L’euro forte travolge la Bce, che finora si era sempre difesa dietro il mantra «la politica monetaria non fa parte del mandato». E la pressione che l’euro vicino a 1,40 dollari esercita sull’inflazione dell’Eurozona, potrebbe essere il detonatore di una risposta da parte della banca centrale. L’Eurozona ha la conferma della ‘tripla A da parte di Moody’s, che migliora anche le prospettive sul rating decretando che la crisi del debito si sta risolvendo. Ma per la Bce resta una congiuntura difficile da interpretare: ripresa debole, tassi a minimi record e un rischio-deflazione. La Bce a marzo ha tenuto i tassi fermi allo 0,25% e non sono arrivate quelle nuove misure che, secondo molti esperti, servirebbero ad allontanare il rischio-deflazione, con un tasso d’inflazione nell’Eurozona che viaggia allo 0,8% contro l’obiettivo inferiore, ma prossimo, al 2% fissato nello statuto della banca centrale.
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Ma dalle recenti dichiarazioni di Draghi trapela che qualcosa si sta muovendo. Ha spiegato che l’euro forte «ha certamente avuto un impatto significativo nel nostro tasso d’inflazione e, dati gli attuali livelli d’inflazione, sta diventando rilevante in misura crescente nella nostra valutazione della stabilità dei prezzi».
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Draghi ha ancora definito «limitati» i rischi di deflazione, confermando che le aspettative inflazionistiche di medio e lungo periodo, il parametro principale della Bce, sono «ancorate» all’obiettivo prossimo al 2%, nonostante le stime della banca centrale indichino un’inflazione media dell’1% per quest’anno e dell’1,5% ancora nel 2016. Ma ha ammesso che «più l’inflazione resta bassa, maggiore la probabilità che emergano questi rischi» di deflazione. «Ecco perchè la Bce ha preparato ulteriori misure non convenzionali contro una simile contingenza e si tiene pronta a prendere ulteriori misure risolute se necessario».