Le nuove regole di trasparenze per le Pubbliche Ammnistrazioni

 Il Consiglio dei Ministri del 15 febbraio del 2013 ha approvato il provvedimento per la riorganizzazione delle norme sulla trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni. Il provvedimento, divenuto decreto legislativo in data 14 marzo 2013 n. 33 ed emanato in attuazione della legge 190 del 2012 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 5 aprile 2013.

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Si tratta di una nuova legislazione anti corruzione, un Testo Unico che entrerà in vigore a partire dal 20 aprile, che prevede una serie di nuovi provvedimenti legislativi atti a migliorare la trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni e a facilitare la trasmissione dei dati, in modo che anche i cittadini stessi possano avere maggiori informazioni e poter così monitorare quanto viene fatto con i soldi dei contribuenti.

Cosa prevede il Testo Unico anti corruzione?

Il provvedimento, che si rivolge in modo specifico alle pubbliche amministrazioni, prevede che i componenti degli organi di indirizzo politico dello Stato e di tutti gli enti locali e i dirigenti della pubblica amministrazione pubblichino la loro situazione patrimoniale, pena una sanzione che va dai 500 ai 10.000 euro.

Una sorta di dichiarazione dei redditi e delle proprietà, documento nel quale dovranno comparire:

la situazione patrimoniale complessiva del titolare dell’incarico al momento dell’assunzione in carica, la titolarità di imprese, le partecipazioni azionarie proprie, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado, nonché tutti i compensi cui da diritto l’assunzione della carica.

Stesso discorso anche per i rendiconti: i gruppi consiliari che non pubblicheranno i rendiconti e i tempi e nei modi previsti dalla legislazione in materia vedranno decurtarsi il 50% delle risorse disponibili.

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Inoltre, il decreto mira anche a smascherare le false consulenze o comunque consulenze non veritiere: ogni consulenza che non viene pubblicata o che viene pubblicata in maniera parziale o incompleta, dovranno  prendersi carico del pagamento della consulenza stessa.

 

Banche rimborsate con titoli di Stato?

 Sono tante le banche che in Italia possono vantare un credito commerciale nei confronti dello Stato e delle pubbliche amministrazioni: sono quegli istituti che hanno acquistato il debito, o una parte di esso, che le Pubbliche Amministrazioni hanno nei confronti delle imprese.

Secondo Corrado Passera una soluzione valida per poter risarcire questo debito è quello di dare alle banche un valore di circa 15/20 miliardi di euro in titoli di stato. Lo ha detto il Ministro dell Sviluppo Economico Corrado Passera, che è intervenuto per presentare il decreto da poco pubblicato in Gazzetta Ufficiale per lo sblocco del pagamento del debito delle pubbliche amministrazioni:

Scadenze, conti e quantità sono previste per i 40 miliardi e in più il decreto prevede chiaramente come si va a chiudere completamente il tema dei debiti, perché viene chiesto agli intermediari finanziari di censire tutti i debiti che le imprese hanno ceduto pro soluto alle banche e questi verranno poi coperti e chiusi con una emissione dedicata che noi stimiamo essere tra i 15 e 20 miliardi. Poi tutte le pubbliche amministrazioni finalmente dovranno fare il censimento trasparente e completo di tutti i debiti che hanno ancora e con la finanziaria del prossimo anno si dovrà prevedere come si chiudono le ultime posizioni.

E’ l’articolo della Legge di Stabilità che prevede la possibilità, a partire dal 2014, di autorizzare pagamenti con titoli di Stato a favore delle banche che hanno comprato i crediti dalle imprese, ma solo dopo che tutti i debiti siano stati censiti e che la Banca D’Italia abbia provveduto alla loro rendicontazione.

Il ministro Passera ha inoltre aggiunto che i rimborsi alle aziende creditrici potrebbero arrivare anche fino a 60 miliardi di euro, parte dei quali potrà essere restituita con una emissione dedicata di titoli.

Nuova manovra finanziaria per il 2015

 I conti pubblici dell’Italia non stanno molto bene, è un dato di cui ormai si è al corrente da tempo.

