Non c’è pace per Barack Obama. Risolto, anche se solo temporaneamente, il problema del Fiscal Cliff, il presidente americano si trova alle prese con un altro problema non da poco, quello della sanità.
Non c’è pace per Barack Obama. Risolto, anche se solo temporaneamente, il problema del Fiscal Cliff, il presidente americano si trova alle prese con un altro problema non da poco, quello della sanità.
Infatti, Blankfein, è ricorso ad uno stratagemma, peraltro piuttosto semplice, per evitare che i bonus del 2012 finissero nella contabilità del 2013, anno in cui scatta l’aumento delle aliquote sui dividendi e sui patrimoni oltre i 400 mila dollari: i bonus sono stati distribuiti a dicembre, e non come al solito a gennaio, per un totale di 65 milioni di dollari che sfuggiranno alla nuova tassazione.
Con lui anche molti altri: 483 società hanno fatto ricorso alla cedola straordinaria per dicembre (lo scorso anno sono state 147) e molte altre hanno annunciato dividendi straordinari nel corso del 2012 (1.056 dividendi straordinari contro i 460 del 2011)
Ripresa economica nel 2013? Probabile, ma solo a partire dal secondo semestre, parola di Jan Hatzius.
La seconda parte dell’anno, infatti, secondo il Chief economist global investment research di Goldman Sachs è destinata a subire un’accelerazione delle tendenze di crescita.
Le aspettative nutrite sul settore privato, atto a diminuire il debito, nonché un minimo alleggerimento della pressione fiscale sono l’oggetto della minima ripresa a partire dal secondo semestre, contemplata in una nota redatta da Hatzius dal titolo “L’economia Usa nel 2013-2016: andare oltre l’ostacolo”.
Gli Usa, dunque, godranno di una crescita del 3%. Non tanto, ma neanche poco. L’economia manifesta piccoli cenni di guarigione dopo la crisi del 2008. Hatzius fonda la sua tesi sulle linee guida di un precetto finanziario che verifica le plusvalenze del settore privato come riflesso speculare del debito pubblico.
In altri termini, i cittadini risparmiano di più nel momento in cui il debito pubblico si riduce. Ciò è dovuto al fatto che la pressione fiscale, con la quale lo Stato vuole ripianare il proprio deficit, si ridimensiona.
Deficit pubblico e deficit privato si compensano. Muovendo le mosse da questo assunto Hatzius ipotizza una crescita per l’economia Usa, dal momento che i privati stanno iniziando nuovamente a risparmiare in virtù della riduzione della pressione fiscale.
Giungono così al termine i due anni di indagine avviati dalla Federal trade commission (Ftc) – l’Antitrust americano – arrivando ad un intesa con il colosso dell’informatica di Mountain View. Google non avrà più l’esclusiva per alcuni brevetti ritenuti essenziali per apparecchi telefonici di società rivali (‘iPhone e iPad della Apple, BlackBerry di Research in Motion e tutti gli smartphone che utilizzano i software Windows di Microsoft).
Una decisione storica, che toglie a Big G molto del suo primato, rendendo la vita più facile alle aziende concorrenti. Google, infatti, non potrà più neanche fare ingiunzioni in tribunale sulla questione.
L’intesa raggiunta da Google con la Federal trade commission chiude così un capitolo di trattative lungo due anni, che ha riguardato l’operato del colosso di Mountain View in tutto il mondo e ripristina, almeno nell’opinione dell’Antitrust americano, la libera concorrenza nel mercato dell’informatica mondiale, in quanto l’accordo ha valore in tutto il mondo.
Sono stati pubblicati in Minute dell’ultima riunione del Fomc, Federal Open Market Committe, il braccio operativo della Fed, dello scorso 11/12 dicembre, dai quali è emerso che la banca stessa non sembra più sicura di portare avanti il programma di riacquisto dei bond statunitensi per tutto il 2013.
Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, aveva annunciato lo scorso dicembre, l’acquisto di bond per 85 miliardi di dollari al mese, alo scopo di stimolare la crescita economica del paese. Ma dall’ultimo bollettino rilasciato i membri, tanto della Fed quanto del Fomc non sembrano più essere dello stesso avviso.
