Durante lo scorso mese, l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie ha fatto registrare un aumento paro allo 0,1% in confronto al mese precedente e all’1,1% nei confronti di giugno dello scorso anno.
A comunicarlo è l’Istat aggiungendo che nei primi sei mesi la retribuzione oraria media è aumentata dell’1,1% in confronto al corrispondente periodo del 2014. L’inflazione di giugno era dello 0,1% mensile e dello 0,3% annuo.
Con riferimento ai principali macrosettori, le retribuzioni contrattuali orarie hanno fatto segnare un incremento tendenziale dell’1,5% per i dipendenti del settore privato e una variazione nulla per quelli della pubblica amministrazione. Alla fine di giugno i contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore per la parte economica sono concernenti il 59,7% degli occupati dipendenti e corrispondono al 55,3% del monte retributivo osservato.
I contratti in attesa di rinnovo sono 37 (di cui 15 appartenenti alla pubblica amministrazione) relativi a circa 5,2 milioni di dipendenti (di cui circa 2,9 milioni nel pubblico impiego). La quota di dipendenti in attesa di rinnovo per l’insieme dell’economia è pari al 40,3%, invariato in confronto al mese precedente. I mesi di attesa per i lavoratori con il contratto scaduto sono in media 52,2, in deciso aumento in confronto allo stesso mese del 2014 (30,3). L’attesa media calcolata sul totale dei dipendenti è di 21,1 mesi, in crescita rispetto a un anno prima (18,6).
Sostiene inoltre l’Istat:
Con riferimento al solo settore privato la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è pari al 22,9%, invariato rispetto al mese precedente e in netta diminuzione rispetto a giugno 2014 (50,1%); i mesi di attesa per i dipendenti con il contratto scaduto sono 34,7, mentre l’attesa media è di 7,9 mesi considerando l’insieme dei dipendenti del settore. Alla fine di giugno 2015 sono in vigore 38 contratti che regolano il trattamento economico di circa 7,7 milioni di dipendenti che rappresentano il 55,3% del monte retributivo complessivo. Nel settore privato l’incidenza è pari al 75,7%, con quote differenziate per attività economica: nel settore agricolo è del 100%, mentre è del 97,2% nell’industria e del 55% nei servizi privati.