Gli immigrati rappresentano per molti un costo sociale, invece, stando alle ultime statistiche, devono essere considerati dei veri e proprio tesori sommersi. Per quale motivo?
Sommersi come il lavoro che fanno. Quello in nero, facendo circolare comunque del denaro, che resta al di fuori del circuito fiscale e previdenziale. La ricchezza prodotta dagli immigrati, secondo le ultime stime, è di 12,7 miliardi di euro.
Questo volume d’affari è generato da un lavoratore su tre. Lo stato ci perde 5,5 miliardi di euro. Non è un caso che proprio in queste settimane si stata approvata la nuova legge sul caporalato. Per spiegare la situazione adoperiamo le parole di Repubblica.it che scrive
ricercatori della Moressa partono da una stima degli occupati stranieri irregolari al 2015: a livello nazionale si tratta di ben 558mila lavoratori, pari al 20% degli occupati stranieri totali. A livello territoriale, in termini assoluti, quasi la metà (249mila) si trova al Nord. L’incidenza maggiore sugli occupati stranieri è invece al Sud, dove gli irregolari rappresentano oltre un terzo (33,9%). E ancora: il 70% degli occupati irregolari lavora nei servizi. Interessante notare, tuttavia, come in agricoltura più di un terzo sia irregolare (36,8%) e anche nelle costruzioni (22,3%) la quota sia di oltre 1 ogni 5.
Si pone anche un problema di mancata tutela dei diritti dei lavoratori e di distorsione del mercato per via dello sfruttamento lavorativo. Il sistema economico nella sua interezza è danneggiato, non soltanto i lavoratori che sono sfruttati nei campi. Come si esce da questo circolo vizioso?
L’idea alla base della ricerca Moressa è che la regolarizzazione dei lavoratori immigrati possa portare un beneficio a tutti gli attori coinvolti: le imprese, attraverso un miglioramento della qualità della produzione, lo Stato, che riceverebbe un gettito fiscale e contributivo finora eluso, e infine gli occupati (compresi quelli già in regola), che vedrebbero innalzarsi gli standard qualitativi di produzione.