Secondo una buona parte di loro, infatti, proseguire per tutto il 2013 con il riacquisto degli asset potrebbe mettere in difficoltà la stabilità finanziaria dell’istituto stesso. Questo perché ciò che è stato fatto in Europa ha aiutato a ridurre la volatilità dei debiti sovrani della zona Euro, ma ancora non si ha una stabilità tale da fare operazioni di tale portata a cuor leggero.
Negativa la reazione dei mercati: l’indecisione della Fed hanno confuso gli operatori, con il risultato che ieri tutte le borse hanno chiuso al ribasso.
Sale in maniera esponenziale il numero dei disoccupati nell’area dell’Euro. Lo rivela un rapporto rilasciato quest’oggi dalla società di consulenza Ernst&Young, in base alla quale i dati sono allarmanti.
Lo studio contempla il numero di disoccupati nel 2013, destinato a crescere di gran lunga rispetto alle due ultime annate. Si parla di ben venti milioni di individui fuori dal mercato del lavoro.
La cifra è da record, negativo ovviamente.
2012
Nel 2012 la situazione nell’area dell’Euro era la seguente. Il numero dei disoccupati si attestava intorno ai 18,7 milioni.
2011
Due anni fa il rapporto Ernst&Young contava 15,9 milioni di disoccupati.
OGGI
Sono dunque cinque milioni in più i disoccupati rispetto al 2010. La crescita dell’anno scorso ha fatto ben sperare, ma quest’anno il mercato del lavoro, per via del calo dello 0,2% del Prodotti Interno Lordo europeo promette crisi nera.
La prognosi, per quanto ancora riservata, è assolutamente negativa circa le condizioni del ‘paziente’.
PAESI CON IL PIU’ ALTO TASSO DI DISOCCUPAZIONE
A preoccupare gli esperti sono soprattutto Grecia e Italia.
In Grecia il calo del Pil (quest’anno si porterà al -4,3%) unito alla mancata crescita (il rating greco è leggermente salito, ma non ci sarà un miglioramento delle condizioni economiche del Paese prima del 2015), fanno si che le proiezioni per il 2013 siano le seguenti: In percentuale i disoccupati sulla popolazione attiva rappresentano il 28%.
Preoccupa anche la situazione italiana. Le regioni del Mezzogiorno sono quelle che soffrono di più la disoccupazione, il cui tasso quest’anno supererà il 22%.
GERMANIA
Ottime, nel compenso, le condizioni di salute del mercato del lavoro tedesco. La Germania è fuori dalle classifiche negative, in virtù del fatto che il suo tasso di disoccupazione rimane stabile al 6,8%.
Dopo i brindisi di ieri le Borse tirano il freno e chiudono con il segno meno. L’euforia per il raggiungimento dell’accorso sul Fiscal Cliff è durato poco. Diversi economisti e le agenzie di rating Standard & Poors e Moody’s hanno affermato che l’accordo non è sufficiente e i problemi per il futuro degli Stati Uniti e del suo debito sono ancora presenti.
Anche il Fondo Monetario Internazionale ha lanciato l’allarme sull’accordo raggiunto diminuendo l’euforia che c’era ieri. Per l’Fmi c’è ancora molto da fare e la ripresa economica negli Stati Uniti è ancora debole.
A Milano titoli bancari scendono dopo l’impennata di ieri, dove alcuni sono arrivati anche al +5%. Mps -0,17%, Bper -0,90%, Ubi Banca -0,11% e Intesa SanPaolo -0,15%. Segno più per Banca Popolare di Milano +0,56%, giù Banco Popolare e Unicredit +0,10%.
Negative anche Enel -0,86%, A2A -1,41% e Ansaldo -1,18%. Segno più invece per Finmeccanica +1,20%, Impregilo +2,44%, Lottomatica +1,25% e Pirelli +1,01%. Fiat aumenta dello 0,5% ed è sotto osservazione dopo i dati sulle vendite della Fiat 500 negli Stati Uniti che hanno fatto registrare un aumento del 121%.
Lo Spread, e cioè il differenziale tra i titoli di Italia e Germania a 10 anni arriva a 288 punti base dopo che ieri era sceso a 283 punti.
Ottimo successo della Fiat negli Stati Uniti nel 2012. A segnare questo successo è soprattutto la Fiat 500. Le vendite sono andate molto bene con 43.772 Fiat 500 vendute negli Stati Uniti. L’aumento delle vendite è del 121%.