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Partendo da questo presupposto e analizzando quali saranno i cambiamenti previsti nel corso dei prossimi due anni, come emerge dalla versione definitiva del DEF presentata ieri, che ha messo nero su bianco una situazione più critica, dati alla mano, di quanto di si aspettasse, a partire dal 2015 il paese dovrà ricorrere ad una nuova manovra finanziaria per per proseguire il calo tendenziale dell’indebitamento e per mantenere il pareggio di bilancio strutturale.

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I nuovi interventi serviranno a coprire, da un lato, i mancati introiti dell’Imu, che, se non rinnovata, scadrà nel 2015, e, dall’altro, per sostenere spese come le missioni italiane e la cassa integrazione.

Le stime parlano di una manovra, da effettuarsi per il biennio 2015/2017, pari ad almeno 20 miliardi di euro, che potrebbero triplicare se, come sostenuto da molte delle forze politiche che stanno lavorando al nuovo governo, l’Imu non sarà rinnovata.

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C’è anche chi sostiene che sia già arrivato il momento per fare una prima manovra. Sono il responsabile economico del Pd Stefano Fassina il relatore finanziario Pierpaolo Baretta che ieri hanno parlato della possibilità di un piccolo intervento, stimato tra i 6 e gli 8 miliardi di euro, necessari per coprire i mancati introiti derivanti dal rinvio della Tares e dell’aumento Iva, e anche le spese per la cassa integrazione in deroga, gli esodati, le missioni all’estero e il bonus del 55% per le ristrutturazioni green.

 

Debito pubblico ancora sopra i due miliardi

 La Banca D’Italia, nel supplemento del bollettino di finanza pubblica di questa mattina, fa sapere che per il mese di febbraio 2013 il debito pubblico italiano è sceso di 5,2 miliardi, arrivando a quota 2.017,6. Questo calo, spiegano da Bankitalia, è dovuto alla diminuzione di 18,5 miliardi delle disponibilità liquide del Tesoro a 49,6 miliardi, parzialmente controbilanciate dal fabbisogno del mese di 13,1 miliardi.
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Le entrate tributarie di febbraio sono state di 27 miliardi, in aumento del 2,3% (0,6 miliardi) rispetto al febbraio del 2012.

L’Italia, a febbraio, ha contributo all’Efsf – European Financial Stability Facility – con un contributo pari a 0,7 miliardi a sostegno dei paesi in difficoltà della zona dell’euro, ai quali si aggiungono anche 43,7 miliardi totali che l’Italia ha versato, invece, per l’Esm – European Stability Mechanism.

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Inoltre, dall’analisi dei conti pubblici emerge che tra gennaio e febbraio è aumentata la quantità di titoli di stato detenuti da soggetti esteri e dai risparmiatori italiani: i bond detenuti dagli esteri sono arrivati a quota 677 miliardi di euro contro i 666 del dicembre dello scorso e sul totale di 2020 miliardi di debito.

In conclusione le finanze le disponibilità della finanza pubblica sono diminuite di 18,5 miliardi.

Come finanziare un’impresa

 Ogni azienda, al fine di poter svolgere la propria attività, ha bisogno di disponibilità di natura finanziaria. La difficoltà predominante che sorge è una: essa si basa nell’individuazione di quelle forme di finanziamento che risultino più adeguate, dal momento che ci si può trovare dinanzi ad un ampio ventaglio di possibilità di scelta. Occorre precisare che queste modalità di finanziamento sono totalmente vincolate, oltretutto, dalle dimensioni e dalla veste giuridica dell’impresa in questione. Tuttavia, volendo affrontare la questione in maniera più generica, è possibile rintracciare due tipi differenti di finanziamenti. Queste due modalità sono:

il capitale proprio;

il capitale di terzi.

Nell’analisi di queste due modalità di finanziamento, non sfuggiranno alcuni parametri relativi alla forma del prestito scelto. Da questi parametri scelti all’inizio dipenderanno le modalità di restituzione del capitale ricevuto inizialmente. Si tratta di elementi, economici e logistici, che caratterizzano il lavoro di un’impresa.

