Bilancio in positivo per Atlantica Digital

Atlantica Digital chiude in positivo il primo anno di attività. I ricavi sono pari a 54,6 milioni di euro, un utile di 1,4 milioni (2,5%) e un utile netto di 1,2 milioni (2,3%).

Il fatturato è stato generato da clienti della Pubblica Amministrazione per il 37%, clienti Telco per il 16%, clienti Smart Metering per il 16%, clienti Finance per il 10%, clienti Media per il 10% e dal resto del mercato per l’11%.

Nel 2018 Atlantica Digital, che dal 1987 opera come Atlantica Sistemi SpA, è stata protagonista di due momenti importanti.

Da un lato, l’acquisto dal gruppo Ericsson Telecomunicazioni SpA del ramo di azienda denominato “Ericsson Industry & Society IT Business”, dall’altro l’operazione di fusione inversa per incorporazione del socio unico Atlantica Sistemi S.p.A. in Atlantica Digital S.r.l., trasformata poi in società per azioni, Atlantica Digital SPA.

Modificata anche l’organizzazione interna che ha visto la costituzione di due Direzioni Generali dirette da due manager, Carmine D’Acierno e Fabrizio Del Nero, provenienti da Società multinazionali, con esperienza pluridecennale nel settore IT (Information Technology).

Le due importanti unità, che fanno capo all’Amministratore Delegato, Pierre Levy, sono: la Direzione Generale Business che coordina tutte le attività commerciali e tecniche dell’azienda e la Direzione Generale Amministrazione e Controllo.

Atlantica Digital ha sedi a Roma, Milano e Rende (CS). Può contare su circa 400 specialisti IT, di questi 200 sono dipendenti diretti, e ha nel suo portafoglio oltre 100 Clienti primari pubblici e privati.

L’offerta di Atlantica si articola su quattro principali aree di business: Smart Metering, System&Data Management, Digital Transformation e CyberSecurity.

L’assistenza legale globale necessaria per la realizzazione di diverse infrastrutture

Il ruolo che le infrastrutture di trasporto e logistica possono svolgere per la ripresa economica dell’Italia è stato affrontato nella sessione “Infrastrutture di Trasporto e Logistica per la Crescita Economica”, curata dallo Studio Legale Associato Magrì-Sersale-Ambroselli.

Il momento di riflessione si è tenuto nell’ambito del workshop “Il ruolo delle professioni nell’economia del Paese” organizzato congiuntamente dagli Studi Legali Tonucci&Partners, Magrì-Sersale-Ambroselli ed Indrieri&Associati, in occasione del Salone della Giustizia.

I lavori della sessione sono stati introdotti dall’avvocato Ennio Magrì, il quale ha evidenziato che il suo Studio legale ha sempre fornito “assistenza legale globale, necessaria per la realizzazione di infrastrutture di qualsivoglia tipologia, coprendo tutti gli aspetti giuridici connessi alle stesse”.

Tra le opere più rilevanti a cui lo Studio Legale Associato Magrì-Sersale-Ambroselli ha dato completa assistenza legale globale figurano la realizzazione del Centro Direzionale di Napoli, della Tangenziale di Napoli, della Fiera di Milano, del nuovo quartiere City Life di Milano, del Termovalorizzatore di Acerra, della linea 6 della Metropolitana di Napoli, delle Ferrovie regionali Alifana e Circumvesuviana della Campania.

“Tutte opere – ha evidenziato l’avv. Magrì – che si sono dimostrate indispensabili per lo sviluppo del territorio in cui si trovano e di conseguenza per lo sviluppo del Paese”.

Il prof. Ennio Cascetta, che è stato Coordinatore nella Struttura Tecnica di Missione per l’Indirizzo Strategico, lo Sviluppo delle Infrastrutture e l’Alta Sorveglianza presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; Presidente dell’ANAS ed attualmente, tra l’altro, anche Presidente della Metropolitana di Napoli S.p.A., ha spiegato – con l’ausilio di diversi grafici – che dal 2009 al 2018 è cresciuto il traffico merci, su tutte le modalità ad eccezione del ferroviario convenzionale, e si è incrementato il traffico passeggeri.

