La BCE non cambia il costo del denaro

 Il presidente delle Banca Centrale Europea Mario Draghi ha parlato chiaro: le previsioni fatte dal suo istituto sulle condizioni dell’economia dell’Eurozona si stanno verificando e, quindi, non c’è alcun motivo per modificare la politica monetaria fin qui messa in atto.Una politica che resterà accomodante, in quanto le prospettive di crescita restano deboli e l’uscita dalla crisi presenta ancora dei rischi che rappresentano le priorità della BCE.

► Come Draghi ha cambiato la BCE

Secondo Draghi il tasso di inflazione scenderà sotto al 2% nei prossimi mesi ed è per questo che la BCE ha deciso di lasciare invariato allo 0,75% il costo del denaro, una decisione che lo scopo preciso di dare un ulteriore sostegno alla crescita, che farà vedere i primi risultati a partire dalla seconda metà dell’anno in corso.

A dare linfa vitale all’economia saranno l‘aumento della domanda interna e più in generale della domanda globale, il tutto a favore delle esportazioni, anche se resta ancora da vedere come agire nei confronti dell’apprezzamento dell’euro, che, se da un lato è un chiaro segno di fiducia da parte dei mercati, dall’altro potrebbe rendere sfavorevole il cambio.

► Una panoramica sull’andamento dell’euro

Draghi ha così risposto, anche se in maniera indiretta, alle osservazioni di Hollande che chiede una maggiore flessibilità della politica di cambio della BCE, ribadendo, inoltre, che la Banca centrale è un organismo indipendente.

Atene mette in vendita i suoi immobili di lusso per pagare i suoi debiti

 La Grecia è stato il paese europeo che più ha risentito della crisi. Per risollevare le sorti della sua economia ha chiesto aiuto all’Unione Europea e al Fondo Monetario Internazionale, che hanno concesso, di comune accordo ma non senza polemiche- di concedere ben due tranche di aiuti al paese.

Nuova tranche di aiuti per la Grecia

Come tutti i prestiti anche questi devono essere restituiti e la Grecia, non essendo riuscita a raggiungere l’obiettivo restituzione con la privatizzazione di molte aziende nazionali -fruttate solo 1,8 miliardi di euro- sta ricorrendo alla vendita dei suoi immobili di lusso.

In totale Atene sta mettendo in vendita sei immobili di pregio detenuti all’estero in un’asta che si chiuderà il 19 marzo. Tra gli immobili messi in vendita ci sono una casa vittoriana a Londra (per la quale la base di partenza dell’asta è di 35 milioni di dollari), la residenza del console a Londra e altri immobili dello stesso livello detenuti a Bruxelles e Belgrado.

► Atene: la migliore borsa del 2012

Da questa asta la Grecia dovrebbe riuscire a ricavare almeno il 75% dei proventi previsti dalle privatizzazioni di beni dello stato, per far fronte alle richiesta che stanno avanzando sia BCE che FMI non contente di quanto ottenuto fino ad ora dal governo ellenico.

Dublino liquida Anglo Irish Bank

 Durante la scorsa notte i deputati del Dail (il parlamento irlandese) hanno approvato il progetto di legge per la liquidazione dell’Anglo Irish Bank, la banca che fu nazionalizzata nel 2009 per arginare le perdite dovute al suo crollo. I votanti si sono espressi con 113 voti a favore e 36 contrari.

► Perché l’Irlanda è in ripresa ma è fragile

A questo punto, quindi, partirà la riorganizzazione degli asset della banca che saranno trasferiti all’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni (Nama), agenzia creata appositamente dal governo di Dublino allo scopo di farsi carico -termine da leggere come farsi carico dei debiti contratti dalle banche di fronte alla Banca Centrale Europea- di tutti i prestiti che le banche irlandesi avevano elargito per il mercato immobiliare. Mercato che crollò, anche a causa di questi titoli tossici, nel 2007.

► Sfida Irlanda – Ue su debiti bancari

Con il crollo del mercato immobiliare l’Irlanda è sprofondata nella crisi e si è vista costretta a chiedere il salvataggio alla BCE e al FMI. Il fatto che gli asset della Anglo Irish Bank saranno trasferiti alla Nama è l’unico modo che ha il governo per cercare di rientrare del debito contratto con la BCE, che in questi giorni è sta valutando il piano proposto dal primo ministro irlandese Enda Kendy per il rifinanziamento del debito del paese, con l’intento di ottenere un piano di restituzione del prestito più graduale.