Modalità di finanziamento

A tal proposito, appare necessario analizzare nei dettagli, in cosa consistono queste modalità di finanziamento e come si finanzia un’impresa:

Capitale proprio

Il capitale proprio è rappresentato dai conferimenti perfezionati dall’imprenditore individuale o dai soci della società, al momento della costituzione dell’azienda e, successivamente, attraverso eventuali aumenti di capitale, nonché dagli utili generati dalla gestione aziendale. Il capitale proprio è conferito a tempo indeterminato. Gli aumenti di capitale sono nominati anche capitale di apporto, e si manifestano quando l’imprenditore o i soci prendono la decisione di dare luogo a nuovi investimenti e dunque, stabiliscono di effettuare un nuovo incremento di mezzi di natura finanziaria. Gli utili generati dalla gestione aziendale, da par loro, dal momento che non sono prelevati dall’imprenditore o dai soci e rimangono all’interno dell’impresa, sono ribattezzati con il nome di capitale di risparmio.

Capitale di terzi

Può succedere sovente che il capitale proprio non è adeguato al finanziamento dell’intera attività di un’azienda. Per questa ragione è possibile fare un adeguato ricorso al capitale di terzi, ovvero a finanziamenti effettuati da terze parti. I ‘terzi’ diventano, dunque, creditori dell’impresa, a tempo determinato, dal momento che l’azienda deve restituire il denaro attenendosi alle scadenze concordate e in differenti modalità. Qualora la scadenza non superi i 12 mesi è possibile parlare di prestiti a breve termine; nel caso in cui la durata vada da uno a cinque anni è possibile parlare di prestiti a medio termine; nel caso in cui la durata sia superiore ai 5 anni parleremmo invece di prestiti a lungo termine. Il capitale di terzi contempla debiti di finanziamento, stipulati dall’impresa al fine di ottenere una somma di denaro, e debiti di funzionamento, rappresentati dalle dilazioni di pagamento nei confronti di fornitori di beni o servizi.

Scandagliando tra i finanziamenti di terzi noteremo che quello più diffuso rimane, per diverse imprese, il prestito bancario, quale ad esempio il mutuo. Il mutuo consiste nel ricevere una somma di denaro, da restituire in tempi stabiliti dalle parti.

Prestiti e interessi

Una volta arrivati alla scadenza, decorso dunque il periodo di tempo in questione, l’impresa dovrà provvedere alla restituzione della somma di denaro, versando un interesse come compenso. In questi casi, le grandi aziende fanno riferimento anche all’uso di prestiti obbligazionari.

I prestiti obbligazionari sono molto simili ai prestiti bancari. Tuttavia, nel caso dei prestiti obbligazionari, il prestito viene concesso da persone fisiche, enti o altre società.

In questo contesto, l’azienda deve versare interessi periodici e, una volta decorso il prestito, deve restituire il capitale ricevuto inizialmente.

I debiti di funzionamento, al contrario, non si configurano come un vero e proprio spostamento di denaro. Molto più semplicemente, i debiti di funzionamento si configurano come un credito dal fornitore, il quale consente all’impresa una dilazione del pagamento priva di interessi.

La situazione dell’accesso al credito in Italia secondo Mutui.it

 Mutui.it e Facile.it hanno collaborato per studiare la situazione del credito per gli italiani. Ciò che emerge dai dati elaborati è una sempre maggiore difficoltà all’accesso al credito, ma con evidenti differenze tra categorie di lavoratori e classi di età. Vediamolo nel dettaglio.

I dati studiati da Mutui.it e Facile.it riguardano un periodo di sei mesi che va dall’ottobre 2012 al marzo 2013. Un periodo durante il quale solo 5 domande su cento si sono trasformate in una concessione di mutui. Un numero davvero esiguo che lascia fuori dal totale di coloro che riescono ad ottenere del credito dalla banche una lunga serie di lavoratori.

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Le banche, e gli istituti di credito in generale, infatti, sembrano prediligere le richieste di quadri o funzionari, il 14% di loro è riuscito ad ottenere il denaro del quale necessitava, insegnanti (10,7%), medici (7,6%), pensionati (7%) e i dirigenti (6,6%).

I più svantaggiati sono gli operai, che hanno visto le loro richieste accolte solo nel 3,5% dei casi.

Come si spiega questa situazione?