Tra gli interventi utili da attuare, il prof. Cascetta ha indicato la valorizzazione dei sistemi produttivi, migliorando l’accessibilità ai mercati nazionali ed esteri, l’incremento dell’accessibilità ai poli turistici, la riduzione della bolletta logistica italiana, il decongestionamento e la sostenibilità delle aree urbane, la messa in sicurezza delle infrastrutture esistenti e infine equilibrare l’accessibilità delle diverse aree del territorio.

Il Direttore Generale di ALIS – Associazione Logistica della Intermodalità Sostenibile, Marcello Di Caterina, si è soffermato sulla sostenibilità in termini ambientali di ogni opera infrastrutturale e sulla grande opportunità che offre l’intermodalità nei trasporti.

Un’analisi economico-sociale relativa all’Italia e alla sua posizione in Europa è stata tracciata dal prof. Massimo Lo Cicero, attualmente docente presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e già Componente del Comitato Scientifico, a suo tempo incaricato dal MIT per la predisposizione delle Linee Guida del Piano Generale della Mobilità del Ministero dei Trasporti.

“Dopo la ricaduta del 2018 e del primo trimestre del 2019, bisogna assolutamente riprendere – ha osservato l’economista – la crescita e lo sviluppo economico con una sorta di new deal per trasformare il nostro nuovo futuro possibile”.

Big Data: l’importanza di saperli interpretare

Si parla di Big Data quando si ha un insieme talmente grande e complesso di dati da richiedere la definizione di nuovi strumenti e metodologie per estrapolare, gestire e processare informazioni entro un tempo ragionevole.

Fincantieri: la nave costruita per la Cina è tutta Made in Italy

Si chiama “Costa Venezia”, è tutta Made in Italy e al suo interno fa rivivere l’unicità della cultura veneziana e italiana. È la nave da crociera costruita per il mercato cinese negli stabilimenti di Fincantieri a Monfalcone.

La consegna ufficiale a Costa Group da parte dell’eccellenza italiana nel settore della cantieristica, è avvenuta a Monfalcone, mentre a Trieste venerdì 1 marzo si è tenuto il battesimo della nave con una cerimonia in grande stile.

Il nome della nave da Crociera deriva dalla sua struttura interna che rappresenta una riproduzione di una Venezia in miniatura.

A dare il loro saluto alla nuova nave erano presenti il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo Gian Marco Centinaio, il sindaco Roberto Dipiazza, il governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, Giuseppe Bono amministratore delegato di Fincantieri, Mario Zanetti direttore generale di Costa Group Asia, Michael Thamm amministratore delegato del Gruppo Costa e di Carnival Asia e le autorità del Porto di Trieste.

“Costa Crociere – ha affermato il ministro Centinaio – è l’orgoglio dell’Italia in giro per il mondo. E’ una nave costruita da Fincantieri per Costa Asia e dedicata al mercato asiatico e servirà a fare sognare gli asiatici e far sì che vengano in Italia nel maggior numero possibile”.

Costa Venezia rientra in un piano di espansione che porterà alla luce sette nuove navi, pronte a partire entro il 2023, per un investimento complessivo di più di 6 miliardi di euro. La nave pesa 135.500 tonnellate lorde, è lunga 323 metri e potrà contenere più di 5.100 viaggiatori.

“Questa nave – ha evidenziato l’ad del Gruppo Costa e Carnival Asia, Michael Thamm – aiuterà a sviluppare ulteriormente il mercato delle crociere in Cina che ha un grandissimo potenziale tuttora inesplorato. Basti pensare che i cinesi in crociera sono attualmente circa 2,5 milioni l’anno, ovvero meno del 2% del totale che viaggiano all’estero”.

Nel corso della cerimonia per il battesimo di Costa Venezia a Trieste, il governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, ha detto: “Ho l’orgoglio di poter dire che Costa Venezia è una nave da crociera made in Friuli Venezia Giulia perché costruita a Monfalcone da Fincantieri con il contributo delle imprese della filiera della navalmeccanica che operano in regione”.