Rbs patteggiamento dopo scandalo

 E’ già successo a Barclays e Ubs. Ora toccherà anche a Rbs. Dopo le indiscrezioni che si susseguivano già da giorni tanto negli Stati Uniti quanto in Inghilterra, è ora la banca stessa ad uscire allo scoperto, confermando di dover pagare grosse sanzioni e altri tipi di multe per avere ‘taroccat’ il tasso interbancario Libor.

Malgrado gli accordi presi con autorità inglesi e americane debbano ancora essere approvati, l’istituto si aspettava dunque la mano pesante. E’ quanto si legge nella nota rilasciata poche ore fa.

La condanna

Di recente si parlava di sanzioni che si aggiravano intorno agli 800 milioni di dollari, diminuiti a 621 milioni. Nello specifico, l’istituto commerciale è stato condannato a pagare 87,5 milioni di sterline dalla Fsa britannica, 325 milioni di dollari dalla Us Cftc e 150 milioni di dollari dal dipartimento della giustizia sempre degli Stati Uniti. Rbs, nell’ambito della stessa nota, ha anche diramato le attese dimissioni di John Hourican, il capo della banca d’investimenti che fa capo alla holding finanziaria.

Malgrado il patteggiamento, il dipartimento di giustizia americano ha ripetuto ancora una volta che le indagini sul Libor proseguiranno ininterrottamente. Per fronteggiare multa la Royal Bank of Scotland taglierà i bonus dei manager: una mossa con la quale recupererà 300 milioni di sterline.

Sfida Malone-Murdoch

 I due sfidanti agli angoli del ring sono il magnate della tv americana via cavo, John Malone e  Rupert Murdoch, leader indiscusso dei canali satellitare. Il confronto riguarda il predominio televisivo del mondo.

Nelle ultime ore, Liberty Global ha dichiarato di avere comprato la concorrente britannica Virgin Media per una cifra che si aggira intorno ai 23,3 miliardi di dollari, mediante un’operazione finanziata divisa tra contanti e azioni.

Mai prima d’ora un matrimonio tra due aziende televisive era costato così tanto.

L’obiettivo

Virgin Media e Liberty Global, in una nota congiunga hanno illustrato l’obiettivo: creare la principale azienda globale di comunicazione a banda larga, capace di arrivare in 47 milioni di case e servire 25 milioni di clienti in 14 paesi del mondo.

Per la cronaca, Liberty Global (gestita da Malone con il 40% dei consensi, ma soltanto il 4% del capitale) è già il primo operatore via cavo in Europa. Nel ‘Vecchio Continente’, Liberty Global può contare su 18,4 milioni di abbonati dopo aver dato il via a svariate acquisizioni negli ultimi 10 anni, tali da contribuire alla crescita del gruppo.

Il futuro, dunque, si gioca su grandi cifre e sembra essere una sorta di risiko multimediale. Staremo a vedere chi la spunterà tra i due sfidanti.

I quattro rischi per l’economia mondiale

 Nel 2013 la crescita media globale si avvicinerà al 3% ma la ripresa consterà di più velocità.

Occorre fare una differenziazione tra le economie avanzate e i mercati emergenti. Il primo gruppo potrà vantare a fine 2013 un tasso annuale dell’1%, inferiore di qualche punto. Il secondo gruppo presenterà invece un tasso vicino al 5%”.

A frenare la crescita ci si metteranno le problematiche locali, per cui di fatto non si potrà pensare al 2013 come all’anno della rivalsa economica.

Austerity

Le parole chiave sono ancora una volta “austerità fiscale” e “crescita lenta”. Su questi binari passerà il trend annuale, non solo in Europa ma anche negli States.

RISCHI

Vale dunque la pena illustrare quelli che sono i quattro rischi per l’economia mondiale nel 2013. Ne abbiamo contati quattro:

Primo rischio

Spostiamoci negli Stati Uniti, dove il mini-deal sulle tasse e il tetto del debito, il ritardo nelle politiche di aggiustamento automatico della spesa, nonché l’assenza accordo sulla spesa statale impediranno di fatto alle istituzioni di funzionare. Le conseguenze per i mercati statunitensi, di riflesso potrebbero essere molto negative e comportare un aumento della pressione fiscale.

Secondo rischio

Occorre tornare in Europa. Da una parte, le azioni della Bce hanno reso meno forti i rischi per la Zona Euro. D’altro canto, però, l’uscita della Grecia o la perdita dell’accesso al mercato per Italia e Spagna continuano a creare problemi all’unione monetaria.

