Il divario tra Sud e Nord è sempre più ampio. Sotto moltissimi aspetti. E’ questa la nota dolente nei recenti sondaggi Istat, i quali sottolineano un miglioramento economico del sistema Italia.
A partire dal lavoro: l’Istat ha chiesto a un campione rappresentativo di imprese quali provvedimenti potrebbero favorire l’occupazione. La stragrande maggioranza segnala la riduzione del cuneo fiscale (77 per cento nella manifattura e 80,4 per cento nei servizi) , la riduzione degli oneri burocratico-amministrativo (73,6 e 72,4 per cento) e la riduzione dei vincoli al licenziamento (71,9 e 72,3 per cento). Tra le principali ragioni che spingono al licenziamento segnalano invece la riduzione degli ordini, i progetti di sviluppo aziendale, l’eccessivo costo del lavoro, le variazioni dei profitti e il ricambio delle competenze.
L’occupazione dunque è tornata a cresce già nel 2014, ma solo per alcune specifiche categorie: i lavoratori ultracinquantenni, gli stranieri e le donne. Per i lavoratori più anziani pesano le riforme previdenziali, che hanno allontanato l’età della pensione: il tasso di occupazione degli ultracinquantenni, pari al 54,8 per cento, è aumentato del 7,7 per cento negli ultimi sei anni. Il recupero di posti di lavoro si è concentrato soprattutto nell’industria, 61.000, l’1,4 per cento in più, a fronte di un’ulteriore erosione nelle costruzioni e, in misura minore, in agricoltura.
La crisi ha agevolato l’uso, se non probabilmente l’abuso, del part-time, non come forma di flessibilità, ma come forma di sottoccupazione. Tra il 2008 e il 2014 l’incremento complessivo del part-time è di 784.000 unità, pari al 23,7 per cento in più. Si stima che il 63,3 per cento sia part-time involontario. Nel 2014 i lavoratori a tempo parziale hanno superato i quattro milioni.
Come accennato, i segnali positivi fatti registrare tra la fine dell’anno scorso e questa prima parte del 2015 si fermano al Centro-Nord. “Le aree del Mezzogiorno – scrive l’Istat – si caratterizzano per una consolidata condizione di svantaggio legata alle condizioni di salute, alla carenza di servizi , al disagio economico, alle significative disuguaglianze sociali e alla scarsa integrazione degli stranieri residenti”.
Qualche numero: nel Mezzogiorno il reddito è più basso del 18 per cento rispetto alla media nazionale, nelle aree interne più povere la differenza sale al 30 per cento. Il che si riflette naturalmente nei consumi: le famiglie residenti al Sud spendono poco più del 70 per cento della media nel resto del Paese. Tanto che oltre un quarto della spesa nel Mezzogiorno è per i beni alimentari, di prima necessità.