Twitter prepara il terreno per l’ipo

 Sono in tanti a pensare che anche Twitter sta preparando il suo approdo in borsa. Soprattutto GreenCrest Capital, una società specializzata nello studio delle offerte pubbliche di acquisto, che, dati i cambiamenti che si stanno facendo sul social network, ha parlato di una possibile quotazione sul Nasdaq nel 2014.

Infatti, in questo ultimo periodo, Twitter sta subendo un riassetto del management e delle sue funzionalità, oltre che una maggiore concentrazione sull’advertising, tutte mosse che porterebbero a delle buone quotazioni. Secondo gli analisti, la capitalizzazione del sito di microblogging dovrebbe valere intorno agli 11 miliardi di dollari, molti di più di quanto Forbes ha stimato nel 2011 (circa 8 miliardi).

I social network quotati in borsa, ad oggi, sono due: Facebook e Linkedin, che hanno avuto dei destini opposti. Facebook, dopo la quotazione, ha perso circa un quarto del suo valore iniziale, mentre Linkedin ne ha guadagnato circa un quinto.

Quale sarà la sorte di Twitter? I dati che si hanno a disposizione fanno ben sperare, soprattutto il fatto che da qualche giorno si mormora di una possibile acquisizione del social da parte di Apple, che ha fatto subito alzare il valore dei titoli sul mercato secondario.

Altri guai per Obama: le compagnie assicurative aumentano i prezzi

 Non c’è pace per Barack Obama. Risolto, anche se solo temporaneamente, il problema del Fiscal Cliff, il presidente americano si trova alle prese con un altro problema non da poco, quello della sanità.

Sono molte le compagnie assicurative che, in attesa che nel 2014 entri definitivamente in vigore la riforma della sanità voluta dal presidente, stanno applicando dei prezzi particolarmente alti a chi deve comperare una polizza sanitaria, a discapito, ovviamente, delle fasce più deboli. E’ il New York Timesa gridare allo scandalo.La riforma Obama-care è stata varata nel 2010 (anche in quel caso si trattò di un compromesso strappato da Obama al Congresso all’ultimo minuto) ma entrerà definitivamente in vigore solo nel 2014 e nel frattempo le compagnie assicurative private ne approfittano per aumentare i loro margini di guadagno. Secondo il N.Y Times i rincari si aggirano tra il 20 e il 30%, un balzo pesantissimo per chi deve acquistare una singola polizza o per quelle aziende che devono farlo per un numero ridotto di dipendenti.Secondo il quotidiano la situazione non è destinata a migliorare neanche il prossimo anno, perché la riforma ha una grande lacuna: sono i singoli stati a poter decidere fino a che punto far arrivare i rialzi, non esistendo una legge federale comune. 

 

Come i ricchi hanno aggirato il Fiscal Cliff

 

La vittoria, ancora parziale, del programma di Obama per evitare il Fiscal Cliff è stata funestata dalla notizia che, proprio coloro che hanno parlato di un aumento delle tasse per i ricchi, hanno trovato la soluzione per non farsi decurtare lo stipendio del 2013.
Il primo tra tutti a riuscire nell’impresa è stato Llyod Blankfein, amministratore delegato di Goldman Sachs. Blankfein, che è alla guida di una delle banche americane che ha reagito meglio alla crisi, a novembre dichiarava che la soluzione migliore per evitare il Fiscla Cliff era quella di aumentare le tasse ai ricchi. Senza precisare, però, che nell’elenco dei ricchi da tassare il suo nome non doveva comparire e neanche quello dei top manager della sua banca.

Infatti, Blankfein, è ricorso ad uno stratagemma, peraltro piuttosto semplice, per evitare che i bonus del 2012 finissero nella contabilità del 2013, anno in cui scatta l’aumento delle aliquote sui dividendi e sui patrimoni oltre i 400 mila dollari: i bonus sono stati distribuiti a dicembre, e non come al solito a gennaio, per un totale di 65 milioni di dollari che sfuggiranno alla nuova tassazione.