“Trieste – ha proseguito Fedriga – non è conosciuta a livello mondiale come lo è Venezia, ma proprio per questo, da gioiello nascosto quale essa è, molte persone grazie a questo evento hanno avuto modo di apprezzarne non solo la bellezza, ma anche la sua storia di città cosmopolita e dal profilo internazionale”.

“Nel concreto, sul piano occupazionale – ha concluso – la Regione, in accordo con Fincantieri, ha creato dei percorsi formativi finalizzati a soddisfare le esigenze del comparto navalmeccanico dando un impulso significativo al mercato del lavoro”.

I festeggiamenti sono stati aperti nel pomeriggio di venerdì dal sorvolo delle Frecce Tricolori sopra la nave e sopra Piazza Unità d’Italia. A seguire l’alza e ammaina bandiera sulle note dell’inno nazionale, la cerimonia della campana, la benedizione della nave impartita dall’arcivescovo mons. Giampaolo Crepaldi e il taglio del nastro da parte della madrina Beiye Gan e del comandante Giulio Valestra.

https://youtu.be/4F5Z-GVoz2s

A chiudere nel modo migliore questa giornata di festa sono stati a mezzanotte i 3.000 fuochi d’artificio con i quali Costa Venezia ha festeggiato con la città di Trieste il suo “battesimo”.

Il design interno di Costa Venezia è un vero e proprio viaggio virtuale a Venezia. Il cuore della nave ricorda Piazza San Marco, circondata da bar e ristoranti. Nel Teatro Rosso, che è simile a La Fenice, vi sono in programma eventi a tema, mentre il Ponte Lido di Venezia ospita la piscina e un grande prendisole. Arredi e decorazioni sono realizzati nello stile della Serenissima, con sete, broccati e velluti.

Dopo “Costa Venezia”, la prossima nuova nave del gruppo a entrare in servizio, nell’ottobre 2019, sarà “Costa Smeralda”, nuova ammiraglia del marchio Costa Crociere e prima nave per il mercato globale alimentata a LNG. Una seconda nave progettata esclusivamente per il mercato cinese, gemella di “Costa Venezia”, è attualmente in costruzione da Fincantieri a Marghera, con consegna prevista nel 2020.

Geneve Invest analizza la situazione economica in Turchia

 “Per capire le condizioni economiche della Turchia bisogna conoscere bene il contesto politico”, spiegano subito da Geneve Invest. Il tasso di inflazione annuale turco è salito a maggio 2018 al 12,2% rispetto al 10,9% di aprile, certificando definitivamente la situazione di grande difficoltà della lira turca, oggi uno dei temi più complessi da affrontare per l’economia dello stato eurasiatico. La banca centrale è intervenuta per arrestare il calo della moneta nazionale, che negli ultimi 12 mesi ha perso più di un quinto del suo valore rispetto al dollaro, portando i tassi d’interesse al livello record del 16,5%, con un aumento di 300 punti base, senza però risolvere i problemi strutturali di una Turchia che patisce la politica di “crescita a tutti i costi” del presidente, appena rieletto, Recep Tayyip Erdogan, che ha gonfiato a dismisura l’economia con  continui incentivi statali. Se è vero che il prodotto interno lordo ha registrato un aumento del 7,4% durante il primo trimestre dell’anno precedente, superando la stima media del 7%, bisogna però tenere in conto che sia i consumatori che i produttori sono stati più pessimisti nel secondo trimestre, soffrendo per il calo nel programma di incentivi statali, che si sta allentando.

“Questa dinamica – spiegano gli analisti di Geneve Invest, società di gestione patrimoniale con sede a Lussemburgo e Ginevra – è legata alla visione economica, decisamente non convenzionale, di Erdogan, secondo cui sono i tassi di interesse più alti a guidare a guidare l’inflazione, e non il contrario. Per questo, sino ad oggi la banca centrale ha avuto poco spazio nella gestione del fenomeno, e oggi, con una lira debole, la crescita prevista è inevitabilmente più bassa rispetto a quanto immaginato, intorno al 4% secondo i dati dell’istituto di statistica turco, contro il 7.4 del 2017 – continuano da Geneve Invest”.

