Il petrolio dimezzato pesa sui conti dell’Eni, che tra giugno e settembre 2015 ha mandato in archivio una delle pochissime trimestrali in rosso del suo recente passato.
Si tratta di 952 milioni nel periodo, portando il saldo dei primi nove mesi 2015 a 360 milioni negativi. Colpa di un Brent in calo del 51% nel periodo, che “ha determinato la contrazione dei ricavi del settore estrazione e produzione – si legge in una nota del gruppo – e la riduzione del valore delle scorte di greggio e prodotti petroliferi valutate al costo medio ponderato”. Anche il settore gas dell’azienda, malgrado il miglioramento che ha permesso di migliorare le stime di recupero dell’attività (che dovrebbe a fine anno registrare margini netti rettificati “sostanzialmente in pareggio”), ha contribuito con 577 milioni alla perdita trimestrale, per l’utilizzo di gas prepagato in precedenti esercizi che ha costi contabili “maggiori rispetto al costo dell’approvvigionato corrente”. Un effetto spiacevole dei contratti take or pay di lungo termine, con prezzi e forniture rigide, su cui l’azienda aveva puntato forte negli anni passati quando i prezzi erano più alti.
La trimestrale illustra meglio anche il senso della separazione dalla società di servizi Saipem in corso. Senza la società contrattista oggi partecipata – e finanziata – da Eni con il 43%, l’indebitamento di gruppo che a settembre è salito a 18,4 miliardi (+4,7 miliardi più che a fine 2014, anche per l’acconto sul dividendo) si ridurrà nella prossima primavera di 5,1 miliardi netti, con una riduzione dell’8% della leva finanziaria. Nei nove mesi l’utile operativo rettificato del gruppo è sceso di due terzi a 3,1 miliardi, scontando “la peggiorata performance di Saipem a causa delle perdite straordinarie del secondo trimestre”, quando la controllata ha compiuto svalutazioni per quasi un miliardo.