Nella disamina della situazione economica italiana, l’Istat prende in esame anche il tessuto imprenditoriale rilevando che la maggior parte delle imprese registrate ha dimensioni microscopiche. In effetti si può o deve essere impresa anche essendo singoli con una particolare attività.
“La crisi non ha modificato le caratteristiche strutturali del sistema produttivo italiano”. Lo rileva l’Istat nel rapporto annuale, spiegando che “i tratti salienti” del sistema “non sono mutati nel corso delle due fasi recessive che hanno colpito la nostra economia dal 2008”.
Il sistema fiscale e professionale italiano, però, fa il resto perché dopo aver scelto un particolare settore d’attività, è il fisco ad indicare se la partita IVA aperta produce un reddito da lavoro autonomo o un reddito d’impresa e nel secondo caso deve essere effettuata la registrazione al registro delle imprese e alla Camera del Commercio. Al di là delle scelte e quindi al di là delle opzioni indotte dalla crisi, c’è sempre la via obbligata dal sistema tricolore.
L’Italia ad ogni modo, fa sapere l’Istituto, “continua a essere caratterizzata da una larga presenza di microimprese (con meno di dieci addetti), che sono circa”. Le piccole o piccolissime aziende rappresentano, sottolinea l’Istat, “il 95% del totale delle unità produttive e impiegano circa 7,8 milioni di addetti (il 47% contro il 29% nella media europea)”.
L’Istituto invece evidenzia una quota “particolarmente modesta di imprese di maggiori dimensioni (oltre 250 addetti; lo 0,1% delle imprese e il 19% degli addetti)”. Per l’Istat “questa frammentazione, solo in parte mitigata dalla presenza di gruppi d’impresa, determina una dimensione media molto contenuta (3,9 addetti per impresa a fronte di una media europea di 6,8 addetti), una struttura proprietaria molto semplificata (63,3% di imprese individuali) e una quota di lavoratori indipendenti pari a oltre il doppio di quella media europea”.