Ad oggi i livelli del debito pubblico turco, il 28% del PIL, rimangono ben al di sotto della media europea, ma la Turchia dipende pesantemente dal capitale straniero. Il suo disavanzo delle partite correnti, uno dei più grandi al mondo, si è attestato al 5,6% alla fine del 2017, rispetto al 3,8% dell’anno precedente.

“Il debito estero del paese, sia privato che pubblico – analizza Neri Camici di Geneve Invest –  è quasi raddoppiato dal 38% del PIL del 2008 a quasi il 70% di oggi, sino a raggiungere la cifra di 450 miliardi di dollari, cioè a dire il più grande debito estero del mondo rispetto al PIL per un’economia emergente, con il settore privato che rappresenta il 70% di questo debito. Anche se queste vulnerabilità non sono nuove – approfondisce Camici di Geneve Invest, che, fra le altre cose, si occupa di investimenti a tasso fisso – manca una visione strutturale chiara per l’economia turca, che ha subito in maniera pesantissima l’inasprimento della politica monetaria negli Stati Uniti, con un calo di oltre il 18% rispetto al dollaro da inizio anno e una perdita di valore complessiva che, dal 2013, supera il 50%. Sono tutte cose collegate fra loro – concludono da Geneve Invest – in quanto è proprio a partire dalle difficoltà della lira turca che le società locali hanno grandi difficoltà a fronteggiare il debito estero, di cui si spiegava poco sopra la grande entità.”

Il Fondo Monetario internazionale stimava che la crescita economica della Turchia sarebbe scesa al 4,3% quest’anno, dal 7% nel 2017. Tuttavia, è importante notare che questa proiezione è stata fatta prima che il paese si registrasse il picco inflazionario vissuto a partire dall’aprile scorso. Per questo, più recentemente, Moody’s ha abbassato le sue previsioni per il PIL della Turchia al 2,5%, un calo che renderebbe la situazione economica turca ancora più complessa.

Geneve Invest fa il punto sulla crisi finanziaria Argentina

 Sono passati pochi mesi da quando in tanti celebravano il ritorno dell’Argentina sul palcoscenico dell’economia globale. Negli ultimi due anni, Mauricio Macri, il presidente argentino dalle idee liberiste che ha dato nuovo impulso al paese sudamericano, è stato elogiato come l’uomo in grado di rimettere in sesto il settore finanziario di Buenos Aires. Di colpo, però, all’inizio di maggio, la luce si è spenta. Il peso, la moneta nazionale argentina, è crollato ai minimi storici e il ministro del tesoro non ha avuto altra scelta, se non quella di recarsi a Washington e chiudere un accordo con il Fondo Monetario Internazionale, per scongiurare l’estremizzazione di una crisi economica le cui proporzioni sono, già adesso, molto importanti. Che cosa è andato storto? Ne discutiamo con Neri Camici, esperto di mercati finanziari per Geneve Invest società indipendente di gestione patrimoniale con sedi a Ginevra e Lussemburgo.

“L’Argentina è interessata da anni da seri problemi economici, ma i suoi problemi strutturali sono sempre stati attutiti dal boom delle materie prime degli ultimi decenni, che hanno aiutato il paese a rimborsare quanto dovuto al Fondo Monetario Internazionale, sino a cancellare integralmente, nel 2007, il debito nei confronti dell’FMI. – spiega l’esperto di Geneve Invest – “Il problema è che l’economia argentina, che si era in qualche modo stabilizzata durante la presidenza di Néstor Kirchner, dal 2003 al 2007, è tornata a traballare sotto la guida della moglie, Cristina Fernández de Kirchner, che dal 2007 al 2015 – continuano da Geneve Invest – ha aumentato a dismisura la spesa pubblica, nazionalizzando decine di compagnie industriali. Inoltre, ha imposto il controllo del tasso di cambio, alimentando lo sviluppo di un mercato nero per i dollari e una forte distorsione dei prezzi.”

Mauricio Macri, eletto presidente nel 2015, ha costruito il suo successo sulla promessa di allentare il controllo statale sulla finanza, riportando l’Argentina in un’economia orientata al mercato, in cui fossero l’offerta e la domanda, e non lo Stato, a definire i prezzi. L’impegno di Macri si è profuso soprattutto in direzione degli investitori stranieri, con una campagna globale atta a migliorare la reputazione del paese e un piano strutturale per ridurre l’inflazione (ereditata al 40%) e contenere la spesa pubblica.

