Come funzionano i Buoni Fruttiferi Postali: costi, rischi e rendimenti

 I Buoni Fruttiferi Postali (BFP) sono uno dei prodotti di risparmio preferiti dalle famiglie italiane e rappresentano circa il 7% della ricchezza delle famiglie per circa 200 miliardi di euro.

I motivi per i quali le famiglie preferiscono questo tipo di strumento possono essere diversi, ma sicuramente tra i principali ci sono il fatto che i BFP hanno un basso prelievo fiscale sui loro rendimenti (solo il 12,5%, ossia quasi l’8% in meno di altri strumenti di investimento come le zioni o le obbligazioni) e sono poco rischiosi.

Buoni Fruttiferi Postali e titoli di Stato a confronto

I Buoni Fruttiferi Postali sono molto simili ai titoli di Stato: come questi ultimi sono emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti e, quindi, sono sotto la garanzia dello Stato e hanno lo stesso profilo di rischio.

Tra le principali differenze tra i titoli di Stato e i Buoni Fruttiferi Postali è che questi sono emessi esclusivamente dagli sportelli di Poste Italiane e, a differenza dei titoli di Stato, i BFP non subiscono alcuna modifica del loro prezzo.

I titoli di Stato, infatti, vengono scambiati quotidianamente sul mercato e, nel caso il risparmiatore voglia venderli prima della loro scadenza, può trovarsi a perdere una parte sostanziosa del capitale investito (soprattutto in questo periodo che il debito pubblico italiano non gode di alta considerazione).

Questo non accade per i Buoni Fruttiferi Postali che hanno un prezzo fisso e anche nel caso in cui il risparmiatore voglia provvedere al loro rimborso prima della scadenza, non subisce alcuna perdita, in quanto riceverà indietro il valore nominale al quale li ha acquistati più gli eventuali rendimenti accumulati fino al momento della vendita.

I costi dei Buoni Fruttiferi Postali

Il costo dei BFP è pari al loro valore nominale in quanto il loro acquisto non è sottoposto a nessuna commissione, né per le negoziazioni né per la gestione.

A parte il prelievo fiscale del 12,5% sui rendimenti, l’unico altro costo al quale sono sottoposti i BFP è l’imposta di bollo, che grava dello 0,1% del capitale investito, per un importo minimo annuo di 34,2 euro.

Le tipologie di Buoni Fruttiferi Postali

Attualmente gli sportelli di Poste Italiane hanno in vendita 9 diverse tipologie di Buoni Fruttiferi Postali.

I migliori e i più facili da gestire sono i Bfp a 18 mesi, che garantiscono un rendimento minimo piuttosto basso: circa l’1% ogni anno, che, al netto delle tasse, è pari allo 0,875%.

Rendimenti più alti, invece, sono garantiti dai Buoni Fruttiferi Postali che hanno scadenze a lungo termine come i buoni postali ordinari, i buoni postali dedicati ai minorenni e, infine i buoni postali indicizzati all’inflazione. Per queste tre categorie di BFP il rendimento annuo varia dallo 0,5 al 2% lordo, in più queste tipologie sono sottoposte ad una rivalutazione pari all’aumento dei prezzi al consumo (esclusi i tabacchi).

Altra tipologia di Buoni Fruttiferi Postali indicati per chi vuole ottenere rendimenti alti sono i Bfp 3×4 fedeltà, per i quali il rendimento garantito è fino al 7% lordo annuo (che diviene il 6% al netto delle tasse).

Un’altra tipologia di BFP dagli alti rendimenti sono i Bfp7 insieme, ma sono degli strumenti poco indicati ai risparmiatori che non hanno famigliarità con calcoli ed investimenti. 

Per tutte le tipolgie di Buoni Fruttiferi Postali, inoltre, va ricordato che per ottenere degli interessi soddisfacenti è necessario che i titoli siano mantenuti all’interno del portafogli per un periodo di tempo sufficientemente lungo per la loro maturazione che, a seconda della tipologia prescelta, può variare dai 10 ai 12 anni.

Per chi decide di richiedere il rimborso prima del non anno, il rendimento può scendere anche fino ad una percentuale compresa tra il 2,5 e il 4% lordo (tra il 2 e il 3,5% netto).

