A livello monetario saranno eliminati i 500 euro

 Per sconfiggere la crisi, sembra che un’altra strategia a livello monetario sia l’eliminazione delle banconote da 500 euro dalla circolazione. Ma perché una scelta di questo tipo potrebbe essere provvidenziale?

A rispondere dovrebbero essere gli spagnoli che chiamano le banconote da 500 euro, ironicamente Bin Laden perché come quest’ultimo sono conosciute ma nessuno le ha mai viste.

Europa: la nuova serie dell’Euro

A parte le retrospettive divertenti, l’idea di eliminare le banconote da 500 euro nasce da una ricerca della Bank of America Athanasios Vamvakidis che ha pensato di mettere al bando di 500 euro o meglio le banconote del taglio maggiore presenti in tutte le valute dei paesi del G-20. Una mossa che potrebbe determinare l’indebolimento dell’euro e di conseguenza potrebbe offrire la spinta giusta all’economia del paese.

Europa: come saranno le nuove banconote da 5 euro

La BCE non ha dato ad intender di voler seguire questa strada, visto che le banconote di taglio grosso sono considerate ancora degli strumenti per accumulare riserve di valore. Secondo la Banca Centrale, infatti, soltanto un terzo delle 500 euro in circolazione sono usate per le transazioni commerciali.

In più le 500 euro sono delle banconote spesso usate dai criminali, quindi tenerle in vita vorrebbe dire anche monitorare la diffusione della criminalità organizzata in Europa.

La crisi Slovena spiegata in 2 step

 L’Europa è molto più grande di quanto non si possa pensare e anche se gli investitori sono abituati a consultare soltanto report e business che arrivano dai paesi più importanti come Francia e Germania, è pur vero che ci sono realtà “minori” altrettanto cruciali per l’equilibrio del paese.

Minacciate dal rating le banche slovene

Per esempio Cipro che di recente ha affrontato una crisi importante, tanto che a livello europeo è stata definita la strategia di “salvataggio” da usare in futuro come modello. Un altro paese che finora era stato poco considerato è la Slovenia. E’ arrivato dunque il momento di rispondere ad almeno due domande: quali sono i problemi del paese in questione e che peso ha l’economia slovena sull’Europa.

La Germania adesso colpirà la Slovenia

Secondo l’OCSE la Slovenia potrebbe dover affrontare presto una grave crisi bancaria per la quale il campanello d’allarme è suonato diversi mesi fa. La ricapitalizzazione chiesta agli istituti di credito del paese, è stata sottostimata ma presto si dovrà procedere con un lavoro molto oneroso, quasi un miliardo di euro.

Oggi, la Slovenia rappresenta lo 0,4 per cento del PIL della zona euro ma ci potrebbe essere una contrazione dell’economia, molto forte, durante il 2013. Ci potrebbe infatti essere una riduzione del volume della produzione pari al 2,1 per cento.

Indagine europea sulla ricchezza delle famiglie: in Italia una su sei è povera

 Una grande indagine alla quale ha lavorato la Banca Centrale Europea insieme ad altre 15 banche centrali dei paesi dell’Unione, tra le quali figura anche la Banca d’Italia, che restituisce un quadro completo della situazione reale delle famiglie dei paesi partecipanti, mettendo in luce contraddizioni e anomalie.I dati sui quali è stata condotta l’indagine risalgono al 2010, ma sono comunque indicativi di come sia la reale situazione delle famiglie europee.

► Il potere d’acquisto crolla ai livelli del 1995

La ricchezza delle famiglie europee

Il dato che balza immediatamente all’occhio di questa prima indagine europea sulla ricchezza delle famiglie è che, secondo gli economisti che l’hanno redatta, italiani e tedeschi godrebbero delle stesse ricchezze, anche se c’è un gap, e neanche piccolo, tra gli stipendi tricolore e quelli dei cittadini della Merkel: 20 mila euro annui di differenza. come si spiega allora la parità di ricchezza?