In generale, a dicembre la Fiat ha aumentato le sue vendite negli Stati Uniti del 59%. Dieci mesi di vendite a livello record che dimostrano l’importanza della partnership con Chrysler. Il Chrysler Group ha comunicato questi dati ed emerge anche come la Fiat ha venduto più di 50 mila auto negli Stati Uniti, in Canada e in Messico. Una parte del mercato dove ora la Fiat è presente.
Negli Stati Uniti aumentano anche le vendite di Dodge del 26% a dicembre. La casa automobilistica continua a crescere come auto vendute e da cinque anni non aveva un dicembre con questi risultati. In crescita anche il marchio Ram Truck con il 16%.
Il marchio Chrysler ha avuto una crescita generale del 6% ed cresce da 18 mesi consecutivi. Nel 2012 il marchio è cresciuto del 39% rispetto all’anno precedente.
Nel mese di dicembre sono in diminuzione invece le vendite di Jeep del 9%. Rispetto all’anno precedente Jeep è comunque in crescita del 13% dopo anni in cui questo non avveniva.
La classifica degli uomini più ricchi del mondo, il “Bloomberg Billionaires Index”, vede ancora Carlos Slim, imprenditore messicano che è diventato il più importante impresario di telecomunicazioni nell’America Latina, al primo posto, con un patrimonio di 75,2 miliardi di dollari, dei quali 13,4 sono stati guadagnati nel 2012.
Dopo di lui il sempre presente Bill Gates con 62,7 miliardi (7 guadagnati nell’ultimo anno) e, al terzo posto, Amancio Ortega (conosciuto nel modo per essere uno dei proprietari di Zara) che, con il suo patrimonio di 57.5 miliardi (22 i miliardi guadagnati nell’ultimo anno) ha scalzato Warren Buffet, economista americano a capo della Berkshire Hathaway (50 miliardi di dollari nel 2012).
Ma ciò che stupisce di più non è solo il fatto che i ricchi continuino ad essere ricchi, ma che i loro patrimoni, a dispetto delle condizioni economiche avverse, aumentano costantemente: il patrimonio complessivo dei super ricchi è cresciuto di 241 miliardi di dollari.
Ecco la lista dei dieci uomini più ricchi del mondo:
1. Carlos Slim Helú: 75.2 miliardi di dollari
2. Bill Gates: 62.7 miliardi
3. Amancio Ortega: 57.5 miliardi
4. Warren Buffett: 47.9 miliardi
5. Ingvar Kamprad: 42.9 miliardi
6. Charles Koch: 40.9 miliardi
7. David Koch: 40.9 miliardi
8. Larry Ellison. 39.3 miliardi
9. Bernard Arnault: 28.8 miliardi
10. Alwaleed bin Talal Al Saud: 28.7 miliardi
Il Fondo Monetario Internazionale e l’Unione Europea hanno concesso, in totale, 530 miliardi di euro ai paesi del’Europa che si trovavano nelle condizioni peggiori per cercare di salvare queste economie e evitare, di conseguenza, un duro contraccolpo per tutti gli altri paesi. Ma che fine hanno fatto questi soldi? Quali sono stati i risultati di questa iniezione di liquidi?
La maggior parte dei fondi di aiuti sono stati destinati a finanziare i debiti delle banche. E’ successo in Irlanda, dove degli 85 miliardi ricevuti, 64 sono andati nelle casse degli istituti di credito, devastate da anni di finanza e investimenti poco oculati.
Lo stesso è accaduto anche per altri paesi, come il Portogallo, la Grecia e la Spagna dove però, nonostante gli aiuti e i dolorosi interventi dei governi sulla spesa pubblica e sulla pressione fiscale, i risultati stanno arrivando più lentamente. La situazione che preoccupa ancora è quella della Spagna, dove la ricapitalizzazione di alcune delle banche più importanti è appena avvenuta e la popolazione continua a soffrire per la mancanza di lavoro (il tasso di disoccupazione è arrivato al 25%).
Un altro Paese che sta allarmando parecchio è Cipro. Il paese, secondo Standard’s & Poor, è a serio rischio default, e potrebbe diventare la bomba ad orologeria per tutto il sistema.