 

Fondi pensione sospesi per 1,2 mln di persone

 La crisi economica colpisce un po’ tutti i settori: anche quello della previdenza integrativa, che quest’ anno ha fatto registrare delle importanti novità. La Covip ha infatti rilevato, nella sua relazione annuale, che nel corso del 2013 circa 1,2 milioni di persone hanno sospeso i versamenti dei loro fondi pensione complementari.

Cresce la raccolta dei fondi di investimento dall’inizio dell’anno

 E’ Assogestioni a dare la notizia delle grandi performance che stanno ottenendo i fondi di investimento in questa prima parte di 2013.

► Marzo da record per l’industria del risparmio gestito

Solo nel primo trimestre del 2013, infatti, la raccolta netta dei fondi di investimento ha visto crescere il suo saldo di circa 6,9 miliardi di euro – arrivando così ad un totale di 20 miliardi, gli stessi livelli registrati nel 2010 – una raccolta che, anche se ha subito un leggere rallentamento nel mese di marzo, ha portato la raccolta totale, alla fine del mese di aprile, a circa 27 miliardi di euro.

Questo boom di raccolta fa sì che salga anche il patrimonio dei fondi che, a fine aprile, si è attestato a 1.256 miliardi di euro, una crescita notevole se si confronta il dato con quello i 1.230 miliardi di euro di fine marzo e i 967 miliardi di un anno fa.

Le migliori performance sono state ottenute dai fondi di investimento aperti, da sempre il prodotto preferito che ottiene i migliori risultati, che hanno totalizzato 5,4 miliardi di euro di afflussi.

► Com’è cambiato il portafogli degli italiani con la crisi?

Buoni risultati anche per le gestioni di portafoglio che hanno chiuso il saldo del primo trimestre 2013 con 1,5 miliardi di euro.

Come investire dopo l’austerity

 Tutti i governi europei, o quasi, stanno chiedendo all’Unione di appoggiare delle politiche economiche che siano meno rigide e più orientate alla crescita. Ormai è un dato di fatto che l’austerity, per quanto abbia avuto alcuni importanti e positivi effetti, non è più una politica economica sostenibile.

► Le banche puntano sui Titoli di Stato

Quindi si sta aprendo una nuova stagione per l’economia europea che, quindi porta ala necessità di rivedere il proprio portafogli di investimenti. Come?

Per prima cosa si deve guardare di più alla Borsa, soprattutto ai titoli tecnologici, ma anche alle obbligazione, soprattutto quelle con scadenze a lungo termine.

Il miglior portafoglio per i prossimi tempi è un portafogli costruito con Etf e bond governativi – come suggerisce Raffaele Zenti, responsabile delle strategie finanziarie di Advise Only – da realizzarsi con un investimento dai 10 mila euro in su. Da privilegiare le obbligazioni dei Piigs, paesi che in questo momento, dopo anni di recessione cupa, mostrano i primi segni di miglioramento.

► Credit crunch? Le imprese rispondono con i Bond

Poi una parte dell’investimento dovrebbe essere dedicato alle azioni, soprattutto quelle delle piccole e medie imprese europee (14%), che saranno le prime a reagire alla ripresa del’economia. Buona scelta anche le hi-tech, i beni industriali, i materiali di base, come le costruzioni, e i consumi discrezionali.

Le banche puntano sui Titoli di Stato

Gli istituti italiani, al fine di provare a limitare i danni in un momento drammatico per le aziende del nostro Paese, preferiscono sempre di più i Titoli di Stato all’erogazione dei prestiti.

Una scelta dovuta anche al fatto che sono sempre di meno le società stabili alle quali si può affidare il denaro.

Tra marzo 2012 e marzo 2013, le banche di credito hanno dunque puntato tutto (o quasi) su Bot e Btp, acquistandone per quasi settantadue miliardi in più rispetto all’anno precedente. In particolar modo, gli acquisti maggiori sono stati fatti ad inizio anno.

Per quanto concerne invece i prestiti alle aziende non finanziarie, essi sono invece scesi di quasi 29 miliardi e quelli alle famiglie di 9 miliardi a 855 e 606 miliardi (1.461 miliardi, -2,55%).