Dipende da quello che hanno lasciato i genitori, i nonni e le generazioni precedenti, perché i numeri che riguardano i movimenti dei conto corrente sono particolarmente allarmanti.

Continuando a spulciare i dati che riguardano il nostro paese, si evince che le famiglie italiane sono tra quelle che hanno i redditi più bassi, in nona posizione su un totale di 15 paesi esaminati,  con una percentuale di povertà più alta della media e tra le maggiori in assoluto, pur rimanendo nelle alte posizioni delle classifiche che riguardano i lasciti del passato.

► La crescita in Europa e ai livelli del secolo scorso

Una famiglia su sei in Italia vive sotto la soglia di povertà, un numero che si scosta in modo evidente dalla media degli altri paesi: nell’indagine i poveri sono identificati in base alla media di reddito sotto la quale si entra nella fascia della povertà (diversa per ogni paese, in Italia è fissata a 8.500 euro annui), in Italia sotto questa soglia c’è il 16,5% della popolazione, in forte contrasto con il 13% di media per gli altri paesi. In Francia, ad esempio, i poveri sono l’8,9% del totale della popolazione, mentre in Germania sono il 13,4%.

L’indebitamento delle famiglie

Una nota positiva può essere trovata per quanto riguarda l’indebitamento delle famiglie: le italiane sono le meno indebitate dell’area euro, con una percentuale del 25,2% del totale, mentre negli altri paesi la media si attesta al 43,7%. A essere maggiormente indebitate le famiglie cipriote e dei Paesi Bassi, paesi che fanno registrare una percentuale di indebitamento del 65%.

Nei 15 paesi dell’indagine, quindi, si ha una percentuale del 43,7% di famiglie indebitate: il 23,1% ha un mutuo, il cui valore medio è di circa 68.400 euro, e il 29,3% altri tipi di credito, per un valore medio di 5.000 euro.

► In generale, una famiglia su due non ha le finanze a posto

Le proprietà immobiliari

Il mattone è da sempre uno dei beni rifugio prediletto dagli italiani,  e questa considerazione può essere tranquillamente estesa anche a tutti gli altri paesi che hanno collaborato all’indagine europea sulla ricchezza delle famiglie: in Europa, infatti, il 60,1% dei cittadini possiede una casa di proprietà e, tra questi, il 23,1% ne possiede anche una seconda.

Tra i possessori di proprietà immobiliari il 40,7% del totale è già proprietario della prima casa, che ha un valore medio pari a 180.300 euro (per le seconde case il valore diminuisce fino a 103.400 euro), mentre il 19,4% sta ancora pagando le rate del mutuo per il suo acquisto.

Per quanto riguarda la distribuzione sul territorio dei proprietari di prime case è la Slovacchia a detenere il primato, con l’80% dei cittadini, seguita da Germania (44,2%) e Austria (47,7%). I proprietari di seconde case sono particolarmente numerosi a Cipro, in Grecia e in Spagna (oltre il 35%) con l’Italia al 24,9%.

Le altre proprietà delle famiglie europee

Automobili per il 75,7% dei cittadini, il cui valore medio si attesta intorno ai 7.000 euro; piccole imprese, che molto spesso danno lavoro anche a uno o più membri della famiglia, per l’11,1%, dal valore medio di 30.000 euro.

► La casa non è una spesa per tutte le famiglie italiane

Come investono le famiglie europee

Le famiglie italiane prediligono investire in Titoli di Stato, e soprattutto nei titoli italiani, che li scelgono nel 15% dei casi. Per quanto riguarda il resto dei paesi dell’indagine, invece, la percentuale di coloro che investono in titoli di stato, nazionali o esteri, è piuttosto bassa: solo il 5%.

I tedeschi, ad esempio, prediligono i fondi comuni, scelti nel 17% dei casi a fronte di una media europea dell’11,4 (gli italiani li scelgono nel 6,3 per cento dei casi). Le azioni piacciono molto ai francesi (14% del totale degli investimenti delle famiglie francesi) mentre in Italia questo investimento è scelto solo dal 4,6% delle famiglie. La media europea degli investimenti in azioni e del 10,1 per cento.