Terzo rischio

Occorre soffermarsi sul modello di crescita cinese, che manca di un sostanziale equilibrio e che risulta insostenibile. Il modello di crescita della Cina comporta inevitabili eccessi in fase di export e investimenti fissi, nonché alti tassi di risparmio e bassi consumi. Reggerà solo se sarà corroborato da stimoli fiscali e sostegno monetario.

Quarto rischio

Appare opportuno soffermarsi sul Medio Oriente. Tutta la zona contempla instabilità di natura sociale, economica e politica. Non è ancora stato risolto il problema della Primavera Araba, così come non è stato risolto il conflitto tra Israele e Stati Uniti. Tante, dunque, sono le incognite da decifrare.

Un altro miliardo di rimborsi da parte di Barclays

La cifra diventa sempre più consistente. Aumenta di mese in mese. Ora, il top managment di Barclays spera che basti per riconquistare la fiducia dei risparmiatori e ridare un volto amichevole dopo gli scandali inerenti alla manipolazione dei tassi di interesse, alla vendita irregolare di prodotti assicurativi e di interest rate swap per le piccole e medie aziende.

Ora, la banca britannica ha dichiarato che metterà da parte un altro miliardo di sterline (circa 1,16 miliardi di euro al cambio attuale) per coprire le lamentele dei clienti ai quali sono stati venduti irregolarmente dei prodotti finanziari; nel complesso si sale così ben oltre i 2 miliardi inizialmente previsti dagli analisti, cioé intorno a 3,6 miliardi.

I nuovi rimborsi

Nello specifico, altri 400 milioni di sterline, per un totale di 850, saranno accantonati per restituire i rimborsi alle piccole e medie imprese a cui hanno venduto prodotti di copertura rispetto alle variazioni dei tassi di interesse. Non più tardi di una settimana fa la Fsa (Financial Services Authority), l’Autorità di vigilanza finanziaria d’Oltremanica, aveva dichiarato di aver completato la revisione di 173 prodotti derivati di copertura piazzati dalle maggiori banche alle piccole e medie imprese, e di aver scoperto che il 90% non erano a norma con i requisiti regolamentari.

Altri 600 milioni verranno invece depositati, anche in questo caso con effetto sul bilancio del 2012, per mettere a tacere i contenziosi circa la vendita forzata di assicurazioni sul credito chiamate Ppi (Payment protection insurance). Tali prodotti sono assicurazioni che coprono l’eventuale malattia o la perdita del lavoro da parte dei sottoscrittori di mutui o carte di credito. Il totale di questa voce sale così a 2,6 miliardi di sterline. Complessivamente, dunque, l’industria finanziaria del Regno Unito ha dovuto mettere mano al portafogli per circa 13 miliardi per fornire i rimborsi ai clienti costretti illegalmente a queste coperture.

Durante il fine settimana, successivamente ad un’ulteriore indagine riguardante la raccolta di capitali emiratini al culmine della crisi finanziaria, la stampa inglese ha riportato alcune indiscrezioni sulla prossima dipartita dalla banca di Chris Lucas, dal 2007 direttore finanziario, e Mark Harding, general counsel. Barclays aveva già perso i vertici, compreso il numero uno Bob Diamond, ai tempi della multa da 450 milioni di dollari relativa alla manipolazione del tasso Libor. Ora la banca è guidata da Antony Jenkins, che ha rinunciato a quasi 3 milioni di bonus sul 2012 “poiché sarebbe sbagliato riceverli dopo un anno di scandali”.

Cina dà l’ok all’elezione dei Sindacati

E’ un evento! E’ la prima volta che una grande azienda locata in Cina permetterà agli operai di eleggere i propri rappresentanti sindacali.

Per l’universo del lavoro cinese si tratta senza dubbio di una svolta storica.

Un caso raro, che in qualche modo coinvolge tutto il mondo. Il gruppo asiatico che ha deciso di dire “sì” al sindacato è la Foxconn, l’azienda più grande del mondo, la quale vanta oltre 1,2 milioni di dipendenti solo in Cina. La “caduta del muro” anti-sindacale nella seconda economia globale, in allarme per la diminuzione senza precedenti della forza-lavoro, oltre che per piccole e medie imprese nazionali, dichiara di voler portare enormi cambiamenti anche per le multinazionali, le quali assieme ai bassi costi produttivi per trent’anni hanno dovuto fare i conti sull’assenza di conflittualità sindacale.

