Il Made in China come etichetta sta perdendo trazione con i suoi due principali clienti che sono gli Stati Uniti e l’Europa. Dopo tre decenni di guadagni,la quota delle importazioni dalla Cina negli Stati Uniti si è stabilizzato e in Europa è in declino.
Le perdite più ripide sono nell’Unione Europea, dove la quota delle importazion dalla Cina è crollata al 16,5% nei primi 11 mesi dello scorso anno, da un massimo del 18,5%. Negli Stati Uniti l’ago della bilancia si è spostato di poco negli ultimi cinque anni con circa il 19%.
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Il basso costo del lavoro in Cina è un vantaggio che è stato attenuato dall’aumento dei salari e da un apprezzamento della valuta, con alcune nazioni che sono più economiche, come il Vietnam e il Bangladesh che sono concorrenti nella produzione di magliette e scarpe.
Con un inaspettato calo delle esportazioni totali nel mese di febbraio, le tendenze sottolineano la necessità per il governo del presidente Xi Jinping di promuovere la competitività su articoli di alta tecnologia, dai chip alle apparecchiature mediche.
Sarebbe quindi un cambiamento epocale spinto dallo yuan che si è apprezzato di circa il 35% contro il dollaro dal luglio 2005, dai salari che sono triplicati negli ultimi dieci anni e la forza lavoro cinese ha cominciato a ridursi. La popolazione in età lavorativa della nazione è iniziata a calare nel 2012, come si vede dai dati del governo cinese. Questi cambiamenti hanno portato i produttori globali a iniziare spostare la produzione in Paesi come il Bangladesh e il Vietnam, che ha superato la Cina nel 2010 come il più grande fornitore di Nike scarpe. I maggiori costi e i salari in Cina stanno spingendo anche la Samsung nei Paesi confinanti come il Vietnam che può rendere 120 milioni di cellulari entro il 2015.