La ripresa del settore immobiliare americano

 L’America si sta riprendendo o comunque sta facendo tutti gli sforzi necessari per evitare il fiscal cliff e per mettersi nelle condizioni di uscire dalla crisi. Se fossero sufficienti i dati del settore immobiliare per avere un quadro sulla situazione a stelle e strisce, allora potremmo dire che tutto va per il meglio.

Nell’ultimo rapporto Re/Max, infatti, l’immobiliare americano risulta in ripresa. Il rapporto prende in esame 52 aree metropolitane e per tutte ha verificato sia l’aumento dei prezzi, sia l’aumento delle transazionali. Una tendenza che ha preso corpo dal secondo trimestre dell’anno.

Entriamo nel dettaglio. Le vendite di immobili ed edifici sono cresciute del 17,8 per cento ad ottobre, rispetto allo stesso mese del 2011 e i prezzi medi della spesa si sono cristallizzati attorno ai 158 mila dollari che rappresentano un dato in crescita del 2,1 per cento rispetto all’anno scorso, anche se poi si parla di calo dei prezzi, del 3,7% se si confrontano i dati di ottobre 2012 con i dati di settembre dello stesso anno.

Il trend non riduce la preoccupazione degli operatori del settore immobiliare che devono assecondare le esigenze degli aspiranti padroni di casa che hanno sempre più difficoltà ad ottenere un credito dalle banche e che non hanno ancora smesso di subire gli effetti della crisi degli anni scorsi.

All’Europa questa situazione interessa nella misura in cui una ripresa del settore immobiliare americano è in grado di rassicurare i mercati omologhi nel Vecchio Continente.

Eurogruppo dice sì al prestito per la Spagna

 Dopo che la Commissione Europea ha approvato la legge per la ristrutturazione delle banche spagnole, si è giunti piuttosto in fretta alla decisione sulle modalità del prestito: 39,5 miliardi di euro che saranno erogati a partire dalla prossima settimana.

I quattro istituti di credito coinvolti nella ricapitalizzazione sono Bankia, Novagalicia, Catalunyacaixa e Banco de Valencia, alle quali si è aggiunta Sareb, la bad bank spagnola a cui andrà un finanziamento con 2,5 miliardi di euro. Questa operazione dovrebbe portare ad una riduzione del 60% del bilancio entro il 2017, attraverso il ricollocamento delle attività sul business al dettaglio e i prestiti alle Pmi.

Nonostante questa manovre e queste iniezioni di fiducia e di denaro la situazione del paese iberico resta particolarmente difficile: il numero dei disoccupati è continuato ad aumentare per tutto il mese di novembre, toccando i 4,91 milioni di unità, ossia un aumento dell’1,54% rispetto al mese precedente.

Ma non solo Spagna in questa riunione dell’Eurogruppo. I rappresentanti hanno anche parlato di Grecia, dopo l’avvio ieri del buy back dei titoli di stato, e di Cipro, altro paese in cui la situazione è difficile, per il quale le decisioni sono rimandate al 13 dicembre.

Il taglio dei tassi australiano

 Anche la Reserve Bank of Australia, la Rba, si è decisa per il taglio dei tassi d’interesse. Oggi dovrebbe arrivare la decisione definitiva cui sottosta sicuramente anche una politica monetaria di riferimento per il paese. Come investire su questo evento? Se lo chiedono gli analisti e soprattutto coloro che si occupano di opzioni binarie.

Il comunicato dell’Rba sul taglio dei tassi è stato cruciale perché ha orientato la domanda di valuta australiana. L’effetto sui prezzi è sempre immediato. Non si tratta comunque di un annuncio spiazzante visto che la Reserve Bank of Australia, ogni anno, per 11 volte, annuncia le decisioni sui tassi. L’appuntamento con i media e con gli investitori è il primo martedì del mese.

Dopo l’annuncio, il mercato è in attesa di conoscere il taglio effettivo dei tassi. S’ipotizza un taglio dello 0,25% con il conseguente passaggio del cash care al 3 per cento, un livello che è il più basso dal 2009 ad oggi.

L’obiettivo della politica australiana è quello di salvaguardare la propria economia e dare un nuovo impulso alla crescita visto che al di fuori dell’industria mineraria, gli altri settori produttivi non hanno restituito report entusiasmanti.

L’espansione sembra rallentata e questo particolare scoraggia gli investitori decisi a trovare terreni sicuri d’approdo.

Il futuro della portabilità è sul web

 Un mutuatario che voglia spostare il proprio finanziamento da una banca all’altra per motivi di convenienza, ad esempio, è costretto a chiedere l’intervento di numerosi professionisti. In una pratica di portabilità, così si chiama nel linguaggio bancario, intervengono il cliente dell’istituto di credito, il notaio, il rappresentante della vecchia banca e il il rappresentante della nuova banca.

