Tutto sui tassi d’interesse dei mutui

 Un mutuo, come possiamo immaginare, è un prestito di denaro, di una bella somma di denaro, finalizzato all’acquisto di un immobile o alla copertura delle spese di ristrutturazione. In genere la banca che eroga il mutuo, rivuole poi i soldi con gli interessi.

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Il tasso d’interesse per definizione è il costo che il mutuatario deve pagare per rimborsare il prestito ottenuto e dipende molto spesso dall’importo erogato e dalla durata del piano d’ammortamento. Il tasso d’interesse è generalmente espresso in percentuale e in alcuni casi si compone avendo come riferimento degli indici sintetici. Per esempio il tasso d’interesse applicato ai mutui variabili è legato all’Euribor di periodo cui si somma lo spread.

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Lo spread, è il guadagno marginale della banca sul prestito e in genere è compreso tra l’1 e il 2 per cento ma in momenti di crisi con i tassi BCE molto contenuti, le banche possono avere il desiderio di incrementare i guadagni giocando sulla stabilità dei TAEG applicati ai consumatori finali.

Il tasso d’interesse, fisso o variabile, è uno dei dubbi più consistenti degli aspiranti mutuatari. Oggi esistono numerose forme di finanziamento che vanno al di là di questa dicotomia, per esempio il tasso misto o il tasso variabile con cap, o addirittura il mutuo a rata costante. Tutti cercano di andare incontro alle esigenze mutevoli dei mutuatari.

La proposta anti-crisi di Hollande

 François Hollande, per la prima volta da quando è stato eletto presidente della Repubblica francese, ha tenuto un discorso davanti al Parlamento di Strasburgo ed ha ottenuto un discreto successo con strascichi e polemiche legati alla sua “proposta alternativa”.

In pratica Hollande, guardato un po’ il mercato valutario, ha spiegato che l’Europa ha allentato la presa sull’euro e la moneta unica è sempre più vulnerabile, sottoposta a movimenti che psi potrebbero definire addirittura irrazionali. Hollande allora propone all’Europa unita d’intervenire sui tassi di cambio con un progetto di medio termine, in pratica riducendo in modo “artificiale” il valore della moneta unica.

L’euro, in questo momento, con l’indice Big Mac che ne evidenzia la forza è deleterio per la ripresa. Eppure non tutti sono d’accordo con questa visione del Vecchio Continente e la Germania, ad esempio, si è opposta in modo vivace alla proposta del leader francese.

Di nuovo crisi per l’Eurozona? Sicuramente l’incertezza a livello politico non giova a nessuno ma se anche gli investitori che avevano percepito la situazione, adesso si sentono più sicuri nell’affermare che gli ultimi eventi che hanno interessato Spagna e Italia minano la forza dell’euro.

Gli attacchi speculativi sono alle porte, per questo è sempre più atteso l’intervento deciso della BCE in risposta ai continui incrementi di valore della moneta unica.

Microsoft rileva Dell

 L’azienda Dell, un po’ come farà presto Seat Pagine Gialle in Italia, ha deciso di abbandonare il terreno impervio della borsa, accettando al tempo stesso un’offerta d’acquisto combinata dal direttore dell’azienda stessa, da Silver Lake e dalla Microsoft. Il valore dell’affare si aggira intorno a 24,4 miliardi di dollari e almeno nel settore tecnologico, non si ricordata un’acquisizione del genere dal 2007.

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In quell’anno, infatti ci fu l’acquisizione di Alltell da parte di Tpg e Goldman Sachs per 25 miliardi. Nella liquidazione delle azioni, ogni azionista otterrà circa 13,65 dollari per titolo che è un valore superiore agli 11 dollari della quotazione in borsa, nel momento in cui sono iniziate a circolare le voci sull’acquisizione. In pratica Dell ha perso più della metà del suo valore in cinque anni visto che tempo addietro i suoi titoli valevano anche 40 dollari l’uno.

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L’esperienza di Dell in borsa è durata circa 25 anni. Nel 1988 era stata lanciata una Ipo che aveva catapultato l’azienda nel magico mondo del Nasdaq. L’Ipo valeva 30 milioni di dollari e fu giudicato un record. Adesso, agli azionisti andranno circa 24,4 miliardi di dollari tra i contanti e le azioni.

Microsoft parteciperà all’operazione con un prestito da 2 miliardi di dollari, cui si aggiungeranno gli altri due soci con le loro doti di titoli e contanti.

Guadagnare ai tempi della guerra valutaria

 Il mercato ForEx è probabilmente uno dei più semplici da interpretare ed è chiaro a tutti che in questo momento è interessato da una vera e propria guerra, legata molto spesso alle decisioni delle banche centrali. Sono questi istituti quelli maggiormente interessati al deprezzamento delle monete locali, utile ad attirare nuovi investimenti.

Le scelte della BoJ fanno arrabbiare la Germania e si determina una lotta valutaria tra Tokyo e Berlino. La Bank of Japan, come anche al Fed in America, stanno premendo affinché il dollaro e lo yen perdano quota e così, come già indicato dalle statistiche, l’euro resta la valuta forte in circolazione. 

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In questo panorama in cui le banche centrali sono impegnate fortemente nella rincorsa alla liquidità, ci rimette soprattutto l’euro. Ecco allora che le indicazioni su monete forti, monete deboli e monete indebolite a scapito di altre rafforzate, aiuta nella scelta del portafoglio ForEX.

Gli analisti e i broker consigliano anche di diversificare gli investimenti puntando qualcosa sui fondi comuni d’investimento e sui mercati che replicano le oscillazioni del mercato valutario. Parliamo ad esempio dei mercati ETF (Exchange Traded Funds), degli ETN(Exchange Traded Notes) e degli ETC (Exchange Traded Commodity).