Nei portafogli delle banche, stando ai dati riportati dalla Banca d’Italia, ci sono così circa 362 miliardi contro i 290 di un anno prima. La scelta delle banche ha supportato le aste del Tesoro e le quotazioni sul secondario dei titoli italiani, in questi mesi sempre difficili per la crisi del debito sovrano. Un impegno che le banche hanno preso di concerto con fondi e assicurazioni nazionali e retail (che stando ad alcune stime a febbraio possiedono rispettivamente altri 347 e 188 miliardi di euro di Bot, Btp e Ctz) mentre gli investitori esteri sono tornati a farsi vivi più di recente.

Imposta di bollo: è possibile non pagarla?

 Partendo dal presupposto che l’imposta di bollo si paga su tutti gli strumenti di risparmio – conti correnti, conti deposito e conti postali – in misura dell0 0,15% – sono previste comunque delle esenzioni per i conti correnti con giacenza media inferiore ai 5 mila euro.

Ci sono poi altri due modi per evitare di pagare l’imposta di bollo. Da un lato la possibilità di spostare i propri depositi verso banche che si fanno carico di questa imposizione. All’inizio dell’anno erano molti gli istituti che hanno fatto offerte in tal senso al fine di attirare maggiore clientela, ma per le banche non è conveniente, soprattutto in una fase di continuo calo del risparmio, accollarsi questa tassa, per cui, al momento le banche che non applicano l’imposta di bollo su conti corrente e conti deposito sono Banca Sistema, Banca Ifis, Banco Popolare, Ibl Banca e Bccforweb e alcune banche on line.

Questo non toglie, però, che comunque su questi prodotti sia applicata un tassa del 20% sugli interessi maturati.

Altro modo per non pagare l’imposta di bollo è ricorrere ad un prodotto finanziario senza vincoli di liquidità. Nello specifico si può ricorrere ad un conto corrente ad alta remunerazione che prevedono un’imposta di bollo fissa pari a 34,20 euro, a prescindere dall’importo del deposito.

Imposta di Bollo

Principali novità normative

Prodotti finanziari e importo

E possibile non pagarla?

Imposta di bollo: prodotti finanziari e importo

 Con il governo Monti l’imposta di bollo è divenuta una tassa che si applica alla maggior parte degli strumenti finanziari di risparmio, sia bancari che postali.

Vediamo quali sono i prodotti che sono colpiti dall’applicazione dell’imposta e in che misura questa influisce sul risparmio.

Imposta di bollo su conti deposito, polizze e conti titoli

Per questa tipologia di strumenti finanziari l’imposta di bollo si paga in misura dello lo 0,15% della somma depositata. Per chi detiene questi strumenti l’importo minimo annuo previsto è di 34,20 euro e il massimo è di 1.200 euro.

Imposta di bollo su conti correnti bancari, postali e su libretti postali

In questo caso l’imposta di bollo è fissa. Il suo importo è di 34,20 euro per le giacenze medie annue superiori a 5 mila euro.

Imposta di bollo su buoni postali dematerializzati

Per i buoni postali dematerializzati l’imposta di bollo a carico del detentore è pari allo 0,15% sul totale dei buoni con la stessa intestazione che superano i 5 mila euro per un importo minimo annuale di 34,20 euro.

Imposta di bollo su buoni postali cartacei

A partire dal 1° gennaio 2013 l’imposta di bollo per questi strumenti è dello 0,15%, con imposizione minima di 1,81 euro per buono. Non sono previste esenzioni per i depositi inferiori ai 5 mila euro.

Imposta di Bollo

Principali novità normative

Prodotti finanziari e importo

E possibile non pagarla?

Imposta di bollo sui conti deposito: le principali novità normative

 Con la manovra del governo tecnico sono cambiate le regole per quanto riguarda la tassazione dei conti depositi e dei vari strumenti di risparmio degli italiani.

Le novità riguardano in modo particolare l’applicazione dell’imposta di bollo, ossia l’imposta che si applica alla produzione, richiesta e presentazione di documenti bancari e postali.

Se questa imposizione fino alla fine del 2011 era pari ad 1,81 euro per ogni comunicazione che la banca inviava al cliente – molto spesso poi le banche non applicavano la tassa al cliente ma, dato l’irrisorietà del suo costo, era a carico degli istituti di credito – a partire dalla manovra effettuata all’epoca Tremonti c’è stato un primo cambiamento che ha trasformato l’imposta di bollo da tassa fissa a tassa proporzionale, con un andamento inversamente proporzionale all’ammontare del deposito.