Aumenta il numero degli scoraggiati

 Scoraggiati. Persone che hanno cercato lavoro e che, dopo l’ennesimo buco nell’acqua, hanno deciso di interrompere la ricerca. Un esercito di persone che non accenna a diminuire, anzi, come mostrano i dati pubblicati dall’Ansa, questo esercito ha visto costantemente ingrossare le sue fila.

► Rinnovi contrattuali fermi a febbraio, ma i prezzi continuano a salire

A soffrire di più della cronica mancanza di occupazione sono le persone gli over 34, un milione e 150 mila circa su un totale di 1,6 milioni di scoraggiati registrati nel 2012.

La classe degli scoraggiati rientra, solitamente, nella più ampia categoria degli inattivi, le persone, cioè, che non hanno un lavoro e non studiano – per questo in questa categoria rientrano anche le casalinghe e i pensionati – ma è necessario fare un distinguo: infatti, se gli inattivi sono diminuiti del 3,9% nell’ultimo anno, gli scoraggiati, che non cercano lavoro in quanto convinti di non riuscire a trovarlo, sono aumentati del 5,3%.

► Cala il numero dei senza lavoro, ma la disoccupazione è ancora un’emergenza

Nello specifico sono le fasce di età più alte ad essere interessate dal fenomeno. Aumentano del 13,3% gli scoraggiati con età compresa tra 45 e i 54 anni e del 23,1% quelli tra i 55 e i 64 anni. Differenti anche le percentuali che riguardano il genere: le donne scoraggiate superano quota un milione (1 milione 96 mila), in aumento dell’8,6% su base annua.

Cosa muove l’euro

 Periodicamente ci sono degli appuntamenti, con la finanza e con la reportistica che possono influenzare l’andamento della moneta unica. A volte tutti gli appuntamenti si concentrano nella stessa settimana, addirittura nello stesso giorno. Oggi, è un “giorno di quelli” e i market mover iniziano ad essere parecchi.

Il 9 aprile, infatti, il calendario Forex ha messo in lista dei market mover provenienti dall’Europa ma anche dal Regno Unito e dalla Svizzera. Ci sono poi altri dati, non direttamente influenti sull’euro ma comunque importanti per il settore valutario, che arrivano dall’Australia, dalla Nuova Zelanda, dal Canada e dagli Stati Uniti.

Iniziamo dalla Svizzera che nella giornata di oggi dovrebbe liberare ben tre dati. Il primo riguarda il tasso di disoccupazione che si mantiene stabile attorno al 3,1 per cento. A seguire dovrebbe essere pubblicato l’indice dei prezzi al consumo CPI che è previsto stabile allo 0,3 per cento e poi infine si potrà prendere visione del dato sulle vendite al dettaglio che sono date in aumento di un punto percentuale dall’1,9% al 2,9%.

La diatriba sui transfrontalieri italiani

Per quanto riguarda il Regno Unito, invece, sarà pubblicato il dato sulla bilancia commerciale che passa dal -8,2 B al -8,5 B e poi sarà pubblicato l’indice della produzione del settore manifatturiero che rappresenta al momento l’80 per cento della produzione industriale complessiva del paese.

Il Regno Unito in crisi lo spiega Osborne

Relativa all’Europa, in generale, si prenderà visione della bilancia commerciale tedesca e di quella francese, entrambe date in aumento.

Assunzioni personale di bordo MSC Crociere

 MSC Crociere è una grande compagnia di navigazione, leader del settore nell’ambito dei viaggi nel bacino del Mediterraneo e non solo.

Con le sue 11 navi da crociera MSC Crociere propone una vastissima offerta di itinerari: oltre a quelli tradizionali per il Mediterraneo, MSC propone anche delle interessanti proposte di viaggio verso destinazioni quali Nord Europa, Caraibi, Canada e Sud America.

In questo periodo MSC Crociere è alla ricerca di nuovo personale di bordo che sarà impiegato nelle aree Cucina e Hotel. Requisito indispensabile per partecipare alle selezioni è il possesso del certificato Basic Safety Training.