“Sull’onda delle riforme del presidente Macri – fanno il punto, ancora, da Geneve Invest – la Banca centrale Argentina ha emesso molte obbligazioni a breve termine, ampliando notevolamente l’emissione di Lebac (abbreviazione di Letras del Banco Central, Titoli del Banco Centrale), con tassi di interesse straordinariamente elevati. In questo modo si è sviluppato un meccanismo per cui gli investitori hanno prima potuto prendere in prestito dollari, per convertirli in pesos investendo in Lebac e speculando così sul differenziale del tasso di interesse, sperando il tasso di cambio restasse stabile. Questa strategia – continua Neri Camici di Geneve Invest –  è nota come carry trade e in Argentina è stata portata avanti sia da grandi banche, che da piccoli investitori. Il gioco è andato avanti sino alla metà di aprile, quando il mercato si è innervosito, preoccupato dal timore che il presidente Macri non sarebbe stato in grado di mantenere la promessa di limitare l’inflazione. Inoltre, con la prospettiva di aumento dei tassi di interesse da parte degli Stati Uniti – spiegano ancora gli esperti di Geneve Invest – in molti hanno fatto due conti, deciso che avevano guadagnato abbastanza in Argentina e che era ora di ricalibrare i rischi. In pratica, gli investitori hanno cominciato a temere che la scommessa su Buenos Aires stesse diventando sempre più rischiosa con il passare del tempo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: nel giro di poche settimane il peso ha perso oltre un quarto del suo valore”.

Il governo argentino si è difeso sui mercati internazionali insistendo sul fatto che il problema principale del paese è legato alla mancanza di liquidità e non alla solvibilità, dichiarandosi perfettamente in grado di far fronte ai suoi obblighi finanziari. Per questo ha deciso di rivolgersi all’FMI: con il denaro del Fondo monetario internazionale, l’Argentina, secondo Macri, sarà in grado di intervenire nei mercati valutari più a lungo e anche sostenere le spese per le cedole di obbligazioni in arrivo per il pagamento. Il ricorso all’FMI non è ben visto dalla popolazione argentina, che affianca l’isituzione internazionale alla grande crisi del 2001, quando il governo, paralizzato, impose il blocco del sistema bancario e milioni di persone, dentro e fuori dall’Argentina, videro svanire nel nulla i risparmi guadagnati nel corso di tutta una vita.

“Oggi gli occhi di tutti sono puntati sul tasso di cambio, che attualmente si aggira intorno ai 23 pesos per dollaro, un minimo storico che manda un segnale preoccupante sulla  svalutazione della moneta sovrana argentina – spiegano in chiusura gli esperti di Geneve Invest – Il governo deve trovare un modo per convincere gli investitori a confermare gli investimenti sui LEBEC, altrimenti la corsa sul peso diventerà molto più caotica. Un altro test importante sarà la risposta del FMI alla richiesta dell’Argentina di diversi miliardi di dollari in prestito. La decisione di Macri di chiedere un accordo al Fondo Monetario Internazionale è rischiosa. Purtroppo – chiudono da Ginevra gli analisti di Geneve Invest – la realtà è che sotto la presidenza di Macri l’Argentina è passata dall’essere un’economia che si basava su una spesa statale esagerata a una struttura che fa affidamento sul debito contratto verso investitori stranieri molto volatili. Il tutto in un contesto nel quale l’inflazione non ha subito rallentamenti importanti. Il nostro consiglio, come sempre, è quello di fare attenzione. Ciò che sta accadendo in Argentina insegna, una volta di più, quanto sia importante fare attenzione ai mercati sui quali si investe. In tanti negli ultimi due anni si sono lanciati sui titoli argentini da soli, senza particolari verifichi, e il risultato è che oggi questi investimenti sono, ancora una volta, a rischio.”

Twitter in vendita? Alphabet attende

Twitter corre in Borsa, facendo registrare un rialzo pari al 23% a 22,89 dollari a Wall Street a seguito delle voci di una possibile vendita.