Con lui anche molti altri: 483 società hanno fatto ricorso alla cedola straordinaria per dicembre (lo scorso anno sono state 147) e molte altre hanno annunciato dividendi straordinari nel corso del 2012 (1.056 dividendi straordinari contro i 460 del 2011)

 

 

Usa, ripresa economica nel secondo semestre del 2013

Ripresa economica nel 2013? Probabile, ma solo a partire dal secondo semestre, parola di Jan Hatzius.

La seconda parte dell’anno, infatti, secondo il Chief economist global investment research di Goldman Sachs è destinata a subire un’accelerazione delle tendenze di crescita.

Le aspettative nutrite sul settore privato, atto a diminuire il debito, nonché un minimo alleggerimento della pressione fiscale sono l’oggetto della minima ripresa a partire dal secondo semestre, contemplata in una nota redatta da Hatzius dal titolo “L’economia Usa nel 2013-2016: andare oltre l’ostacolo”.

Gli Usa, dunque, godranno di una crescita del 3%. Non tanto, ma neanche poco. L’economia manifesta piccoli cenni di guarigione dopo la crisi del 2008. Hatzius fonda la sua tesi sulle linee guida di un precetto finanziario che verifica le plusvalenze del settore privato come riflesso speculare del debito pubblico.

In altri termini, i cittadini risparmiano di più nel momento in cui il debito pubblico si riduce. Ciò è dovuto al fatto che la pressione fiscale, con la quale lo Stato vuole ripianare il proprio deficit, si ridimensiona.

Deficit pubblico e deficit privato si compensano. Muovendo le mosse da questo assunto Hatzius ipotizza una crescita per l’economia Usa, dal momento che i privati stanno iniziando nuovamente a risparmiare in virtù della riduzione della pressione fiscale.

Google costretta alla liberalizzazione dei brevetti

 Giungono così al termine i due anni di indagine avviati dalla Federal trade commission (Ftc) – l’Antitrust americano – arrivando ad un intesa con il colosso dell’informatica di Mountain View. Google non avrà più l’esclusiva per alcuni brevetti ritenuti essenziali per apparecchi telefonici di società rivali (‘iPhone e iPad della Apple, BlackBerry di Research in Motion e tutti gli smartphone che utilizzano i software Windows di Microsoft).

Una decisione storica, che toglie a Big G molto del suo primato, rendendo la vita più facile alle aziende concorrenti. Google, infatti, non potrà più neanche fare ingiunzioni in tribunale sulla questione.

 

E’ una buona notizia anche per gli inserzionisti pubblicitari, che avranno un maggiore flessibilità per le loro campagne. Ad esempio, Google ha deciso di rimuovere tutte le restrizioni di AdWords, uno dei suoi più potenti strumenti, in modo da dare agli inserzionisti la possibilità di controllare l’andamento e i risultati delle loro campagne e confrontarle con quelle fatte su alte piattaforme.

L’intesa raggiunta da Google con la Federal trade commission chiude così un capitolo di trattative lungo due anni, che ha riguardato l’operato del colosso di Mountain View in tutto il mondo e ripristina, almeno nell’opinione dell’Antitrust americano, la libera concorrenza nel mercato dell’informatica mondiale, in quanto l’accordo ha valore in tutto il mondo.

Fed indecisa sul riacquisto dei bond. I mercati reagiscono male

 Sono stati pubblicati in Minute dell’ultima riunione del Fomc, Federal Open Market Committe, il braccio operativo della Fed, dello scorso 11/12 dicembre, dai quali è emerso che la banca stessa non sembra più sicura di portare avanti il programma di riacquisto dei bond statunitensi per tutto il 2013.

Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, aveva annunciato lo scorso dicembre, l’acquisto di bond per 85 miliardi di dollari al mese, alo scopo di stimolare la crescita economica del paese. Ma dall’ultimo bollettino rilasciato i membri, tanto della Fed quanto del Fomc non sembrano più essere dello stesso avviso.

Secondo una buona parte di loro, infatti, proseguire per tutto il 2013 con il riacquisto degli asset potrebbe mettere in difficoltà la stabilità finanziaria dell’istituto stesso. Questo perché ciò che è stato fatto in Europa ha aiutato a ridurre la volatilità dei debiti sovrani della zona Euro, ma ancora non si ha una stabilità tale da fare operazioni di tale portata a cuor leggero.

Negativa la reazione dei mercati: l’indecisione della Fed hanno confuso gli operatori, con il risultato che ieri tutte le borse hanno chiuso al ribasso.

Nel 2013 venti milioni di disoccupati nell’Eurozona

Sale in maniera esponenziale il numero dei disoccupati nell’area dell’Euro. Lo rivela un rapporto rilasciato quest’oggi dalla società di consulenza Ernst&Young, in base alla quale i dati sono allarmanti.

Lo studio contempla il numero di disoccupati nel 2013, destinato a crescere di gran lunga rispetto alle due ultime annate. Si parla di ben venti milioni di individui fuori dal mercato del lavoro.

La cifra è da record, negativo ovviamente.

2012

Nel 2012 la situazione nell’area dell’Euro era la seguente. Il numero dei disoccupati si attestava intorno ai 18,7 milioni.

2011

Due anni fa il rapporto Ernst&Young contava 15,9 milioni di disoccupati.

OGGI

Sono dunque cinque milioni in più i disoccupati rispetto al 2010. La crescita dell’anno scorso ha fatto ben sperare, ma quest’anno il mercato del lavoro, per via del calo dello 0,2% del Prodotti Interno Lordo europeo promette crisi nera.

La prognosi, per quanto ancora riservata, è assolutamente negativa circa le condizioni del ‘paziente’.

PAESI CON IL PIU’ ALTO TASSO DI DISOCCUPAZIONE

A preoccupare gli esperti sono soprattutto Grecia e Italia.

In Grecia il calo del Pil (quest’anno si porterà al -4,3%) unito alla mancata crescita (il rating greco è leggermente salito, ma non ci sarà un miglioramento delle condizioni economiche del Paese prima del 2015), fanno si che le proiezioni per il 2013 siano le seguenti: In percentuale i disoccupati sulla popolazione attiva rappresentano il 28%.

Preoccupa anche la situazione italiana. Le regioni del Mezzogiorno sono quelle che soffrono di più la disoccupazione, il cui tasso quest’anno supererà il 22%.

GERMANIA

Ottime, nel compenso, le condizioni di salute del mercato del lavoro tedesco. La Germania è fuori dalle classifiche negative, in virtù del fatto che il suo tasso di disoccupazione rimane stabile al 6,8%.

Milano male dopo i dubbi sull’accordo per il Fiscal Cliff

 Dopo i brindisi di ieri le Borse tirano il freno e chiudono con il segno meno. L’euforia per il raggiungimento dell’accorso sul Fiscal Cliff è durato poco. Diversi economisti e le agenzie di rating Standard & Poors e Moody’s hanno affermato che l’accordo non è sufficiente e i problemi per il futuro degli Stati Uniti e del suo debito sono ancora presenti.

Anche il Fondo Monetario Internazionale ha lanciato l’allarme sull’accordo raggiunto diminuendo l’euforia che c’era ieri. Per l’Fmi c’è ancora molto da fare e la ripresa economica negli Stati Uniti è ancora debole.

A Milano titoli bancari scendono dopo l’impennata di ieri, dove alcuni sono arrivati anche al +5%. Mps -0,17%, Bper -0,90%, Ubi Banca -0,11% e Intesa SanPaolo -0,15%. Segno più per Banca Popolare di Milano +0,56%, giù Banco Popolare e Unicredit +0,10%.