Ecco il dettaglio delle posizioni aperte:

1. Cuoco di bordo
Richiesta esperienza pregressa nella mansione possibilmente in ambito navale.

2. Direttori dei Servizi
Requisito indispensabile è il possesso del diploma alberghiero ad indirizzo turistico. Inoltre è richiesta esperienza pregressa nel ruolo e conoscenza delle regole HaCCP e USPH.

3. Food & Beverage Manager
Richiesto diploma alberghiero ad indirizzo turistico e significativa esperienza pregressa in ambito navale.

4. Primo Commissario di Bordo

Per partecipare alle selezioni di MSC Crociere consultare il sito della compagnia alla pagina Lavora con noi nella quale è possibile inviare il proprio curriculum vitae e essere sempre informati sulle offerte di lavoro attive.

Bennet cerca allievi direttori

 Bennet è una grande catena di supermercati che è nata a Como nel 1964. Dopo una prima espansione nella regione Lombardia, Bennet ha raggiunto con i suoi punti vendita anche le altre regioni del nord Italia con una presenza, ormai capillare, in Piemonte, Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Liguria, per un totale di 67 negozi che danno lavoro a più di 8 mila dipendenti, diventando così una delle realtà italiane della Grande Distribuzione Organizzata più attiva sul territorio.

Al momento Bennet ha aperto le selezioni per cercare dei nuovi Direttori per i suoi punti vendita. Si cercano allievi, ossia persone che hanno voglia di imparare il mestiere e crescere all’interno di una realtà in continua espansione.

Il ruolo di Direttore di Punto Vendita prevede mansioni quali la gestione organizzativa del punto vendita del quale si ha la responsabilità e la gestione del personale.

I requisiti richiesti per candidarsi alle selezioni per allievi direttori di negozio di Bennet sono: età compresa tra i 19 e i 32 anni e il possesso di una istruzione superiore. Ai Direttori di Negozio è richiesta anche la disponibilità a lavorare su turni e nei week end.

I candidati che saranno selezionati saranno poi avviati al lavoro attraverso un periodo di addestramento pratico durante il quale saranno affiancati da direttori con maggiore anzianità lavorativa.

Per partecipare alle selezioni per allievi direttori da Bennet, ma anche per scoprire tutte le altre offerte di lavoro, è necessario inviare il proprio curriculum vitae dalla pagina Lavora con noi del sito della catena.

Confindustria critica duramente l’operato del governo tecnico

 Si è consumato in diretta radio il duello tra Vincenzo Boccia, vicepresidente di Confindustria e il ministro uscente del welfare Elsa Fornero, che ha preso le parti sia del suo operato su pensioni e mercato del lavoro che quello di tutto il resto dei suoi colleghi.

► Mastrapasqua chiede una riforma del welfare

Confindustria, dalla voce di Boccia, fa sapere che le condizioni del paese sono peggiorate rispetto al 2011, anno in cui il governo tecnico di Mario Monti è stato chiamato a rimettere in sesto la disastrosa situazione.

Lo stato dell’economia reale è molto peggio di quel novembre e proprio per questo occorre una grande consapevolezza e la corresponsabilità di tutti di prendere consapevolezza di un’emergenza economica che il Paese vive da troppo tempo.

Questo è il pensiero di Confindustria, secondo la quale l’Italia sarebbe in una economia di guerra con il reddito procapite che è arrivato ai livelli del 1996. I problemi sono sotto gli occhi di tutti e Boccia chiede al governo di prendersene carico subito evitando soprattutto di peggiorare la situazione con delle nuove elezioni.

Immediata e durissima la reazione di Elsa Fornero che difende strenuamente ciò che ha fatto:

Il governo Monti è arrivato con la prospettiva realistica, cioè con l’alta probabilità di una crisi finanziaria e il compito che gli era stato dato era di allontanare questa prospettiva tragica: questo il governo ha fatto. Siamo stati accusati di essere un governo di austerità: mi ci riconosco in una riforma delle pensioni che è stata severa, ma voglio difendere la riforma del lavoro che guarda al futuro e crea le premesse perché si possa parlare di ripresa.

