Abbiamo chiesto a Geneve Invest, società di gestione patrimoniale con sede in Svizzera e Lussemburgo, di commentare l’azione della Banca Federale Americana, che per la prima volta dalla grande crisi finanziaria del 2008, ha abbassato i tassi di interesse. Una decisione presa in un contesto di rallentamento globale e di incertezza generata dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, considerate, ha spiegato Jerome Powell, a capo della Federal Reserve (Fed) degli Stati Uniti, “le implicazioni degli eventi globali per le prospettive economiche e le deboli pressioni inflazionistiche”.
Il presidente Donald Trump ha dichiarato su Twitter di essere rimasto deluso dall’annuncio e di aver sperato in un impegno politico a lungo termine della Fed.
L’agenzia, d’altronde, opera in maniera indipendente dalla Casa Bianca, e ha aumentato i tassi quattro volte nel 2018, subendo numerosi attacchi dal presidente Trump.
“Trump stava esercitando ormai da settimane una forte pressione pubblica sui membri della Fed per dare una spinta maggiore all’economia, riducendo il costo del denaro e incoraggiando i consumi – spiegano gli esperti finanziari di Geneve Invest – quando la Fed abbassa i tassi di riferimento, diminuiscono infatti anche gli interessi sui prestiti, e in questo modo le aziende hanno più motivi per investire e i consumatori una spinta a spendere. In questo caso specifico, la sensazione è che Powell abbia voluto dare una mano a un’economia che, nonostante i segnali incoraggianti, sta crescendo al di sotto delle previsioni, soprattutto per quanto riguarda i salari, che restano molto bassi, e l’inflazione, stabile sotto quota 2%, l’obiettivo dichiarato della FED. Inoltre – continuano nella disamina da Geneve Invest – nonostante Powell abbia sempre mostrato grande indipendenza – potrebbero avere avuto un peso i continui attacchi del presidente Trump, che anche dopo il taglio ha continuato a reclamare il taglio di almeno un ulteriore punto percentuale, accusando il governatore in carica della FED di “orribile mancanza di prospettiva finanziaria”.
I tassi di interesse statunitensi influenzano chiaramente l’intero sistema finanziario internazionale.
Poiché il taglio della Fed riduce il costo del denaro, consente al resto del mondo di accedere a un dollaro più economico. “Se il biglietto verde perde terreno rispetto ad altre valute – ragiona Omar Liverani, relationship manager di Geneve Invest per il desk Italiano – influenza il mercato dei cambi di tutte le economie che dal dollaro dipendono direttamente. Pertanto, soprattutto le economie in via di sviluppo, possono ottenere finanziamenti in dollari a tassi di interesse più bassi e in generale diversi investitori possono essere stimolati a cercare rendimenti migliori sui mercati emergenti, ad esempio nei contesti politicamente più stabili dell’America Latina, come Brasile, Messico, Cile e Colombia”.
Senza dubbio un ulteriore taglio dei tassi, dopo quello dello scorso luglio, potrebbe fungere da stimolo in un contesto di rallentamento dell’economia globale: l’economia tedesca si è contratta nel secondo trimestre, così come i dati sulla produzione industriale cinese sembrano suggerire un importante rallentamento. “L’imprevedibilità della guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina, unita alla bassa inflazione e al rallentamento dell’economia globale – concludono da Geneve Invest – rendono in verità la posizione della Fed particolarmente cauta. E’ possibile che la Banca Federale Americana diventi ancora più aggressiva, qualora lo scenario lo permetta, andando verso un taglio dei tassi ancora più netto, così come non è escluso si vada avanti, contemporaneamente, con il meccanismo di quantitative easing”.