa e di questi ben 2.625 miliardi facevano capo a veicoli societari speciali, mentre gli investimenti in uscita dal Lussemburgo sono stati pari a 2.129 Miliardi, di cui 1.987 con i veicoli speciali.

Perdite record Peugeot

 Brutta chiusura dell’anno passato per il gruppo Peugeot. La casa chiude il 2012 con gravissime perdite, provocate dalla crisi dell’auto in Europa e dal deterioramento della posizione competitiva di Psa Peugeot.

Il gruppo ha rilasciato 2,82 milioni di veicoli a fronte dei 3,09 del 2011, facendo registrare un calo della quota di mercato in Europa dal 13,3 al 12,7%.

Bene solo in Cina

L’azienda è andata male anche in Sudamerica, zona in cui ha fatto registrare un -13% per quanto riguarda le vendite. Migliora, seppur di poco, la situazione in Cina, dove Peugeot fa registrare un discreto +9%. Proprio dalla Cina arriva un dividendo di circa 80 milioni di euro, di gran lunga inferiore, tuttavia, ai miliardi di cui possono godere i leader di mercato Vw e General Motors.

Il numero uno di Peugeot Philippe Varin, intanto, ha garantito che il piano di ristrutturazione concretizzato nel corso del 2012 è coerente con gli obiettivi: sono già stati tagliati i costi per 1,2 miliardi e sono state vendute attività per circa 2 miliardi; le giacenze di veicoli sono state riportate ai livelli del 2010.

Il debito netto industriale è sceso in un anno da 3,36 a 3,15 miliardi di euro, in virtù dall’aumento di capitale da 1 miliardo che ha visto fra l’altro l’ingresso come socio di General Motors; nel corso dell’anno la gestione ha bruciato circa 1,4 miliardi. Nei giorni scorsi si sono tavvia succedute le voci di un possibile intervento di Parigi nel capitale, voci per ora smentite dal Governo francese.

Obama apre a rapporti con Europa

 Il presidente Usa Barack Obama ha annunciato nella giornata di ieri la volontà di avviare negoziati con l’Europa al fine di generare quella che potrebbe essere la più grande zona di libero scambio del pianeta.

L’annuncio è una diretta conseguenza degli appelli, arrivati da più parti d’Europa, a concretizzare un patto commerciale al fine di incoraggiare l’economia su entrambi i lati dell’Atlantico, in una regione dove lo scorso anno il commercio bilaterale è arrivato a toccare quota 646 miliardi di dollari.

Crescita delle economie

Proposto anni fa, il pensiero di siglare di un patto commerciale Usa-Ue è tornato recentemente di moda al fine di rivitalizzare entrambe le economie, le quali non vivono un periodo felice e palesano una debole crescita dell’occupazione.

Qualora l’iniziativa andasse in porto, il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ipotizza che il Pil del Vecchio continente aumenti dello 0,5%.

Spread in calo

Intanto è in calo lo spread: la differenza tra il rendimento offerto dai titoli italiani e quelli tedeschi è scesa in area 270 punti con i Btp scambiati al 4,37%.

Il Tesoro ha venduto 3,449 miliardi di euro di Btp a 3 anni, a fronte di un target massimo di 3,5 miliardi, ma ha dovuto offrire un rendimento più alto salito al 2,30% dall’1,85% dell’asta di gennaio. La domanda ha toccato i 4,737 miliardi. Cala, invece, il rendimento di titoli a lunga scadenza. Sempre oggi, infatti, sono stati assegnato Btp a 30 anni per 888 milioni ad un tasso del 5,07%. La domanda è stata 1,9 volte l’offerta. Non si vedeva una situazione simile dal maggio del 2011, mese in cui il Tesoro offriva il titolo a 30 anni: in quel periodo, il rendimento fu del 5,43%. Sono stati attribuiti anche Btp a 15 anni per 863 milioni ad un tasso del 4,55%: all’ultima asta, il rendimento fu del 4,75%. La Germania, intanto, ha venduto titoli di Stato a 2 anni (Schatz) con un tasso in rialzo ai massimi da marzo. Il rendimento medio è salito allo 0,21% dallo 0,01% precedente. Assegnati 4,301 miliardi.

Chiusura in rosso ed esuberi per Barclays

 Lo scandalo Libor ha colpito diverse banche inglesi e non solo, ma quella che ne sta subendo le maggiori conseguenze è la Barclays. Un colosso del mondo bancario che, prima che il rimaneggiamento dei tassi di interesse venisse scoperto, era una società forte e con conti sempre in attivo.

► Secondo Barclays i problemi arrivano da Berlusconi

Ora le carte sono state scoperte e il 2012 si è chiuso, per la Barclays, con una perdita netta di 1,04 miliardi di sterline (circa 1,2 miliardi di euro). Lo scorso anno si chiuse con un attivo di oltre tre miliardi di sterline.

Una grave perdita che ha costretto l’ad di Barclays, Antony Jenkins, a mettere in piedi un piano di ristrutturazione aziendale che, così come annunciato, prevede il taglio di 3.700 posti di lavoro -1.800 nel settore corporate e investment banking e 1.900 nel comparto retail europeo- e una riduzione dei costi pari a 1,7 miliardi di sterline, circa due miliardi di euro.

A pesare parecchio sui conti della banca è sicuramente stata le multe e gli accantonamenti versati per il coinvolgimento dell’istituto nello scandalo della manipolazione del tasso interbancario Libor e della vendita di prodotti non conformi alle norme.

► Un altro miliardo di rimborsi da parte di Barclays

Questo piano di ristrutturazione ha come obiettivo una riduzione dei costi pari a 1,7 miliardi entro il 2015.