Secondo Lorenzo Bacca, responsabile della divisione mutui di Mutui.it:

Non tutti gli italiani, di fronte alla crisi, dispongono degli stessi strumenti per affrontare questa congiuntura economica ed è chiaro che alcune categorie professionali possano con più agio gestire la richiesta di mutuo. Desta stupore, tuttavia, che la figura dell’insegnante risulti tra le più facilitate ad ottenere il finanziamento. Evidentemente, più che gli stipendi bassi, a loro favore giocano i contratti statali e, per le banche, più sicuri.

Variano con lo stesso andamento anche gli importi dei mutui concessi: i dirigenti riescono ad ottenere mediamente 140.000 euro, poi ci sono i liberi professionisti (131.000 euro) e gli insegnanti (129.000 euro).

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Di nuovo, ad essere ad avere meno fiducia dalle banche sono operai e pensionati i quali, o per una questione di limiti di età o per il basso stipendio, si vedono concessi, rispettivamente, crediti per 108.000 e 100.000 euro.

La situazione si ribalta se si guarda alla percentuale finanziata dell’acquisto (loan to value): ai membri delle Forze Armate viene concesso, mediamente, il 63% del valore della casa acquistata, dopo di loro ci sono gli operai (61%) e gli impiegati (58%). Ultimi in classifica, ma solo perché avendo stipendi più alti hanno meno necessità di credito, i medici, che chiedono e ottengono il 33% del valore dell’acquisto, i pensionati (34%) e i dirigenti (38%).

► Mutui prima casa per giovani coppie: le semplificazioni in arrivo

Ultimo dato elaborato da Mutui.it: l’età media di richiesta e la durata del prestito. In questa classifica sono i pensionati, per ovvie ragioni, i richiedenti con età maggiore (58 anni) anche se, di contro, sono la categoria che ha durata del mutuo più breve (16 anni), mentre i più giovani sono gli operai che chiedono un prestito a 36 anni per una durata di circa 28 per la sue estinzione.

Guida alla richiesta di tutela per gli esodati all’Inps

 Oggi il Ministro del Welfare Elsa Fornero ha annunciato che il prossimo martedì 16 aprile arriverà il decreto per la garanzia di copertura della terza tranche di esodati. Circa 20 mila persone, che si aggiungono a 120 mila già salvaguardati.

► Martedì 16 il terzo decreto per gli esodati

La copertura è garantita a chi ne fa richiesta all’Inps e stanno per scadere i tempi per la domanda relativa alla seconda tranche di esodati, circa 55 mila persone. Facendo domanda ll’Inps queste persone potranno accedere al pensionamento con il vecchio regime precedente l’entrata in vigore della riforma delle pensioni.

Vediamo nel dettaglio chi può far richiesta e come si fa.

Chi può far richiesta di copertura?

Possono fare la domanda di copertura all’Inps 4 diverse categorie di lavoratori:

1. i 40.000 lavoratori che hanno firmato la richiesta di mobilità o cassa integrazione entro il 2011;

2. i 7.440 lavoratori che alla data del 4 dicembre 2011 hanno avuto l’autorizzazione alla prosecuzione volontaria del pagamento dei contributi e che, quindi, matureranno il requisito contributivo entro il 31 dicembre 2014;

3. i 1.600 lavoratori che rientrano nel Fondo di Solidarietà;

4. i 6.000 che hanno firmato per la mobilità secondo la legge n. 14 del 2012 (decreto mille proroghe).

I termini di scadenza per la presentazione della domanda di tutela

Il termine ultimo per la presentazione della domanda di tutela per gli esodati è fissato, per questa seconda tranche, al 21 maggio 2013. La domanda deve essere presentata alle Direzioni Territoriali del Lavoro (Dtl) competenti.

Chi deve fare la richiesta può rivolgersi ai Patronati o alle associazioni sindacali.

L’Inps, una volta chiusi i termini per le presentazione delle domande, comunicherà al lavoratore richiedente, anche se il tempo necessario alla comunicazione non è ancora stato specificato, l’eventuale accoglimento o meno della richiesta.

In caso di rifiuto il lavoratore ha tempo 30 giorni dalla comunicazione per presentare il ricorso.