Un successivo cambiamento è avvenuto a partire da quest’anno con il governo Monti che ha apportato tutta una serie di modifiche: l’imposta di bollo – a partire dal 1° gennaio 2013 – si applica a tutti i prodotti finanziari, con la sola esclusione di conti correnti aperti presso banche o posta, il cui saldo medio nell’anno è inferiore a 5 mila euro.

Per le somme depositate che superano tale importo l’imposta di bollo minimo applicata è di 34,20 annui, per un importo massimo di 1.200 euro.

Imposta di Bollo

Principali novità normative

Prodotti finanziari e importo

E possibile non pagarla?

 

A quali prodotti finanziari si applica la Tobin Tax?

 La Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie che è entrata a marzo, con lo scopo di evitare la speculazione finanziaria, si applicherà su tutti gli scambi di azioni sui mercati regolamentati sulla base dei saldi quotidiani, e non quelli di ciascuna operazione.

Le aliquote per le transazioni sui mercati regolamentati

Nello specifico, a partire dal 1° marzo 2013, le azioni saranno tassate con un’aliquota pari allo 0,12% del loro valore di transazione. Dal 1° marzo 2014 l’aliquota scenderà allo 0,10%.

Le aliquote per le transazioni over the counter

Per quanto riguarda gli scambi “over the counter”, ossia le transazioni che avvengono al di fuori dei mercati regolamentati, l’aliquota per la tassazione delle azioni è dello 0,22% per il 2013, mentre scenderà allo 0,2% a partire dal 1° gennaio 2014.

La Tobin tax sui prodotti derivati

La normativa che regola la Tobin Tax prevede che a partire da luglio 2013 la nuova tassa sarà applicata anche sui prodotti derivati ma, a differenza di quanto accade per le azioni, è stato previsto un costo fisso che cresce in base al valore sottostante del titolo e alla maggiore o minore qualità speculativa.

Nello specifico gli strumenti meno speculativi avranno costi che vanno dai 2,5 centesimi di euro ai 20 per ogni operazione, mentre per gli strumenti con maggiore qualità speculativa il costo di ogni operazione andrà dai 12,50 ai 100 euro.

Com’è cambiato il portafogli degli italiani con la crisi?

 La Relazione Consob ci restituisce un quadro molto chiaro di come gli italiani hanno cambiato le loro abitudini di investimento dall’inizio della crisi. Per scattare questa fotografia la Consob ha preso in esame un campione di famiglie italiane che rappresentano gli investitori medi, analizzando le loro scelte di investimento dal 2007 al 2012.
► Gli italiani non vogliono più investire

Ciò che emerge con forza da questa analisi è che la crisi, generata in parte dalla bolla dei subprime, ha portato gli italiani a prediligere per i loro investimenti depositi e attività a basso rischio, anche se meno fruttuose, al posto di azioni e fondi comuni.

Nello specifico, gli investimenti in strumenti finanziari rischiosi sono diminuiti del 10% rispetto al 2007, con solo il 25% delle famiglie che investe in azioniobbligazionirisparmio gestito e polizze vita. Un calo sensibile si è registrato proprio sul fronte delle polizze vita, dei fondi pensione e dei prodotti di risparmio gestito.

Per quanto riguarda i portafogli di investimento delle famiglie, la Consob evidenzia come quasi la metà del totale del campione analizzato (49%) scelga di investire il capitale in depositi e risparmio postale. Ma anche i titoli di Stato sembrano avere un ruolo importante: le famiglie che scelgono questo tipo di investimento sono passate dal 14,2 al 17,1% in un solo anno (dal 2011 al 2012) e superiori ai livelli pre-crisi.

Le azioni, invece, non piacciono più: è dimezzato il numero delle famiglie che fa questa scelta, passando dal 10% del 2007 all’attuale 5,3%.

► Il peso del fisco sul risparmio

Altro dato registrato dalla Consob è l’aumento generale del livello di indebitamento delle famiglie: dal 1999 alla fine del 2011 sono raddoppiate le passività finanziarie in percentuale del reddito disponibile.