Negative anche Enel -0,86%, A2A -1,41% e Ansaldo -1,18%. Segno più invece per Finmeccanica +1,20%, Impregilo +2,44%, Lottomatica +1,25% e Pirelli +1,01%. Fiat aumenta dello 0,5% ed è sotto osservazione dopo i dati sulle vendite della Fiat 500 negli Stati Uniti che hanno fatto registrare un aumento del 121%.

Lo Spread, e cioè il differenziale tra i titoli di Italia e Germania a 10 anni arriva a 288 punti base dopo che ieri era sceso a 283 punti.

 

Fiat molto bene a dicembre negli Stati Uniti

 Ottimo successo della Fiat negli Stati Uniti nel 2012. A segnare questo successo è soprattutto la Fiat 500. Le vendite sono andate molto bene con 43.772 Fiat 500 vendute negli Stati Uniti. L’aumento delle vendite è del 121%.

In generale, a dicembre la Fiat ha aumentato le sue vendite negli Stati Uniti del 59%. Dieci mesi di vendite a livello record che dimostrano l’importanza della partnership con Chrysler. Il Chrysler Group ha comunicato questi dati ed emerge anche come la Fiat ha venduto più di 50 mila auto negli Stati Uniti, in Canada e in Messico. Una parte del mercato dove ora la Fiat è presente.

Negli Stati Uniti aumentano anche le vendite di Dodge del 26% a dicembre. La casa automobilistica continua a crescere come auto vendute e da cinque anni non aveva un dicembre con questi risultati. In crescita anche il marchio Ram Truck con il 16%.

Il marchio Chrysler ha avuto una crescita generale del 6% ed cresce da 18 mesi consecutivi. Nel 2012 il marchio è cresciuto del 39% rispetto all’anno precedente.

Nel mese di dicembre sono in diminuzione invece le vendite di Jeep del 9%. Rispetto all’anno precedente Jeep è comunque in crescita del 13% dopo anni in cui questo non avveniva.

La crisi non tocca i grandi patrimoni: i ricchi sono sempre più ricchi

 La classifica degli uomini più ricchi del mondo, il “Bloomberg Billionaires Index”, vede ancora Carlos Slim, imprenditore messicano che è diventato il più importante impresario di telecomunicazioni nell’America Latina, al primo posto, con un patrimonio di 75,2 miliardi di dollari, dei quali 13,4 sono stati guadagnati nel 2012.

Dopo di lui il sempre presente Bill Gates con 62,7 miliardi (7 guadagnati nell’ultimo anno) e, al terzo posto, Amancio Ortega (conosciuto nel modo per essere uno dei proprietari di Zara) che, con il suo patrimonio di 57.5 miliardi (22  i miliardi guadagnati nell’ultimo anno) ha scalzato Warren Buffet, economista americano a capo della Berkshire Hathaway (50 miliardi di dollari nel 2012).

Ma ciò che stupisce di più non è solo il fatto che i ricchi continuino ad essere ricchi, ma che i loro patrimoni, a dispetto delle condizioni economiche avverse, aumentano costantemente: il patrimonio complessivo dei super ricchi è cresciuto di 241 miliardi di dollari.

Ecco la lista dei dieci uomini più ricchi del mondo:

1. Carlos Slim Helú: 75.2 miliardi di dollari
2. Bill Gates: 62.7 miliardi
3. Amancio Ortega: 57.5 miliardi
4. Warren Buffett: 47.9 miliardi
5. Ingvar Kamprad: 42.9 miliardi
6. Charles Koch: 40.9 miliardi
7. David Koch: 40.9 miliardi
8. Larry Ellison. 39.3 miliardi
9. Bernard Arnault: 28.8 miliardi
10. Alwaleed bin Talal Al Saud: 28.7 miliardi