I mercati finanziari snobbano la crisi Ucraina

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 Il dato sull’occupazione Usa riporta la crescita occupazionale US più vicino al trend del 2013, sebbene la distanza con i livelli dello scorso autunno sia ancora significativa. Sembra sensato attendersi un rimbalzo nei prossimi mesi, in quanto l’attenuarsi della morsa del clima potrebbe permettere un accelerazione dell’attività nei settori più impattati.
Detto ciò, come osservato dalla stessa Yellen, è difficile determinare l’impatto del maltempo sul ciclo, e quindi il recente deterioramento nei dati macro impone prudenza. E veniamo alla reazione del mercato.Vista la discreta entità della sorpresa, una reazione tendente all’euforico era nelle carte. In realtà, mettere insieme i pezzi del puzzle risulta più complicato di altre volte:

** I bonds hanno perso immediatamente supporto, a dimostrazione che, almeno in quel comparto, il pessimismo della vigilia aveva prodotto un posizionamento assai difensivo
** Il Dollaro ha provato a recuperare un po’ di terreno, ma è riuscito si e no a tornare in parità per la giornata, livello dove tuttora scambia.
** Tiepida la reazione di Wall Street, che ha inizialmente tentato la via del rialzo, per poi ritornare sui livelli della chiusura di ieri
** Inquietante la reazione delle borse europee, che, dopo essersi riportate brevemente in positivo, hanno messo a segno un brusco e violento storno generalizzato che le porta a chiudere ben sotto i minimi della mattina (Eurostoxx -1.5%).

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La fiammata di volatilità ha prodotto la consueta caccia al catalyst, che i più hanno creduto di trovare nella geopolitica: subito hanno preso a circolare notizie di incrociatori US diretti verso il bosforo e di minacce di chiusura dei gasdotti verso l’ucraina da parte di Gazprom.  Personalmente, non escludo che timori geopolitici abbiano in parte contribuito al fine settimana mesto delle borse del continente, spiega Marco Lastrico di Barabino & Partners S.p.A.Durante il weekend i mercati sono chiusi, ma Putin e Obama sono in ufficio, e quindi è possibile che il timore di una nuova escalation abbia alimentato nelle ultime ore un ondata di prese di beneficio.

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Peraltro, osservo che molti dei catalyst citati sono di ieri oppure sono rumors non confermati, e che per attribuire alla geopolitica lo storno odierno mancano diversi ingredienti tipici:

** petrolio e gas naturale sono poco mossi
** i core bonds scendono
** i metalli preziosi scendono
** Wall Street è al momento invariata.

Nessuno di questi movimenti è coerente con una crisi geopolitica. La questione ucraina resta irrisolta, ma i motivi della debolezza odierna vanno cercati altrove, eventualmente in una divisa che fa i massimi da oltre 2 anni, e una Banca Centrale più restrittiva delle attese. Wall Street dal canto suo continua a puntare verso la quota psicologica di 1900 punti di S&P, infischiandosene delle tensioni sul credito in Cina, dell’Ucraina, degli emergenti, del fatto che l’economia US sembra crescere all’1.5% (contro un 3% della seconda metà del 2013) , dell’ipercomprato di breve e, in ultimo, del tapering.

Pochi giorni fa la New York Stock Exchange ha pubblicato gli ultimi dati sul margin debt, vale a dire l’ammontare complessivo di debito utilizzato per finanziare operazioni speculative in asset. Il dato di gennaio, ultimo disponibile, segna il nuovo massimo storico a 451 miliardi di dollari, circa 70 miliardi oltre il picco precedente (luglio 2007).

 

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