► La riforma Fornero non piace alle imprese più piccole

Quindi, in sostanza, il ministro dice di aver fatto, e con lei anche tutti gli altri, quello che si poteva fare in un paese ormai al limite del fallimento, e ribadisce anche che il problema degli esodati non è dipeso dalla sua riforma, ma da una mancanza di conoscenza della situazione reale del paese da parte del governo precedente dell’ammontare degli accordi aziendali stipulati.

Rinnovi contrattuali fermi a febbraio, ma i prezzi continuano a salire

 Gli stipendi di tantissimi italiani sono rimasti congelati a febbraio: secondo l’Istat, infatti, l’indice delle retribuzioni contrattuali di febbraio è identico a quello registrato per gennaio 2013, comunque in crescita dell’1,4% rispetto allo stesso mese dello scorso anno.
► Il dramma del lavoro in Italia: 1 milione di licenziati nel 2012

Invece, sempre secondo i dati Istat, i prezzi dei beni al consumo continuano a salire: a febbraio 2013 l’indica nazionale dei prezzi al consumo è cresciuto dello 0,1% rispetto a gennaio e dell’1,9% rispetto allo stesso mese del 2012.

I prezzi sono aumentati maggiormente nel settore delle bevande e degli alimenti e del tabacco (3,6%); tessili, abbigliamento e lavorazioni pelli (2,8%); pubblici esercizi e alberghi (2,7%), mentre energia, prodotti petroliferi, telecomunicazioni e pubblica amministrazione non hanno presentato variazioni di rilievo.

Tornando alla situazione dei contratti di lavoro, l’Istat evidenzia che i contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore nel febbraio 2013 corrispondono al 58,4% degli occupati dipendenti e al 54,6% del monte retributivo osservato.

In attesa di un rinnovo del contratto circa il 41,6% nel totale dell’economia e del 24,5% nel settore privato, con tempi di attesa che, per i contratti scaduti, pari a 27,4 mesi. Nel settore privato l’attesa è mediamente più breve (14,8 mesi).

► Work in Progress: il rapporto dei giovani italiani con il lavoro

I contratti in attesa di rinnovo sono 47 – 15 solo nella pubblica amministrazione – che interessano un totale di circa 5,4 milioni di lavoratori dipendenti.

Il potere d’acquisto crolla ai livelli del 1995

 Siamo tornati ai livelli del 1995. Le famiglie italiane non hanno più soldi per le spese e, di conseguenza, per il risparmio. Secondo i dati diffusi dall’Istat, infatti, nel 2012 il potere d’acquisto delle famiglie si è ridotto di un ulteriore 2,1% che si trasforma in una perdita del 4,8% del potere d’acquisto reale se si aggiungono i dati riguardanti l’andamento dell’inflazione.

► Consumi ancora in calo: iniziano a soffrire anche i discount

Periodo particolarmente difficile è stato il quarto trimestre del 2012, periodo nel quale il potere d’acquisto delle famiglie italiane si è ridotto dello 0,9% rispetto al trimestre precedente e del 5,4% nei confronti dello stesso periodo del 2011.

Stessa situazione anche per quanto riguarda la propensione al risparmio, attestatasi nel 2012 all’8,2%, percentuale che mostra un calo di 0,5 punti percentuali rispetto al 2011. In questo caso, un dato così basso non si registrava dal 1990.

Anche per quanto riguarda la propensione al risparmio c’è da notare come il periodo peggiore sia stato l’ultimo trimestre del 2012: 8,3%, il che significa una diminuzione di 0,2 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 0,9 punti rispetto al corrispondente trimestre del 2011.

► Gli italiani non vogliono più investire

Il motivo di questa riduzione della propensione al risparmio è nel gap che si è formato tra la quantità di reddito disponibile e la diminuzione della spesa per i consumi, rispettivamente del 2,1% e dell’1,6%.