 

L’epopea di Seat Pagine Gialle

 Tra le azioni meno costose del mercato internazionale, c’è anche la “nostra” Seat Pagine Gialle, unica azienda a finire in questo elenco che non inorgoglisce nemmeno un po’ i broker del Belpaese. Ai tempi d’oro, le azioni di questa azienda, erano anche scambiate a 20 euro l’una, adesso valgono poco più di 3 millesimi di dollaro.

Cos’è successo e come possono approfittarne gli investitori? L’azienda Seat Pagine Gialle, attualmente, è vicinissima al fallimento e a dirlo è il management che si sta ingegnando per trovare una soluzione che da un lato garantisca la continuità aziendale evitando di creare un buco nella realtà industriale italiana e dall’altro riduca ai minimi termini l’indebitamento così da rendere sostenibile il rimborso dei debiti.

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Il grosso problema incontrato in questa operazione è la presa di coscienza del cambiamento del panorama industriale. Oggi, tra l’altro, Seat si trova a non poter nemmeno rispettare le scadenze del 2013. Per questo una delle poche strade percorribili sembra essere quella del concordato preventivo.

La richiesta è stata presentata al Tribunale di Milano, mentre si disponeva la sospensione del pagamento delle rate semestrali di interessi, in scadenza il 31 gennaio. La debolezza strutturale dimostrata dall’azienda, che fino a questo momento non aveva dato segni di cedimento, ha convinto giudici e creditori sulla validità del concordato.

I mutui al 100 per cento non esistono più

 In un momento storico in cui il credit crunch è la parola d’ordine del settore creditizio, è molto difficile trovare in giro dei mutui che vadano a coprire il 100 per cento delle spese sostenute dai debitori. Insomma, i mutui al 100% si può dire che non esistono più.

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Resistono soltanto quelle banche che hanno un po’ di liquidità da parte e possono permettersi il lusso di guadagnare denaro correndo dei rischi maggiori rispetto agli istituti di credito tradizionali. In effetti, la parabola stessa del loan to value è discendente ed oggi le banche, anche per concedere prestiti all’80 per cento del minore tra il prezzo d’acquisto e il valore di perizia, chiedono numerose garanzie.

Garanzie che spesso si traducono nella sottoscrizione di una polizza assicurativa. Il nuovo regolamento Ivass ha disposto che tali polizze non siano obbligatorie ma in casi particolari come il mutuo al 100 per cento, diventano nella pratica necessarie.

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Ad un livello che potremmo definire “culturale”, tra l’altro, i mutui al 100 per cento si legano alla questione dei mutui subprimeQuesti ultimi, che hanno tanto condizionato il panorama americano, sono finanziamenti concessi anche a soggetti che di regola, non possono accedere al mercato standard. Molte banche sono fallite proprio per causa dei mutui subprime.

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A livello di costi, i mutui al 100 per cento sono erogati a tassi mediamente “aumentati” di 0,50 punti percentuali.

Un altro miliardo di rimborsi da parte di Barclays

La cifra diventa sempre più consistente. Aumenta di mese in mese. Ora, il top managment di Barclays spera che basti per riconquistare la fiducia dei risparmiatori e ridare un volto amichevole dopo gli scandali inerenti alla manipolazione dei tassi di interesse, alla vendita irregolare di prodotti assicurativi e di interest rate swap per le piccole e medie aziende.

Ora, la banca britannica ha dichiarato che metterà da parte un altro miliardo di sterline (circa 1,16 miliardi di euro al cambio attuale) per coprire le lamentele dei clienti ai quali sono stati venduti irregolarmente dei prodotti finanziari; nel complesso si sale così ben oltre i 2 miliardi inizialmente previsti dagli analisti, cioé intorno a 3,6 miliardi.

I nuovi rimborsi

Nello specifico, altri 400 milioni di sterline, per un totale di 850, saranno accantonati per restituire i rimborsi alle piccole e medie imprese a cui hanno venduto prodotti di copertura rispetto alle variazioni dei tassi di interesse. Non più tardi di una settimana fa la Fsa (Financial Services Authority), l’Autorità di vigilanza finanziaria d’Oltremanica, aveva dichiarato di aver completato la revisione di 173 prodotti derivati di copertura piazzati dalle maggiori banche alle piccole e medie imprese, e di aver scoperto che il 90% non erano a norma con i requisiti regolamentari.

Altri 600 milioni verranno invece depositati, anche in questo caso con effetto sul bilancio del 2012, per mettere a tacere i contenziosi circa la vendita forzata di assicurazioni sul credito chiamate Ppi (Payment protection insurance). Tali prodotti sono assicurazioni che coprono l’eventuale malattia o la perdita del lavoro da parte dei sottoscrittori di mutui o carte di credito. Il totale di questa voce sale così a 2,6 miliardi di sterline. Complessivamente, dunque, l’industria finanziaria del Regno Unito ha dovuto mettere mano al portafogli per circa 13 miliardi per fornire i rimborsi ai clienti costretti illegalmente a queste coperture.

Durante il fine settimana, successivamente ad un’ulteriore indagine riguardante la raccolta di capitali emiratini al culmine della crisi finanziaria, la stampa inglese ha riportato alcune indiscrezioni sulla prossima dipartita dalla banca di Chris Lucas, dal 2007 direttore finanziario, e Mark Harding, general counsel. Barclays aveva già perso i vertici, compreso il numero uno Bob Diamond, ai tempi della multa da 450 milioni di dollari relativa alla manipolazione del tasso Libor. Ora la banca è guidata da Antony Jenkins, che ha rinunciato a quasi 3 milioni di bonus sul 2012 “poiché sarebbe sbagliato riceverli dopo un anno di scandali”.