Se la gran parte di questa operazione potesse essere fatta online, si otterrebbe un risparmio in termini di tempi e costi della procedura. Ecco dunque definita la base per l’accordo che chiama in causa l’ABI e il Consiglio Nazionale del Notariato, resa pubblica durante la terza edizione di Credito al Credito 2012.

In futuro, dunque, sarà creato un nuovo sistema d’interfacciamento elettronico tra banche e notai che dovrebbe semplificare ed accelerare alcune procedure.

In progetto, in realtà, è già arrivato ad un discreto stato di avanzamento visto che è stata realizzata una prima applicazione per sperimentare il rapporto tra le parti in causa. Si tratta di Mutui Connect e serve per gestire lo scambio di flussi informativi e di documenti secondo una procedura condivisa dagli attori del processo.

Le pratiche di portabilità, gestite in un regime di “massima sicurezza” sono completate in modo rapido ed hanno la piena validità giuridica.

Cosa ha fatto scendere lo spread

 Nella giornata di ieri gli analisti e soprattutto chi fa investimenti mirati con le opzioni binarie su tempi ridotti, si è accorto del crollo dello spread. Il differenziale è calato sotto i 300 punti, un risultato che non si otteneva da diversi mesi. La stessa cosa è successa anche al rendimento dei Btp decennali che hanno raggiunto i livelli minimi da due anni a questa parte.

Le borse si sono entusiasmate dunque e lo spread è sceso sotto i 300 punti oscillando tra i 295 e i 292 punti base. Il rendimento dei Btp a 10 anni, invece, è scivolato al 4,38 per cento. Questa situazione è stata determinata soprattutto dalle notizie arrivate dalla Cina e dalla Grecia.

In Cina, a novembre, l’attività manifatturiera è stata caratterizzata da una leggerissima espansione. Niente di ragguardevole ma un segnale del genere non si percepiva ormai da 13 mesi. Con i dati raccolti la Cina è finalmente passata dal recinto dei paesi classificati in recessione a quello dei paesi che possono dirsi avviati verso una nuova fase espansiva.

La Grecia ha risollevato i mercati, invece, annunciato una nuova operazione di buy-back, vale a dire che ha deciso di ricomprare i bond in circolazione per avere più garanzie nella richiesta di aiuti all’Europa.

A cosa servono le riserve valutarie

 In queste settimane sono sotto monitoraggio le scelte della Cina in merito all’ampliamento delle riserve valutarie. Questo zoom sulla realtà asiatica è spesso usato dagli analisti per capire quanto siamo prossimi alla recessione o ad una nuova fase espansiva di portata mondiale.

Ma a che serve comprare monete e soprattutto “chi compra cosa”? E’ questo un interrogativo cruciale per la determinazione delle monete più ambite, per la comprensione delle strategie dei paesi riguardo il settore monetario.

Le riserve di valuta straniera, in genere, sono definite dalle banche centrali dei diversi paesi che fanno una scorta di dollari, di euro, di yen (sono esempi), per proteggere con maggiore determinazione la moneta locale. Le oscillazione nel ForEX sono così tamponate e nei momenti di maggiore volatilità si pone un rimedio alla speculazione, stabilizzando il tasso di cambio.

La moneta più desiderata è il dollaro americano che rappresenta oltre il 60 per cento delle riserve valutarie accumulate dalle banche centrali. Al secondo posto si piazza la moneta unica del Vecchio Continente con il 25 per cento circa delle scorte. Il terzo posto è conteso invece dalla sterlina e dallo yen che non vanno il 4 per cento delle richieste.

Per quanto riguarda i compratori, invece, sono per lo più otto paesi capitanati proprio dalla Cina che già l’anno scorso ha dichiarato di aver fatto una scorta di dollari americani.

Cina: dalle riserve alla valutazione del mercato

 L’economia mondiale deve ripartire, ormai ce lo sentiamo ripetere come un imperativo ma il momento in cui sarà effettuato il passaggio da uno scenario di recessione ad una prospettiva di ripresa non è ancora noto. Tutti danno per sicuro il riavvio del sistema finanziario a partire dal 2013.

Ma è proprio così? Non per gli analisti che si affidano all’interpretazione del mercato valutario e stanno monitorando attentamente le scelte della Cina. Perché proprio la Cina e cosa si osserva in particolare?

La Cina, negli anni, ha sempre accumulato riserve valutarie in prossimità di una ripresa o comunque di un’espansione finanziaria. Oggi le riserve valutarie della Cina sono prossime allo zero e quando ciò accade siamo sull’orlo di una nuova recessione.

Questo legame tra le risorse valutarie cinesi e lo sviluppo del mercato mondiale è supportato da una retrospettiva che va dagli anni Novanta ai giorni nostri.

Alla fine degli anni Novanta, per esempio, il mercato aveva assistito ad una crescita rallentata delle riserve valutarie cinesi, preludio alla bolla hi-tech che ha determinato la recessione dei mercati azionari. La ripresa della corsa alla valute, ha invece accompagnato il boom economico degli anni successivi. Adesso, dal 2007 in poi, le riserve sono tornate a decrescere.