L’annuncio di prossime elezioni dei rappresentanti dei lavoratori alla Foxconn è stato anticipato in maniera ufficiosa da tre dirigenti del colosso con sede in Taiwan, primo produttore mondiale di elettronica per conto terzi.

Tra i suoi brand menzioniamo Apple, Sony, Nokia, Dell e i marchi di maggior successo di telefonia e computer.

Una volta trascorse le ferie previste per il capodanno lunare cinese, verso metà febbraio, all’interno degli stabilimenti Foxconn inizieranno i corsi per spiegare agli operai come e perché potranno eleggere liberamente, e a scrutinio segreto, i propri sindacalisti.

Usa fanno causa a Standard & Poor’s

 Barack Obama e i suoi faranno guerra a Standard & Poor’s. Le autorità statunitensi, infatti, hanno deciso di intentare una causa nei confronti del colosso del rating, reo secondo la Casa Bianca di aver fornito una valutazione positiva sui mutui ipotecari di alcune banche che hanno provocato la catastrofica crisi finanziaria che ha condotto l’America sull’orlo del baratro 5 anni or sono.

Parliamo, naturalmente, della crisi che è passata alla storia come la crisi dei ‘subprime‘.

Il Wall Street Journal ha reso nota la notizia: in base a quanto riportato sulle colonne del giornale l’azione legale dovrebbe essere avviata entro la fine della prima settimana di febbraio tanto a livello federale quanto a livello statale.

A presentare le carte in tribunale, infatti, sarà il dipartimento alla Giustizia di concerto i procuratrori di molti Stati Usa. Nello specifico l’agenzia americana, per via delle prove, alle testimonianze e alle decine di e-mail inglobate in anni di indagini è accusata di aver erogato giudizi e valutazioni eccessivamente rosee in relazione a migliaia di mutui subprime.

Mutui che successivamente sono stati ceduti da alcune banche di investimento poco prima che accadesse il grande collasso del mercato americano dei titoli immobiliari.

Un collasso che causò una grave instabilità del sistema finanziario americano e mondiale. Instabilità sfociata in una gravissima crisi economica.

Al fine di indagare sui fatti gli Stati Uniti formarono una commissione  che prese il nome di Financial Crisis Inquiry commission, la quale  nel 2011 formalizzò una conclusione molto precisa: le agenzie di rating hanno evidenti responsabilità per quello che è accaduto dal 2008 in poi. Sembrano essere implicate anche Moody’s e Fitch, le quali non sono però per il momento oggetto di azione legali.

 

Economia zona euro in ripresa

 Giungono buone notizie da Markit. Pare che finalmente l’economia che afferisce all’Area dell’euro sia in ripresa.

I direttori acquisti delle principali aziende hanno asserito di essere molto più ottimisti rispetto al passato e di aspettarsi un periodo di crescita.

In primo luogo occorre segnalare che l’indice PMI composito di Markit per l’area dell’euro, inteso come buon indicatore della crescita, è aumentato a gennaio al massimo di 10 mesi a 48,6 dal 47,2 di dicembre. Si tratta di un miglioramento rispetto alla lettura precedente di 48,2.

Ciò non toglie che tra le diverse economie statali vi siano dei divari ancora incolmabili.

L’industria privata che rappresenta quasi i due terzi dell’economia della zona euro, denota un profondo gap tra la Germania, prima economia europea, e la Francia, seconda economia europea.

Il capo economista di Markit, Chris Williamson, ha dichiarato che il blocco euro sta mostrando chiari segni di guarigione, con l’allentamento che ha di fatto reso più difficoltoso l’andamento in gennaio.

Ora siamo comunque più vicini alla stabilizzazione nel primo trimestre.

Il capo economista ha poi aggiunto che “in ogni caso la crescita è fortemente a vantaggio della Germania, dove il contrasto con la contrazione visto in Francia è il più grande visto da quando l’indagine è iniziata nel 1998.”

Il PMI composito tedesco ha messo in evidenza la crescita mensile più grande dall’agosto 2009, segnando il massimo dal giugno 2011. Invece nella vicina Francia l’indice è crollato ai minimi in quasi quattro anni.

Il PMI del settore servizi della zona euro, il quale rappresenta circa la metà dell’economia del blocco, è salito a un massimo di 10 mesi a 48,6 dal 47,8, sopra una stima flash di 48.3.