Gli strumenti alternativi del risparmio gestito: materie prime

 Chiamate anche commodity, le materie prime sono uno dei più importanti strumenti finanziari di investimento. La loro caratteristica principale è di essere dei beni per i quali l’offerta non prevede delle differenze qualitative sul mercato, in quanto le materie prime (vedi, ad esempio, i metalli o il petrolio) sono sempre le stesse indipendentemente dal produttore.

Inoltre, le materie prime, per definizione, devono essere facilmente stoccabili e conservabili nel tempo (non perdono le loro caratteristiche o il loro valore nel tempo). Le commodities più comuni sono i prodotti agricoli o i prodotti non lavorati come oro, sale, caffè e zucchero.

Le commodity,  che si dividono in alcune tipologie principali a cui appartengono, poi, le varie materie (agricole, coloniali o tropicali, metalli, energetiche e carni) sono negoziate principalmente attraverso i contratti futures in appositi mercati (i più famosi sono New York Mercantile Exchange Chicago Board of Trade e, in Europa, il London Metal Exchange).

I fondi che investono in materie prime sono solitamente caratterizzati da attività scarsamente correlate fra di loro. Questo rende l’investimento in commodity uno dei principali metodi per la stabilizzazione di un portafogli finanziario di investimenti.

Gli strumenti alternativi del risparmio gestito: private equity

 Private equity è un temine di ampio respiro che racchiude al suo interno tutti i tipi di investimento azionario che, per le loro caratteristiche, non possono essere scambiati nei mercati azionari comuni. Sono fondi gestiti a cui si ha accesso solo mediante sottoscrizione di quello che è chiamato fondo di private equity, ceh sono generalmente organizzati come general partner.

Chi decide di parteciparvi deve avere un ingente capitale da investire (le quote sono fisse e in genere sono anche molto alte). Le quote degli investitori, chiamati generalmente limited partner del fondo, sono raccolte e amministrate dal fondo.

Si tratta di fondi di investimento chiusi, per questo l’investitore, una volta sottoscritto, non può gestire liberamente le sue quote, ma può disporne, per la liquidazione o per la vendita, solo a scadenze predeterminate, ecco perché i private equity sono dei fondi ad elevato rischio di liquidità.

Un altro rischio a cui si sottopone chi sottoscrive un fondo di private equity è quello della aleatorietà del rendimento, in quanto la gestione del patrimonio è totalmente affidata al general partner e alle sue capacità decisionali e di competenza nel settore degli investimenti.

La maggior parte di questi fondi ha una durata massima di dieci anni e le quote degli investitori sono sfruttate per investire in società non quotate, ognuno dei quali non può superare un ammontare massimo al 10% del totale da investire.

La trappola del bollettino Imu

Il saldo dell’Imu continua a tenere visibilmente banco. La decisione dei comuni di aumentare le aliquote fa si che l’Imposta municipale unica costerà agli italiani 5 miliardi in più. A dirlo è il Sole 24 ore, il quale afferma:

“Il conto finale della nuova imposta, il cui saldo dovrà essere versato entro il 17 dicembre, sale a 23 miliardi rispetto ai 18 previsti se si fossero applicate le aliquote nazionali utilizzate per l’acconto. Nel passaggio dall’acconto al saldo  i rincari più pesanti riguardano le città del Centro e del Sud dove per 100 euro sborsati a giugno se ne dovranno sborsare 160 al saldo. La fetta più grossa del gettito arriverà comunque dal Nord dove si trova il maggior numero di immobili e di contribuenti”.

Ecco come si è svolta l’Analisi del quotidiano:

“L’elaborazione del Sole 24 Ore è stata effettuata partendo dai dati dell’Agenzia del Territorio e di quelli del dipartimento delle Finanze. Se i comuni avessero lasciato le aliquote invariate il totale dell’Imu sui fabbricati sarebbe arrivato a poco piu’ di 18 miliardi, il doppio dell’acconto. La realtà, però, è che quasi tutte le città hanno alzato l’asticella del prelievo portandola ben al di sopra dello 0,4% previsto per l’abitazione principale e dello 0,76% per gli altri immobili. Ed è proprio partendo dalle aliquote medie decise dai comuni e applicandole agli edifici che risultano iscritti in catasto che si puo’ ricostruire la stime totale del gettito”.

Cosa ne viene fuori?

“Dalla tabella del Sole 24 Ore emerge che dalle abitazioni principali e dalle pertinenze l’acconto ha fruttato 1.680 milioni mentre il saldo richiedera’ 2.660 milioni, 980 in piu’ (+58,3%). Il conto sulle seconde case e’ ancora piu’ salato: si passa dai 2.330 milioni dell’acconto ai 3.860 del saldo, con un incremento di 1.530 milioni (+65,7%)”.